Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Un articolo che poteva essere pubblicato anche dal Manifesto quello di Cecilia Zecchinelli sulla televisione Al Hurra
Testata: Corriere della Sera Data: 24 giugno 2008 Pagina: 17 Autore: Cecilia Zecchinelli Titolo: «Il fiasco di Al Hurra la tv made in Usa snobbata dagli arabi»
Il CORRIERE della SERA del 24 giugno 2008 pubblica un articolo che sarebbe potuto benissimo essere ospitato dal MANIFESTO Soddisfatta di alcuni insuccessi della rete in arabo Al Hurra, finanziata dal Congresso americano, Viviana Mazza sembra non tenere assolutamente conto nel suo giudizio dell'importanza del fatto stesso che sia disponibile per il pubblico arabo e musulmano un'alternativa all'indottrinamento antioccidentale e filoterrorista. Un esempio perfetto, questo articolo, dell'attitudine autolesionistica di una parte dell'Occidente.
Ecco il testo:
Nonostante i 350 milioni di dollari investiti, la rete non è riuscita a competere con Al Jazeera e Al Arabiya Il 22 marzo del 2004, mentre gli occhi del mondo erano puntati su Gaza, su Al Hurra andavano in onda i tramezzini al salmone. Mentre il leader spirituale di Hamas, lo sceicco Ahmed Yassin, veniva assassinato, centrato nella sua auto da un missile israeliano, la tv Al Hurra trasmetteva un programma di cucina sul perfetto banchetto di nozze. Non fu neppure interrotto per dare la notizia. Nel giorno di Pasqua, invece, un annunciatore aprì il tg della rete con l'annuncio: «Oggi Cristo è risorto!», rivolgendosi ad un pubblico prevalentemente musulmano. Di gaffes e buchi come questi (anche se l'impiccagione di Saddam non se l'è persa) è piena la storia della tv satellitare Al Hurra, nata nel 2004, finanziata dal Congresso americano (e dunque dai cittadini Usa) per diffondere «la democrazia » 24 ore su 24 in 22 Paesi del Medio Oriente. Il menu di Al Hurra, oltre alle news, prevede documentari e talk show (dal tour di una band ebrea in Australia alla storia dei blue jeans, dallo show «Uguaglianza » a «Occhio sulla democrazia »). «Al Hurra» significa «la libera». «E non è proprio un segno di rispetto o sensibilità nei confronti degli arabi dire loro che le sole notizie indipendenti possono venire da una rete finanziata dal governo americano», osserva al telefono da Dubai il direttore di Al Arabiya Nabil Khatib. Non appena lanciata in Medio Oriente Al Hurra è stata soprannominata «Cheney Channel» (in onore del vice di Bush). Ma poi sull'ostilità è prevalsa l'indifferenza. Nonostante i 350 milioni di dollari investiti, Al Hurra non è riuscita a competere con Al Jazeera e Al Arabiya. «E non è mai stata nemmeno nella Top 15», dice Khatib. Il tentativo di riproporre il modello di Radio Free Europe, un successo durante la Guerra Fredda, in un contesto diverso e pullulante di media è stato un flop. Secondo un recente sondaggio, il 54% degli intervistati in sei Paesi del Medio Oriente guarda Al Jazeera per le notizie internazionali, il 9% Al Arabiya e solo il 2% Al Hurra. In un articolo dal sapore di un necrologio sul Washigton Post, alcuni spettatori la giudicano provinciale e fanno notare l'accento libanese di molti presentatori (il primo direttore delle news, libanese, portò con se tutti i suoi amici, dicono le malelingue; quello attuale, il terzo in 4 anni, è anche lui libanese come pure il 40% dello staff). Altri la giudicano noiosa, poco professionale e carente nel giornalismo investigativo. Per Khatib, Al Hurra è «del tutto ininfluente e uno spreco di soldi». «Il suo problema principale non è che i contenuti vengono visti come propaganda — dice —. È il cattivo giornalismo. Non ha un buon network di giornalisti in giro, i redattori stanno a Washington, lontani dalla realtà araba. Reimpacchettano le agenzie inglesi e francesi dicendo agli arabi: questa è la vostra realtà. Immagina una tv che fa il tg sull'Italia per l'Italia basandosi su notizie che riceve dall'Inghilterra. Ma la cosa peggiore è che Al Hurra potrebbe facilmente fare un giornalismo migliore del nostro, rivelando informazioni sulle dittature in Medio Oriente. Noi riceviamo pressioni e non possiamo, ma loro ne subiscono di meno». Tarik Shamy, il capo del bureau di Al Hurra al Cairo, dice di trasmettere già «molte interviste sulla democrazia, sulla legge marziale». Anche se un colloquio con un blogger critico del governo, un mese fa è stato censurato, di solito non accade. Ma Khatib afferma che interviste come queste non bastano: «Erano popolari nel 1991, nel 1998. Ora la gente vuole le notizie sulla vita quotidiana che il governo cerca di censurare». All'indifferenza del pubblico mediorientale si affiancano i problemi negli Stati Uniti. Là Al Hurra non può essere vista: la legge vieta di trasmettere propaganda ai cittadini americani. Però dopo la rivelazione che aveva mandato in onda un servizio sulla conferenza negazionista dell'Olocausto tenutasi in Iran e un discorso senza censure di Hassan Nasrallah, il leader di Hezbollah, un membro del comitato direttivo è stato chiamato a dare spiegazioni al Congresso su questi «messaggi proterrorismo». Non se n'era accorto nessuno, ha risposto, perché tra i manager della rete nessuno capiva l'arabo.
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