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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - Il Giornale Rassegna Stampa
30.06.2008 Scambio tra Israele ed Hezbollah
la cronaca, la ricostruzione del massacro compiuto da Samir Kuntar, gli effetti negativi e le ragioni della decisione di Gerusalemme

Testata:Corriere della Sera - Il Giornale
Autore: Davide Frattini - Benny Morris - Gian Micalessin - R.A. Segre
Titolo: «Israele, scambio di prigionieri con Hezbollah - Un prezzo esorbitante per riportarli a casa Così si rafforza il ricatto terrorista di Nasrallah - Kuntar, il simbolo del male che massacrò una famiglia - Israele, perché i corpi sono sacri»

Dal CORRIERE della SERA, la cronaca di Davide Frattini:

GERUSALEMME — Sei ore per decidere, ventidue ministri favorevoli, tre contrari. Trentaquattro giorni di guerra che solo adesso sembrano finire per due famiglie. Il governo israeliano ha approvato l'accordo con Hezbollah, mediato dai tedeschi. Eldad Regev ed Ehud Golwasser in cambio di Samir Kuntar, in carcere per un massacro del 1979, e altri quattro combattenti libanesi, catturati durante il conflitto di due anni fa.
Per la prima volta il premier Ehud Olmert ha riconosciuto che i militari rapiti al confine sono morti. «Non ci facciamo illusioni. Per Israele sarà un momento triste, anche umi-liante, perché dall'altra parte festeggeranno». Prima del consiglio dei ministri, Olmert non aveva ancora fatto trapelare la sua posizione. La scelta del governo di accettare l'intesa va contro il parere dei capi dei servizi segreti. Ehud Barak, ministro della Difesa, e Gabi Ashkenazi, capo di Stato maggiore, hanno invece ripetuto «i soldati vanno riportati a casa, vivi o morti». Tzipi Livni, ministro degli Esteri, ha sempre dichiarato di essere contraria a un accordo per riavere dei cadaveri. Alla fine ha votato a favore: «Non abbiamo una testimonianza diretta, quindi per me non c'è la certezza che i militari siano caduti». Lo scambio dovrebbe avvenire fra una decina di giorni.
Gli israeliani riceveranno da Hezbollah anche informazioni sul destino di Ron Arad, il pilota scomparso vent'anni fa. Più che informazioni, i risultati dell'indagine fatta dal movimento sciita e l'ammissione che l'organizzazione avrebbe perso le tracce del l'aviatore. «C'è una differenza fondamentale — ha detto Olmert — tra Arad e Goldwasser e Regev. Dopo tutto questo tempo, non abbiamo avuto notizie attendibili su che cosa gli sia successo».
La decisione del governo sembra porre termine alla vicenda Arad, che ha scosso gli israeliani dal 1986. «Kuntar è l'ultimo prigioniero nelle nostre mani — scrive Yedioth Ahronoth — da usare nei negoziati per scoprire che cosa ne sia stato. Liberarlo significa venire meno alla promessa fatta alla famiglia. Dall'altra parte, ci sono le famiglie di Regev e Goldwasser e per loro Kuntar rappresenta il ponte per qualcosa di molto concreto: la fine dell'incertezza».
L'incertezza è quella vissuta in questi due anni da Karnit Goldwasser. Giovedì ha trovato la forza di andare al matrimonio di un amico: il commilitone che aveva chiesto a Ehud di cambiare turno e pattuglia, il soldato che avrebbe dovuto sedere al posto di suo marito nella jeep attaccata. La famiglia si è rivolta al rabbino Ovadia Yosef, leader spirituale del partito Shas, perché intervenisse sul governo e accelerasse le trattative. Per la legge ebraica, una donna resta legata al marito, se lui non le concede il divorzio o se scompare e non è possibile provarne la morte. Karnit, 32 anni, ed Ehud erano sposati da solo dieci mesi.
Ieri Tami Arad, moglie del pilota scomparso, e Karnit si sono trovate su fronti emotivi contrapposti. «Il governo deve affrontare un giudizio di Salomone — continua Yedioth —. Non ci sono dubbi su quale debba essere la scelta: abbiamo già tolto qualunque possibilità di ricominciare a Tami. Dobbiamo concederla a Karnit ».

