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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - Il Giornale - Il Foglio - L'Opinione Rassegna Stampa
23.07.2008 Il terrorismo apre il "fronte interno" contro Israele
dopo l'attentato a Gerusalemme: cronache e analisi

Testata:Corriere della Sera - Il Giornale - Il Foglio - L'Opinione
Autore: Davide Frattini - Rolla Scolari - la redazione - Michael Sfaradi
Titolo: «Kamikaze su una ruspa terrorizza Gerusalemme - Ora gli attentati partono dentro i confini di Israele - Gerusalemme nella morsa dei bulldozer kamikaze - Il nemico interno torna a colpire, paura in Israele»

Dal CORRIERE della SERA del 23 luglio 2008, la cronaca di Davide Frattini

GERUSALEMME — Quando ha capito che non sarebbe riuscito a distruggere il bersaglio più grosso, si è avventato sulle auto ferme al semaforo rosso. Per la seconda volta in venti giorni, una ruspa è diventata l'arma per andare a caccia sulle strade di Gerusalemme. Prima, l'inseguimento a colpi di scavatrice contro un bus. Racconta l'autista: «Sono riuscito a passare oltre, allora lui ha fatto un'inversione e ha colpito i finestrini. Si è avvicinato al mio lato e ha puntato alla mia testa. Ho svoltato a destra e mi sono salvato».
La sequenza del terrore sta sul telefonino di Eran Sternberg, che stava passeggiando e parlando al cellulare. «Ho sentito il rumore di lamiere infrante, gente che urlava e correva. Il bulldozer è venuto verso di me e ha ribaltato una macchina, quasi mi schiacciava». Eran comincia a riprendere con la videocamera. Il filmato mostra la ruspa, mentre un passante armato spara verso il posto di guida. La scavatrice — alzata come un'ascia per colpire — crolla a terra senza più controllo. Interviene anche un poliziotto e scarica il fucile sull'assalitore.
I feriti sono ventiquattro, uno grave, tra loro un bimbo di nove mesi con la madre.
Alla guida della ruspa c'era un palestinese di 22 anni. Ghassan Abu Tir, parente di un parlamentare di Hamas in carcere, veniva da Umm Tuba, un villaggio nella parte est di Gerusalemme, dove il movimento fondamentalista è molto forte. Come l'attentatore del 2 luglio — ha ucciso tre persone con un bulldozer —, portava in tasca una carta d'identità blu, che gli permette di muoversi liberamente in Israele. Come lui è stato fermato da un civile, prima che la polizia riuscisse a intervenire. L'israeliano che ha tirato fuori la pistola vive nell'insediamento di Susya, a sud di Hebron. Yaakov Asahel, 53 anni, è stato comandante dei carristi e insegna in una delle scuole religiose a Kiryat Arba. Molti coloni hanno la licenza per portare armi.
Poche ore prima, Yuval Diskin, capo dei servizi segreti interni, aveva avvertito che l'attacco con la ruspa sarebbe stato emulato. «A Gerusalemme c'è un vuoto di sicurezza, avremo problemi seri». Uri Lupoliasnky, sindaco ultraortodosso della città, ha chiesto che i giudici diano il via libera all'abbattimento della casa dove vivono i familiari dell'attentatore. Haim Ramon, vice-premier, ha ripetuto la proposta di cambiare il tracciato della barriera di sicurezza e dividere la metropoli, dove gli arabi rappresentano un terzo dei 750 mila abitanti. L'idea è criticata dalla destra israeliana — che vuole conservare la parte est anche dopo un accordo di pace — e temuta dai palestinesi: il muro li taglierebbe fuori dai posti di lavoro e li dividerebbe dai parenti.
L'attacco è avvenuto a qualche centinaio di metri dall'Hotel King David, dove in serata era atteso Barack Obama. «Ci ricorda la violenza che gli israeliani hanno affrontato con coraggio ogni giorno, ormai da troppo tempo», ha commentato dalla Giordania il senatore democratico che punta alla Casa Bianca. Oggi incontra i leader dello Stato ebraico e visita la città di Sderot, dopo un volo in elicottero sul Paese. A Ramallah vede Abu Mazen, presidente palestinese.

