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Chi sta affamando davvero Gaza 06/06/2025

Chi sta affamando davvero Gaza
Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello

Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
25.07.2008 Gheddafi, specialista in ricatti
con l'Italia hanno pagato, ora ci prova con la Svizzera

Testata: Corriere della Sera
Data: 25 luglio 2008
Pagina: 15
Autore: Alessandro Trocino - Luigi Ofeddu
Titolo: «Libia sul piede di guerra per lo «sgarbo» svizzero al rampollo di Gheddafi - Risarcimenti miliardari dall'Italia»
Dal CORRIERE della SERA del 25 luglio 2008, un articolo di Alessandro Trocino sul ricatto libico all'Italia: 

ROMA — L'ultimo incontro, il 28 giugno, era stato quasi un idillio, con Palazzo Chigi che parlava di «grande calore» e il colonnello Muammar Gheddafi che regalava a Silvio Berlusconi il suo doppiopetto, giudicato particolarmente elegante dal Cavaliere, in visita a Sirte. Segno che le trattative per un trattato di amicizia italo-libica erano a buon punto. E lo erano tanto che ieri Saif el Islam, figlio del leader libico, ha annunciato la firma, «nelle prossime settimane, di un accordo che vale miliardi ». Annuncio trasmesso anche in televisione, quasi a dargli un crisma di ufficialità. Dopo qualche imbarazzo della Farnesina, che definiva «non imminente» l'accordo, è arrivata anche la dichiarazione ufficiale di Silvio Berlusconi: «Stiamo lavorando intensamente e con la forte volontà di stipulare il patto di amicizia entro il 31 agosto».
Secondo Saif el Islam, l'accordo «miliardario», siglato a compensazione dei danni del colonialismo, prevedrebbe diversi progetti, tra i quali la costruzione di un'autostrada lungo la costa libica e lo sminamento degli ordigni che risalgono all'epoca coloniale. L'altro ieri, riferiva l'agenzia libica Jana, Berlusconi avrebbe ricevuto a Roma il rappresentante libico in Italia, al quale avrebbe anticipato che il ministro degli Esteri Franco Frattini andrà presto in Libia per rafforzare le intese già raggiunte.
Di un accordo si parla ormai da anni e più volte si è arrivati vicini alla firma, sempre saltata all'ultimo minuto. Come avvenne nel novembre del 2007, quando l'allora ministro degli Esteri Massimo D'Alema parlava di un accordo «già raggiunto che deve solo essere perfezionato».
Del resto, la partita con la Libia si gioca su diversi piani. Tripoli è per l'Italia il secondo fornitore di materie prime energetiche, a cominciare dal petrolio. C'è poi il fronte dell'immigrazione clandestina: solo nel 2007, sono sbarcate in Italia dall'Africa oltre 20 mila persone. Tenere buoni rapporti con la Libia, dunque, diventa determinante anche per porre un freno all'esodo. Non è un caso che il colonnello Gheddafi lo abbia spesso usato come arma di ricatto, per ottenere i risarcimenti miliardari necessari alla costruzione di un'autostrada che dovrebbe partire dal confine con la Tunisia e arrivare a quello con l'Egitto.
A complicare il quadro delle relazioni diplomatiche, nel febbraio del 2006 c'erano stati gli incidenti causati dall'esibizione in tv, da parte del ministro leghista Roberto Calderoli, della maglietta con le vignette su Maometto, considerate blasfeme. Una manifestazione di piazza a Bengasi, dai contorni che non saranno mai chiariti fino in fondo, era degenerata in scontri, lasciando sul terreno undici morti. L'eventuale reincarico a Calderoli era stato commentato duramente proprio da Saif el Islam, che aveva minacciato «ripercussioni catastrofiche nelle relazioni con l'Italia».
Il ministro dell'Interno libico aveva tolto ogni dubbio: «Non proteggeremo più le vostre coste dall'arrivo dei clandestini». La visita lampo di Berlusconi di giugno, la quinta in sei anni, aveva sancito la tregua. Con la ripresa delle trattative in vista di un accordo che, questa volta, sembra essere davvero in dirittura d'arrivo.