L'analisi dello storico Benny Morris:

Hassan Nasrallah, il leader degli Hezbollah, starà ridendo a crepapelle e tutti i terroristi della regione si fregheranno le mani per la soddisfazione. Israele è stato nuovamente umiliato dai suoi nemici arabi, e la descrizione dello stato ebraico, da parte di Nasrallah, come la tigre di carta del Medio Oriente, ne è uscita considerevolmente rafforzata. È questa la tragica conseguenza della decisione presa ieri dal governo israeliano di scambiare un manipolo di terroristi libanesi e palestinesi per i resti, in mano di Hezbollah, di due riservisti dell'esercito israeliano — Eldad Regev e Ehud Goldwasser — uccisi in un'imboscata nel luglio del 2006 lungo il confine libano-israeliano. Per ironia del destino, quell'imboscata, nella quale i miliziani sciiti non riuscirono a catturare ostaggi vivi, scatenò la Seconda guerra libanese, ovvero il tentativo israeliano — fallito — di costringere il Libano ed Hezbollah a restituire i due soldati, che erano stati uccisi sul posto o feriti a morte nei combattimenti. Più di 1500 libanesi, tra cui 500 uomini di Hezbollah e 160 israeliani sono morti nel corso di quella guerra durata 33 giorni.
Il progetto di scambio, che gode del massimo consenso tra la gente ma appare chiaramente il gesto disperato di un primo ministro e di un governo deboli, incalzati dall'opinione pubblica sull'onda emotiva scatenata a sua volta dal coro di appelli lanciati dai parenti dei due soldati, genitori, fratelli, sorelle e una vedova, è solo l'ultimo atto in una sequela di scambi costati a Israele un prezzo esorbitante per riportare a casa i suoi ragazzi.
Il modello era stato fissato nel 1983, durante la Prima guerra libanese, quando Israele acconsentì allo scambio di 4700 tra prigionieri di guerra e terroristi libanesi e palestinesi per riavere sei soldati israeliani. Quattro anni fa, Israele ha liberato più di 450 prigionieri libanesi e palestinesi in cambio dei corpi di tre soldati israeliani e di un disertore israeliano (un colonnello riservista) che era stato rapito e condotto in Libano dagli agenti di Hezbollah da un paese arabo in cui il colonnello stava cercando di trattare l'acquisto di una partita di droga. Oggi, per la prima volta, Israele ha acconsentito a rilasciare terroristi vivi semplicemente in cambio di cadaveri. Non è chiaro quanti siano i palestinesi che Israele ha promesso di liberare, ma tra i terroristi che presto usciranno dal carcere c'è un tale Samir Kuntar, un miliziano libanese che partecipò allo sterminio di una famiglia israeliana, tra cui due bambini piccoli, nel corso di un raid trent'anni fa. Coloro che si oppongono allo scambio, compreso l'ex ministro della giustizia Yossi Beilin, affermano che le decisioni dei leader devono essere guidate dagli interessi nazionali e da prospettive di lungo raggio, non da considerazioni di natura privata, familiare o emotiva.
Dal giorno dell'imboscata, Hezbollah ha fatto un gioco sporco, contrario a tutti i principi della legge internazionale, rifiutando di informare Israele e le famiglie dei due militari se i soldati erano vivi o morti. Hezbollah ha preteso che Israele liberasse decine di terroristi prigionieri in cambio di informazioni. Nel corso dei mesi, l'intelligence israeliana ha capito, anche in base ai brandelli umani rimasti sul luogo del-l'attacco, che i soldati erano quasi certamente deceduti. Ma le famiglie, aggrappate a un filo di speranza, hanno fatto pressione sul governo affinché facesse di tutto per ottenere il «ritorno» dei ragazzi, riuscendo a mobilitare gran parte dell'opinione pubblica e dei media israeliani. Un debole Ehud Olmert e il ministro della difesa Ehud Barak, che spera di tornare alla carica di primo ministro e si guarda bene dall'inimicarsi il pubblico, hanno ceduto alle richieste. Ieri Olmert ha illustrato i particolari dello scambio non solo sottolineando l'alto valore che la società israeliana attribuisce alle vite umane — israeliane — e come testimonianza della «forza morale» del paese, ma anche per lanciare un segnale agli uomini e alle donne in uniforme che il governo è pronto a tutto, e a qualsiasi prezzo, per ottenere la loro liberazione in caso di cattura.
Ma non è così che gli arabi della regione vedono la cosa. L'accordo spingerà certamente l'organizzazione fondamentalista Hamas in Palestina, che tiene prigioniero un altro militare israeliano, Gilad Shalit, nel suo feudo di Gaza, ad alzare il prezzo — circa 500 terroristi di alto livello è la cifra di recente menzionata in cambio della liberazione di Shalit — ed incoraggerà tutti i terroristi della regione a catturare nuovi ostaggi israeliani. Nel bazar mediorientale di prigionieri di guerra in cambio di cadaveri, non ci sono più limiti.