Dal GIORNALE, quella di Rolla Scolari che riporta le considerazioni dell'esperto israeliano di terrorismo Eli Karmon:

Un’altra ruspa si è lanciata ieri contro passanti e automobili in uno dei punti più trafficati di Gerusalemme. I feriti sono almeno 18. Cinque macchine e un autobus sono stati attaccati, alcuni veicoli sono stati rovesciati dal braccio del bulldozer, in arrivo da un vicino cantiere. L’attentato è avvenuto a pochi metri dal celebre hotel King David, dove poche ore dopo è arrivato il candidato presidenziale americano, Barack Obama, in viaggio in Medio Oriente.
L’attacco è la copia dell’attentato del 2 luglio, a Jaffa Street, Gerusalemme, dove morirono tre persone. Come allora, ieri alla guida della ruspa lanciata contro il traffico di una normale giornata settimanale c’era un giovane palestinese residente a Gerusalemme est, possessore di una carta d’identità israeliana. E come allora è stato un passante, Yaakov Asa-El, 53enne, ex comandante dell’esercito, a sparare per primo all’attentatore, ucciso da una guardia di frontiera drusa. Il 2 luglio, Moshe Pulsar, appena tornato dal servizio di leva, aveva fermato la folle corsa della ruspa. Suo cognato, David Shapira, a marzo aveva messo fine con la sua arma alla strage della scuola religiosa Mercaz HaRav: un terrorista uccise otto studenti a colpi di fucile. Le analogie tra i tre attacchi iniziano lì: l’attentatore era un ventenne di Gerusalemme est. Come Ghassan Abu Tir, ieri alla guida della ruspa e parente di Mohammed Abu Tir, deputato di Hamas al Consiglio legislativo palestinese, arrestato da Israele, celebre per la sua barba rossa di henné. Dietro all’attacco di ieri s’ipotizza l’azione dello stesso sconosciuto gruppo della Galilea, nel nord del paese, che rivendicò gli altri due. Per il governo Olmert diventa sempre più difficile gestire quest’emergenza. Tra il 2000 e il 2005, numerosi attacchi insanguinarono Gerusalemme. La maggior parte dei terroristi arrivava dalla Cisgiordania. In seguito alle violenze, Israele limitò il movimento degli arabi in uscita dai Territori aumentando i check point e costruendo il contestato muro o barriera difensiva che dir si voglia. Secondo i dati del governo israeliano, questo e l’attività d’intelligence hanno diminuito gli attentati. Ora, per le autorità la minaccia è meno arginabile: gli ultimi attentatori erano di Gerusalemme, centro in cui il movimento tra parte araba ed ebraica può difficilmente essere controllato.
Dopo l’attacco di luglio, il vice premier Haim Ramon aveva parlato di dividere la città. Sono stati inoltre proposti due disegni di legge: il primo prevede il ritiro della cittadinanza israeliana a chi compie attività terroristiche; il secondo nega l’accesso ai servizi sociali israeliani alla famiglia dell’attentatore. Alcuni politici chiedono la distruzione della casa dei terroristi, misura che può essere implementata soltanto dopo un lungo iter giudiziario. Per il capo dell’intelligence interna israeliana, Avi Dichter, si tratta di una necessità. Soltanto poche ore prima dell’attacco, ieri, davanti alla Commissione Esteri e Difesa della Knesset, l’uomo aveva parlato del pericolo di operazioni «fotocopia» di quella del 2 luglio. Il terrorismo in arrivo dalla Cisgiordania, ha anche detto, sarebbe diminuito per la presenza di Tsahal sul territorio.
Per l’esperto di antiterrorismo israeliano, Eli Karmon, gli ultimi attacchi dimostrano che i gruppi armati in Cisgiordania sarebbero in difficoltà, «incapaci di organizzare operazioni più importanti», ha spiegato al Giornale La situazione è invece diversa a Gaza, come ha detto Dichter alla Knesset: nella Striscia, Hamas starebbe sfruttando la «tregua» in vigore con Israele per minare intere parti del territorio.

