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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Avvenire - Il Foglio Rassegna Stampa
20.06.2008 Un'imam predica contro Al Qaeda, un pakistano è condannato a morte in nome della sharia
una buona e una cattiva notizia dal mondo islamico

Testata:Avvenire - Il Foglio
Autore: Stefano Vecchia - Giulio Meotti
Titolo: «Pakistan, musulmano a morte per blasfemia - Apostati di tutto il mondo unitevi»

Da AVVENIRE del 20 giugno 2008:

Protesta anche la comunità cattolica: «Questa sentenza dimostra l’ingiustizia della norma che colpisce non solo le minoranze, ma l’intera società»
  Ancora una condanna a morte in Pakistan, ancora una volta secondo una legge controversa e avversata. Soprattutto una legge, quella comunemente definita «anti-blasfemia» applicata secondo opportunità politiche e interessi particolari lontani dall’ispirazione originaria di salvaguardia dell’ortodossia islamica. Un tribunale del distretto centro-settentrionale di Sialkot ieri ha condannato a morte per blasfemia Mohammed Shafeeq Latif, musulmano.
  In caso di grazia da parte della Corte d’appello, come probabile, Latif difficilmente potrà sfuggire all’ergastolo e al pagamento di una multa pari a mezzo milione di rupie (poco meno di 5mila euro). Il giudice responsabile della sentenza, Suhaib Ahmad Roomi, ha spiegato alla stampa che ha seguito con attenzione il dibattimento, che la sentenza si basa sulle leggi islamiche, nel rispetto dell’articolo 295, comma b e c, del Codice penale pachistano». Il primo punisce con l’ergastolo l’offesa al Corano, il secondo stabilisce la condanna a morte o il carcere a vita per diffamazione contro il profeta Maometto.
  Secondo il direttore della Commissione diocesana per il dialogo interreligioso della diocesi di Faisalabad – come riferito da
AsiaNews –, questa sentenza dimostra ancora una volta l’ingiustizia insita nella legge contro la blasfemia, che colpisce non solo le minoranze, ma l’intera società pachistana. «Condanniamo con forza questa sentenza. È stato provato diverse volte l’abuso di questa legge, manipolata da persone senza scrupoli per favorire i propri interessi, e quest’ultimo caso non è diverso», ha detto padre Aftab James Paul. Da tempo ampi settori della società civile pachistana e con maggior forza le minoranze religiose spesso vittime prime della legge, ne chiedono l’abrogazione o una sostanziale modifica. Inutilmente. Al punto che persino i cristiani iniziano a perdere la speranza. Un sondaggio condotto dal Pakistan Christian Post,
 organo d’informazione online del Congresso cristiano del Pakistan, uno dei movimenti che danno espressione politica alle istanze dei cristiani, ha dato come risultato che il 79 per cento dei partecipanti non crede che il Parlamento possa o voglia abrogare la legge e il 7 per cento non hanno un’opinione in proposito.
  Solo il 14 per cento si è detto convinto che il Paese, che sta attraversando una difficile transizione politica dopo dieci anni di dittatura militare, possa arrivare a cancellare dall’ordinamento giuridico un provvedimento criticato dagli stessi musulmani moderati. Per i cattolici, alla cui avversione per la legge ieri la Commissione Giustizia e Pace della diocesi di Faisalabad ha dato nuovamente voce, i 25 omicidi di persone accusate di blasfemia da parte di estremisti dal 1986, tra cui la brutale uccisione di un giovane indù avvenuta lo scorso maggio, e la sentenza di ieri «sono la conferma del fatto che la legge contro la blasfemia non è un problema soltanto di una minoranza del Paese, ma di tutta la nostra società. Quindi, ne domandiamo la piena abrogazione».
  Complessivamente sarebbero 892 i pachistani accusati secondo la controversa legge dalla sua introduzione 22 anni fa.

Dal FOGLIO:

Roma. “Al Qaida ha commesso un grande errore: ha ucciso troppi musulmani, in Arabia Saudita, in Giordania, in Iraq”. Usama Hassan, qui a colloquio con il Foglio, conosce bene il mondo del jihadismo. E’ da lì che proviene. Oggi è l’imam della moschea londinese di Leyton. Ogni settimana un migliaio di persone ascoltano i suoi sermoni. Fisico teoretico alla Middlesex University, Usama è passato dai campi jihadisti in Afghanistan durante gli anni Novanta. Allora la sua stima per Osama bin Laden era assoluta. Oggi Hassan è uno dei nemici giurati di al Qaida e in questa veste è stato ritratto dal Sunday Times. E’ nato a Londra in una famiglia di pachistani ortodossi orgogliosi di provenire dalla “terra dei puri”. Nel 1989 entrò nel movimento islamista Jamiat al Sunnah, che sosteneva e finanziava il jihad in Kashmir e nella terra dei talebani. Qui Hassan imparò a usare il kalashnikov. “Pensavo che se fossi stato ucciso, sarei diventato un martire. Ero impressionato da Bin Laden, non c’era alcuna altra leadership che si fosse sollevata per i musulmani”. Poi è iniziata la stagione delle stragi, delle fucilazioni di massa, delle decapitazioni dei musulmani “apostati” e della scomunica takfir come dottrina universale da imporre nelle società islamiche. Hassan, che è anche al centro di una formidabile inchiesta del settimanale americano New Republic a firma di Peter Bergen e Paul Cruickshank, ha iniziato un radicale percorso di ripensamento della violenza. Tutto è cambiato con le bombe del 7 luglio del 2005 a Londra. “Ero devastato dall’attacco”. Tre giorni dopo gli attentati, la sua moschea a Leyton organizzò un meeting con 300 religiosi. “Abbiamo spiegato che quegli atti erano male, che erano haram, proibiti dalla sharia. Non fu facile, un giovane gridò che 50 infedeli morti non sono un problema’”. Hassan ha ricevuto minacce di morte per la sua predicazione. Poi ha lanciato la Quilliam Foundation, la prima organizzazione di ex islamisti convertiti alla fede tradizionale, ordinaria e non violenta. “Oggi possiamo dire che lo sceicco Oadah è contro Bin Laden e i giovani ci ascoltano perché Oadah è molto reverito. Quando lui parla, loro ascoltano”. “Quanto sangue hai versato, fratello?” Oadah è il guru che ha iniziato la storica rivolta musulmana contro il terrorismo. “Noi studiosi dell’islam rigettiamo le azioni di Osama bin Laden” spiega nella sua lettera Oadah. Lui è il padre del Sahwa, in arabo significa “Risveglio”, è il grande movimento che negli anni Ottanta invocava la riscossa purista in Arabia Saudita. Oadah è uno dei religiosi più seguiti dall’islam sunnita ed era venerato dallo sceicco del terrore. Dopo il suo arresto nel 1994, il “Battaglione dei fedeli” ha minacciato la casa reale Saud. Al Oadah è riuscito a far uscire dalla sua cella il “sermone della morte”, dove invitava al martirio contro i “crociati”. Oggi Oadah combatte l’ideologia di al Qaida. Domanda a Bin Laden: “Quanto sangue hai versato, fratello? Quanta gente innocente, vecchi, donne e bambini sono stati ammazzati in nome di al Qaida? Sarai felice al cospetto di Dio con tutte queste centinaia di migliaia o milioni di morti sulle spalle? Sei così assetato di potere da camminare sopra le centinaia di migliaia di musulmani. Il mio cuore soffre quando penso al numero di giovani che avevano un così grande potenziale, che avrebbero contribuito alla società in modo così nobile ed originale, che avevano così tanto di positivo e costruttivo da offrire – e sono stati trasformati in bombe viventi”. L’islam difende anche la vita di un passero. “Non potrebbe mai accettare l’omicidio di persone innocenti, qualunque fosse la supposta giustificazione per tale atto”. L’autocritica è poderosa: “Chi è responsabile, fratello Osama, di promuovere la cultura di scomunica che ha separato e distrutto famiglie, e ha fatto sì che i figli chiamassero i loro padri infedeli?”. La fondazione che Hassan ha contribuito a costruire porta il nome del primo inglese convertito all’islam, Sir Quilliam. La stampa inglese l’ha salutata come “il primo pensatoio musulmano contro l’estremismo”. I due confondatori sono Maajid Nawaz, autore del saggio “Why I joined the British jihad - and why I rejected it”, e Ed Husain ex membro del movimento islamista Hizb ut Tahrir. Il loro obiettivo è la “deradicalizzazione” dei musulmani inglesi attraverso l’offerta di un “islam tradizionale e pluralista”. Al British Museum, fra straordinarie misure di sicurezza, la fondazione ha promosso un incontro sull’estremismo islamico. Lì Rachel North, una delle sopravvissute degli attentati del 7 luglio 2005 nella capitale inglese, ha tenuto un grande discorso, mentre l’imam sciita Ali al-Saleh ha parlato di diritti umani. Il principale consulente spirituale della neonata fondazione è Abd al Hamid al Ansari, l’ex preside della facoltà di diritto islamico dell’Università del Qatar e fra i massimi giuristi del mondo islamico sunnita. “I giovani che sono diventati strumenti di assassinio e bombe umane sono figli della cultura dell’odio, sono il frutto di una cultura fanatica e di un’ideologia estremista che considerano la vita, i suoi valori, la sua bellezza come cosa del tutto priva di importanza” ha detto Ansari. “Non siamo stati capaci di far loro amare la vita. Abbiamo insegnato loro a morire nel nome di Allah, ma non abbiamo insegnato loro ad amare, a costruire, ad aiutare la società nel nome di Allah”. La Quilliam Foundation è molto apprezzata anche alla Casa Bianca. Juan Carlos Zarate, che il presidente Bush ha scelto per le politiche di controterrorismo, l’ha elogiata in un’intervista alWashington Post. “Sempre più musulmani, inclusi gli studiosi e i religiosi, stanno mettendo in discussione il programma di al Qaida” ha detto Zarate. Non mancano neppure personalità del mondo conservatore, a cominciare dal consulente del leader Tory David Cameron, Michael Gove. Come Hassan, Nawaz ha conosciuto il jihad da vicino. Nel 2004 venne rilasciato dall’Egitto dopo una condanna a cinque anni in quanto membro di Hizb ut Tahrir. Sintetizza così il suo percorso di conversione e di rinuncia alla violenza: “Non ho perso la mia religione, ho perso la mia ideologia”. Domanda al Ansari: “Come può essere martire colui che si fa saltare in aria negli ospedali e nelle scuole, non rispetta la santità dei luoghi religiosi, e peggio, si uccide uccidendosi nelle stazioni degli autobus e nei ristoranti? Come ha fatto la violenza terroristica a raggiungere livelli simili di pazzia?”. Le storie di abiura di Hassan e Nawaz sono come piccoli ceri votivi contro la distruzione di questi anni.

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