Gian Micalessin sul GIORNALE spiega chi è Samir Kuntar, terrorista rilasciato in seguito all'accordo:

Si chiama Samir Kuntar, è in carcere da 29 anni, ma per pagare il suo conto dovrebbe scontare quattro ergastoli. Per gli israeliani è il volto dell'orrore. Hassan Nasrallah, il segretario generale di Hezbollah, stratega dei rapimenti e degli scambi di ostaggi, lo voleva indietro già nel 2004 quando restituì il «cattivo» colonnello Elhanan Tannenbaum, rapito nel 2000, e i corpi di altri tre soldati in cambio di 425 prigionieri arabi. Ariel Sharon giurò che l'avrebbe liberato solo in cambio d'informazioni sulla sorte di Ron Arad, l'aviatore scomparso. Ma ora è certo, Hezbollah non sa nulla dell'aviatore. Il baratto infame può dunque procedere e il terrorista Kuntar si trasforma nella posta principale per la restituzione di Eldad Regev ed Ehud Goldwasser, i due soldati rapiti e probabilmente uccisi già nel luglio 2006.
La saga nefasta di Samir Kuntar risale al 22 aprile 1979. Quella sera Samir Kuntar e tre suoi compagni hanno appena finito di stivare armi, munizioni ed esplosivi a bordo di un gommone ormeggiato sulle spiagge di Tiro, nel Sud del Libano. Il 17enne Samir è il più giovane, ma il più determinato del gruppo. I comandanti del «Fronte della Liberazione della Palestina» di Abu Abbas non l'hanno scelto a caso. È veloce con le armi, senza scrupoli e senza paura. Perfetto per una missione senza speranze a Naharia, la città israeliana sul Mediterraneo, dieci chilometri a sud del confine libanese. I quattro approdano verso mezzanotte, s'addentrano nella città assonnata. Un poliziotto li vede, s'insospettisce. Una raffica lo fulmina.
Samir Kuntar e i suoi si rifugiano al 61 di Jabotinsky street, sfondano la porta della famiglia Haran, entrano con i kalashnikov spianati. Danny Aran, 28 anni, li vede entrare, alza le mani, fa da scudo alla figlioletta Einat di 4 anni. Sua moglie Smadar resta in camera da letto, afferra Yael, la bimba di 2 anni, le mette una mano sulla bocca, la spinge sotto il letto, le affonda la testa nel seno per non farla strillare.
Samir Kuntar e i suoi intanto spingono Danny ed Einat verso la spiaggia. Ma la polizia gli è alle calcagna. Due terroristi cadono colpiti. Kuntar decide di vender cara la pelle. Prima spara in testa a papà Danny, poi afferra la testa di Einat, gliela sbatte sugli scogli. Finisce l'opera con il calcio del fucile. Fino a quando Einat non urla, non si lamenta, non respira più. Solo allora lui e il suo compagno s'arrendono, si salvano la vita. Ma nell'appartamento della famiglia Hadar l'orrore continua. Smadar non sente più sparare, molla la bocca della figlioletta, ma Yael non si muove, non parla. È morta anche lei soffocata, stritolata involontariamente nella stretta della madre terrorizzata. Di Smadar, di suo marito, di quelle due bimbe nessuno oggi si ricorda più. Samir Kuntar, invece è un simbolo. Per molti palestinesi e libanesi addirittura un eroe. Il primo a cercare di riaverlo fu Abu Abbas dirottando l'Achille Lauro. Ora Nasrallah è pronto a completare l'opera.

