Il presidente Ahmadinejad promette ritorsioni pesanti, l'ayatollah Khatami minaccia conseguenze «terribili» WASHINGTON — Nome in codice «Glorious Spartan 08». Teatro operativo: il tratto di mare a sud est dell'isola di Creta. E' in questo splendido angolo di Mediterraneo che l'aviazione israeliana ha simulato — dal 28 maggio al 18 giugno — l'attacco all'Iran. Oltre cento caccia F16 e F15, con l'ausilio di aerei per il rifornimento in volo, hanno condotto una missione di 1500 chilometri, la stessa distanza che divide lo Stato ebraico dall'impianto nucleare di Natanz. I jet hanno sganciato bombe, condotto raid contro i radar, attuato manovre evasive. In loro supporto velivoli per la guerra elettronica ed elicotteri che trasportavano i commandos dell'unità speciale 5101, conosciuta come Shaldag, e gli incursori della Sayeret. Una delle simulazioni prevedeva infatti il recupero di piloti abbattuti in «territorio ostile». Al loro fianco i greci, che hanno offerto l'ospitalità dei poligoni e provato interventi coordinati. Gli israeliani, di solito estremamente riservati su quello che combinano, hanno passato al New York Times le informazioni su «Spartan 08» accostando le manovre ad un possibile blitz contro l'Iran. E hanno spiegato, con l'abituale pragmatismo, quali fossero gli obiettivi. Il primo — tecnico — era quello di esercitarsi in un raid a lungo raggio. Le forze aeree israeliane sono abituate ad azioni di questo tipo. Hanno organizzato il raid di Entebbe andando a liberare ostaggi in Uganda e distrutto il reattore iracheno di Osirak. Ma proprio il ricorso «al lungo braccio» ha spinto gli avversari di Israele a dotarsi di contromisure e dunque una eventuale incursione in territorio iraniano può rivelarsi insidiosa. Il secondo obiettivo era ribadire agli Stati Uniti e ai governi occidentali che l'opzione militare non è poi così lontana. Se i ripetuti tentativi negoziali falliranno, non resterà che la forza. Le fughe di notizie, i «piani» rivelati dai giornali, gli scenari dei think thank fanno parte di una accurata regia per preparare le opinioni pubbliche. E la stessa interpretazione va data alle previsioni nere di politici come il tedesco Josckha Fischer e del più coinvolto ex premier israeliano (di origini iraniane) Shaul Mofaz. Il punto non è più «se» ma piuttosto «quando» ci sarà l'assalto. Preoccupato per questi sviluppi, Mohammed ElBaradei, il direttore dell'Aiea, l'ente per l'energia atomica dell'Onu, ha detto ieri sera che si dimetterà nel caso di un attacco contro l'Iran: «Secondo me, è la peggiore opzione possibile. Traformerebbe la regione in una palla di fuoco... Se l'Iran non sta già costruendo armi nucleari, lancerà un corso accelerato con la benedizione di tutti gli iraniani». Agitando le sciabole gli israeliani hanno anche voluto accentuare le inquietudini degli ayatollah, ormai da tempo sotto una forte pressione psicologica e diplomatica. Ogni giorno Teheran dovrà chiedersi se la formazione di jet in avvicinamento sono l'ennesima simulazione o il colpo di maglio. Gli iraniani sono convinti che ai loro confini si sta preparando qualcosa. E reagiscono a parole e con i fatti. Il presidente Ahmadinejad promette ritorsioni pesanti, l'ayatollah Ahmad Khatami minaccia conseguenze «terribili ». L'aviazione è in costante allerta e nelle ultime settimane i vecchi caccia F4, eredità dello Scià, si sono levati in volo per intercettare aerei finiti fuori rotta. Lo Stato Maggiore ha intensificato il programma per potenziare la difesa contraerea: sono state acquistate diverse batterie di missili russi «Sa 300» e «Sa 20». Inoltre gli iraniani hanno chiesto aiuto ai tecnici di Mosca per migliorare i radar. Una necessità emersa dopo il raid compiuto da Israele in Siria il 6 settembre. Il blitz — che per alcuni esperti ha rappresentato un'ulteriore prova di attacco— ha dimostrato che i radar russi sono stati «accecati» con sistemi da guerra elettronica. L'intelligence khomeinista ha anche monitorato con attenzione le attività dell'Us Air Force. Nell'agosto di un anno fa, una formazione di F16 statunitensi ha condotto una misteriosa missione d'addestramento - durata 11 ore - dall'Iraq all'Afghanistan. Per l'analista William Arkyn «c'entra l'Iran». E se il cielo promette tempesta, sul terreno la situazione non è serena. Minoranze etniche e oppositori