E uno di Luigi Ofeddu sul ricatto libico alla Svizzera:

BRUXELLES — Alla fine, il colonnello ha chiuso gli uffici della Nestlé a Tripoli, ha chiuso in gattabuia due dirigenti dal passaporto elvetico (ospitati in cella con una ventina di detenuti comuni), e ha chiuso anche il resto che più conta, cioè i rubinetti e — forse — i portafogli: minaccia di ritiro dei fondi libici dalle banche elvetiche, e da subito niente più petrolio libico alla Svizzera, almeno fino a quando non «chiederà scusa » per l'arresto di Hannibal.
E' l'ultimo atto della crisi diplomatica apertasi fra Tripoli e Berna: e al centro c'è proprio lui, Hannibal Gheddafi, 32 anni, figlio più giovane del leader della «Gran Jamahiria Araba Libica Popolare Socialista», bloccato per quasi due giorni a Ginevra insieme con la moglie in stato di avanzata gravidanza, sotto l'accusa di aver minacciato e percosso due suoi domestici nell'albergo di lusso dove aveva preso alloggio. Un arresto considerato da Tripoli «un crimine orribile», tanto da essere punito con quelle che i diplomatici svizzeri definiscono «preoccupanti misure di ritorsione ». Forse anche perché Hannibal è «consigliere» della compagnia marittima che ha il monopolio quasi totale dei trasporti petroliferi nel suo Paese: ora le navi-cisterna già cariche sono state bloccate nei porti libici, e diverse navi svizzere in arrivo verrebbero tenute al largo, prive dell'autorizzazione all'approdo e al carico. Non un embargo ufficiale, ma fa certamente sentire i suoi effetti.
Non solo: se non arriveranno le scuse ufficiali della Svizzera, la Libia preannuncia già imprecisate «nuove misure». Ci sono anche i voli civili più che dimezzati, e quei due svizzeri detenuti «in condizioni molto dure», secondo le fonti del loro Paese, per presunte infrazioni alle norme sul permesso di soggiorno: insomma, per Berna «una situazione drammatica, inaccettabile». Altra conferma della tensione crescente: Micheline Calmy-Rey, capo del dipartimento federale degli affari esteri (l'equivalente della Farnesina italiana) ha interrotto le sue vacanze estive per seguire la situazione. L'ambasciata svizzera di Tripoli, com' è prassi comune in certe situazioni e in certi Paesi, chiede ai propri cittadini già presenti in Libia di mantenersi costantemente in contatto. E a tutti gli svizzeri in genere, «sconsiglia » i viaggi turistici nel Paese, come altri viaggi «che non siano urgenti», almeno «fino a quando la situazione non sarà chiarita». La stessa ambasciata aggiunge comunque che per la Libia «la situazione politica generale può essere definita come stabile».
Nella notte si continua a trattare, le linee diplomatiche fra i due Paesi sono — come si dice in questi casi — roventi. Ma preoccupano anche le prime dimostrazioni di piazza, che già si sono avute a Tripoli. Da Zurigo, l'Unione Petrolifera ha precisato che solo un sesto del petrolio svizzero viene dalla Libia, e che non sarà difficile approvvigionarsi altrove. E però, secondo altre fonti citate invece dalla Bbc, la «dipendenza petrolifera » della Svizzera da Tripoli sarebbe ben più forte: arriverebbe addirittura al 50 per cento dei bisogni totali.
Quanto ad Hannibal Gheddafi, non si sa se sia tornato a casa. Il suo arresto era stato compiuto il 15 luglio nell'albergo President Wilson di Ginevra, e si è concluso 48 ore dopo con una multa di 124.000 euro, più una cauzione addizionale di 186.000 per il rilascio della signora: i due coniugi erano giunti in Svizzera per farvi nascere il figlio. Sembrava solo uno dei vari episodi che nel tempo hanno avuto Hannibal come protagonista: un'altra zuffa in albergo, con pistola in pugno e successiva condanna a quattro mesi con la condizionale, a Parigi nel 2005; l'anno precedente, un fermo sugli Champs Elysées, per un semaforo rosso violato a gran velocità, qualche spintone e qualche bicchiere di troppo, secondo il verbale della polizia francese; e prima ancora, l'estintore calato su tre poliziotti italiani in un albergo di Roma.

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