R.A Segre spiega l'importanza per Israele di recuperare le salme dei caduti:

Per comprendere l’importanza, la passione, i dubbi, il conflitto di sentimenti e interessi politici che accompagnano il voto del governo israeliano in favore dello scambio di prigionieri elaborato nel corso di oltre un anno dal mediatore tedesco fra Israele e Hezbollah, occorre tener presente i molteplici contrastanti elementi che quest’intesa comporta: 1) Politici. L’accettazione da parte d’Israele rappresenta un successo di Hezbollah. Si tratta per Israele di dare in cambio di due soldati israeliani probabilmente morti - Ehud Goldwasser e Eldad Regev - e di notizie precise sul pilota Ron Arad, abbattuto in Libano nel 1986, uno dei capi dell’organizzazione sciita, Samir Kuntar, responsabile d’eccidio terrorista nel 1979, alcuni corpi di miliziani libanesi e un numero ancora imprecisato di palestinesi. La liberazione di questi ultimi conferma l’influenza di Hezbollah, legato all’Iran sulla Palestina. 2) Sicurezza. La strenua opposizione dell’intelligence allo scambio nasce dal fatto che rappresenta un duplice invito ai nemici d’Israele. Il primo a continuare a catturare israeliani sapendo il prezzo che possono trarne. Il secondo è a non curare eventuali soldati catturati feriti, sapendo che il valore di un cadavere per Israele è uguale a quello di un militare vivo. 3) Ideologici. Un sacrosanto principio delle forze armate è sempre stato: «Mai abbandonare un compagno d’armi» al nemico. Onorato in tutte le guerre d’Israele, ha perduto un po’ del suo «fascino» in una società sempre più individualista, borghese e socialmente ineguale. Le pressioni delle famiglie dei prigionieri unite al potere dell’informazione globale sono diventate sempre più forti sul governo anche a causa di precedenti considerati da molti disonorevoli, come la decisione di Ariel Sharon nel 2003 di rilasciare 400 terroristi palestinesi per i resti di tre soldati catturati in Libano e un ex colonnello «fellone», Elhanan Tennembaum, rapito da Hezbollah e di cui non sono ancora chiari i ruoli avuti come uomo d’affari nei Paesi arabi. Se si mettono assieme tutti questi elementi, la sofferenza delle famiglie, le incertezze del governo impegnato a non mettere in pericolo la liberazione del caporale Gilad Shalit nelle mani di Hamas e l’enorme rispetto religioso che l’ebraismo ha per il morto, si comprende perché Olmert abbia richiesto il placet del governo prima di dare il via all’accordo, confermando, contro ogni tipo di modello politico corrente, che Israele non è né uno Stato, né una nazione, ma - come le sue origini bibliche affermano - una grande, spesso divisa e rissosa «famiglia allargata». L’unico modello che spiega dove risiede la sua forza, la sua unità e la sua complessa identità.

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