interni sembrano spinti da nuova linfa e forse nuovi aiuti. I separatisti curdi sono passati all'attacco anche al di fuori della loro regione. I beluci del gruppo Jundallah continuano ad attaccare i pasdaran. Si sono mossi anche gruppi inediti: il Movimento jihadista della Sunna e i «Soldati dell'Assemblea del Regno» (nazionalisti). Entrambi hanno rivendicato la strage nella moschea di Shiraz. Negli ambienti della diaspora non si esclude che le tattiche «mordi e fuggi» di questi nuclei siano legate a un ordine segreto firmato da George Bush alla fine di gennaio con il quale si autorizzano «attività clandestine» per destabilizzare l'Iran. Uno spettatore interessato, la Russia, ha fatto sentire la sua voce. Il ministro degli Esteri Lavrov ha lanciato ieri una severa messa in guardia. Non sarebbe strano se i russi avessero seguito da vicino le manovre a Creta: come ai tempi della Guerra fredda, la Marina ha rimandato in Mediterraneo le sue navi spia. A volte innocui pescherecci, irti di antenne, più interessati ai segreti che ai pesci. Guido Olimpio
Il precedente
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L'attacco In 2 minuti, una domenica pomeriggio del giugno 1981, caccia israeliani distrussero il reattore di Osirak (Osiris+Iraq) costruito con assistenza francese fuori Bagdad, mettendo fine al programma atomico di Saddam Unica potenza Israele si autoaccreditava così come unica potenza nucleare del Medio Oriente. Osiraq aveva comunque già subito l'attacco (inefficace) di aerei iraniani Il governo La decisione del governo Begin (Likud) non fu presa all'unanimità. Alcuni ministri si opposero. Anche l'allora capo dell'opposizione, il laburista Shimon Peres, oggi presidente di Israele, messo al corrente del piano, diede parere negativo e all'ultimo minuto cercò di dissuadere Begin |
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Il capo dell'intelligence israeliana Amos Yadlin, ex pilota dell'«Operazione Opera»
«Pronti alla sfida: come 27 anni fa contro l'Iraq»
DAL NOSTRO CORRISPONDENTE GERUSALEMME — In ufficio, tiene appesa la foto degli F16 che nel 1981 bombardarono il reattore nucleare di Osirak. Amos Yadlin era uno dei piloti nello squadrone dell'Operazione Opera, un lungo volo da Israele all'Iraq. Da quasi due anni guida l'intelligence militare e in marzo ha presentato al governo il rapporto annuale, le stime e i calcoli dei servizi segreti sulle minacce (e le opportunità di pace) che aspettano lo Stato ebraico. Poche settimane fa, ha deciso di concedere per la prima volta un'intervista (ad Ari Shavit di Haaretz), perché almeno una parte di quelle informazioni diventasse pubblica. Yadlin spiega subito di non essere un profeta. «L'intelligence non produce accurate predizioni del futuro, descrive possibili futuri. La nostra verità è fatta di probabilità accumulate». Il lungo colloquio si concentra soprattutto sul nucleare iraniano. «Teheran è una minaccia globale. Il regime sta sviluppando missili capaci di raggiungere con testate atomiche l'Europa e in futuro di attraversare l'Atlantico. Quindi è un problema mondiale». Analizza l'evoluzione dei sistemi balistici degli ayatollah. «Il programma non si sta fermando a un raggio d'azione che tocca Israele e i missili che vengono sviluppati non hanno senso, se non portano armi nucleari. All'inizio, hanno avuto lo Shihab-3 con un raggio di 1300 chilometri. Adesso stanno lavorando all'Ashura, da 2500 a 3500 chilometri. Tecnologicamente, il passo verso una gittata intercontinentale è breve». Spiega che stabilire una data, capire quando l'Iran diventerà una potenza nucleare è complesso. Incalzato dal giornalista, indica un periodo («ma niente è inequivocabile») tra il 2010 e il 2015. La domanda sulla possibilità di un attacco militare è inevitabile: «Siamo i nipoti di una generazione che non ha ascoltato, una generazione che ha dato una scrollata di spalle, quando veniva proclamato che gli ebrei sarebbero stati sterminati. Israele è una nazione forte. Possiamo fronteggiare qualunque minaccia in Medio Oriente». E ricorda il volo a cui partecipò 27 anni fa: «Allora abbiamo affrontato un Paese grande quanto l'Iran, a una distanza simile e con lo stesso livello di ostilità. Anche l'Iraq minacciava di sviluppare armi nucleari». Davide Frattini |
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