L'articolo in prima pagina sul FOGLIO:

Gerusalemme. Quello di ieri – secondo bulldozer lanciato sui civili in venti giorni a Gerusalemme – è il quarto attacco del 2008 dentro Israele. Sono azioni che cominciano non da fuori i confini, ma dall’interno, dal territorio nazionale, a differenza dei lanci di razzi e dei colpi di mortaio. L’anno scorso questo tipo di attentati sembrava essersi fermato: un anno di relativa calma sul fronte degli assalti terroristici, anche se non su quello militare. Non è durata. Il 4 febbraio scorso un attentatore si è fatto esplodere a Dimona, uccidendo una donna. L’attacco è stato rivendicato dalla Brigata dei martiri di al Aqsa, l’ala dei duri del movimento Fatah (sulla lista nera del terrorismo compilata dal dipartimento di stato americano). Un mese dopo, il 5 marzo, un arabo di Gerusalemme est è entrato dentro alla yeshiva – la scuola religiosa – di Mercav Haraz e ha aperto il fuoco sui ragazzini alla mensa, ammazzandone otto, fino a che non è stato ucciso a sua volta. Il 3 luglio un palestinese alla guida di un bulldozer si è lanciato contro un autobus e contro le automobili che lo seguivano, travolgendo nella sua marcia quante più vittime ha potuto. Tre morti e più di quaranta feriti. La strage non è stata più grave soltanto perché un passante è riuscito a montare sulla cabina di guida e a freddare l’attentatore. L’attacco di ieri è stato una replica esatta (con sedici feriti), anche nel finale. “Dopo avermi colpito – racconta l’autista del bus – ha fatto inversione a U e ha sfondato due volte i finestrini con la pala alzata. La terza volta ha mirato alla mia testa, se non mi fossi spostato mi avrebbe ucciso”. “Non gridava nulla, continuava solo a colpire le auto”, dice un testimone oculare. Ya’akov Asahel – giardiniere e catechista cinquantatreenne in un settlement a poca distanza da Hebron nella vita civile, e comandante di plotone in quella militare – ha sparato per primo al guidatore suicida. Ad aiutarlo è arrivata una pattuglia di poliziotti. E anche numerosi mezzi dei pompieri, perché nell’attacco sono state danneggiate le condutture stradali del gas: l’effetto finale avrebbe potuto essere molto più devastante di quanto pianificato. E’ la nuova minaccia interna. Venerdì scorso lo Shin Bet, l’intelligence, ha arrestato sei sospetti con l’accusa di terrorismo. Quattro di loro sono della zona araba di Gerusalemme – come l’attentatore di ieri (nipote di un parlamentare di Hamas) – diventata la nuova fonte di preoccupazione per l’antiterrorismo. Gli altri due sono arabi israeliani. Hanno scattato fotografie agli elicotteri in partenza e in arrivo allo stadio della capitale e hanno chiesto su Internet istruzioni su come abbattere i velivoli. Gli investigatori pensano che il loro bersaglio fosse il presidente americano George W. Bush durante il suo ultimo viaggio, lo scorso maggio. Faccia a faccia con Cheney A quattrocento metri di distanza dalla sparatoria di ieri il presidente israeliano Shimon Peres era impegnato in colloqui con il presidente dell’Autorità palestinese, Abu Mazen. Più vicino ancora c’è il King David Hotel, dove ieri sera è arrivato il candidato democratico alla presidenza americana, Barack Obama, per l’ultima tappa mediorientale del suo tour. Secondo i funzionari incaricati della sicurezza del senatore, anche le Brigate dei martiri di al Aqsa parteciperanno allo schieramento protettivo – come terzo anello, il più lontano – che circonderà Obama durante la sua visita a Ramallah e il suo incontro con Abu Mazen. E’ lo stesso gruppo militare sulla lista del dipartimento di stato che ha rivendicato l’attacco di febbraio a Dimona. Tutti gli occhi sono sull’americano in Israele. Intanto il capo di stato maggiore israeliano, il generale Gabi Ashkenazi, è negli Stati Uniti per una settimana di colloqui al massimo livello. Il vicepresidente Dick Cheney. Il suo omologo americano, Michael Mullen. Il consigliere per la Sicurezza nazionale Stephen Hadley. Con tutti parlerà soprattutto del programma nucleare dell’Iran e “possibili soluzioni militari”, e anche del riarmo di Hezbollah e Hamas e dei rapporti con la Siria. Per Ashkenazi e Mullen è il secondo incontro in meno di un mese.

Da L'OPINIONE, un articolo di Michael Sfaradi.

Alle 14 di ieri, ora locale, i cittadini della Città Santa si sono ritrovati davanti alla scena già vista tre settimane fa. Un lavorante arabo israeliano residente a Gerusalemme Est si è impossessato di un trattore Caterpillar ed ha travolto tutto ciò che ha incontrato sulla sua strada: uno degli autobus della linea 13 ed alcune auto private, mietendo vittime e danni. Anche se la dinamica non è ancora stata definitivamente ricostruita, sembra che un cittadino, Iki Eshuel di 53 anni, nel momento in cui ha capito che si trattava di un attentato, ha impugnato la sua pistola, detenuta con regolare porto d’armi, ed ha sparato diversi colpi di arma da fuoco verso l’autista del mezzo. Proprio perché si è sentito sotto tiro l’attentatore non è riuscito a fare altri e più gravi danni prima di essere poi definitivamente abbattuto dagli agenti. Tutto questo è accaduto all’angolo fra le due centralissime vie Karen Ayesod e King George, dove sorge il famoso King David Hotel che ospiterà questa notte Barack Obama, il candidato democratico alla Casa Bianca in visita in Israele. La polizia ha dichiarato che almeno 28 persone sono rimaste ferite, il più grave si trova ora a combattere fra la vita e la morte all’ospedale “Sharei Zedek” di Gerusalemme. Gli altri feriti sono stati distribuiti negli altri ospedali della città, fra loro un bimbo di pochi mesi che è rimasto ferito al corpo ed alle gambe da schegge di vetro.

I medici hanno assicurato che non è in pericolo di vita. Ciò che è successo ieri è l’ennesima prova che questi “impazzimenti” non sono improvvisi o dovuti alla rabbia o al caldo torrido, ma frutto di un’azione articolata e studiata a tavolino volta a far vivere i cittadini dello di Israele in uno stato continuo di tensione. Ci dice inoltre che le organizzazioni terroristiche palestinesi, la Jihad islamica e Hamas, non riuscendo grazie al muro difensivo ad infiltrare terroristi dalla Cisgiordania, reclutano attentatori suicidi fra la popolazione arabo israeliana che ormai da troppo tempo agisce come una quinta colonna all’interno dello stato. La frattura sociale fra le popolazioni ebraiche e arabe di Israele è sempre più ampia e profonda, e ci si guarda ormai con non velato sospetto. Dopo questo secondo attentato sono molte le voci di malcontento che chiedono azioni volte a salvaguardare la sicurezza dei cittadini suggerendo azioni che in una normale democrazia non sono accettabili, ma che allo stato attuale qualcuno vede assolutamente necessarie, voci che vanno dalla richiesta di vietare agli arabi la guida di mezzi pesanti all’interno delle città israeliane alla richiesta di ritiro generalizzato di questo tipo di patenti. Crediamo sia interesse degli arabi israeliani lavorare al loro interno onde evitare il ripetersi di questi gravi atti, perché sono in molti quelli che in Israele lavorano nel campo delle costruzioni e che rischiano seriamente di ritrovarsi senza lavoro. D’altro canto il governo di Israele ha l’obbligo morale e politico di dare a coloro che chiedono sicurezza e tranquillità risposte serie che diano risultati soddisfacenti.

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