Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Le leggi razziali fasciste contro i soldati ebrei uno studio di Giovanni Cecini
Testata: Corriere della Sera Data: 16 giugno 2008 Pagina: 34 Autore: Giovanni Belardelli Titolo: «Così ai militari ebrei venne tolto l'orgoglio di essere italiani»
Dal CORRIERE della SERA del 6 giugno 2008:
el settembre 1870, alla vigilia della breccia di Porta Pia, il pontefice promise la scomunica al primo soldato italiano che avesse varcato i confini del suo Stato. Ma quel primo soldato «invasore», a quel che sembra, era di religione ebraica e la minaccia fu senza conseguenze. Ebreo sarebbe stato anche il primo caduto italiano in guerra, nel maggio 1915. Ed ebrei furono, sempre nella Grande guerra, il decorato più anziano e il più giovane (che fu, quest'ultimo, Roberto Sarfatti, figlio diciassettenne di Margherita, la futura amante di Mussolini). Bastano già dei piccoli fatti come questi a indicare quanto sia stato stretto il legame tra gli ebrei italiani e la storia militare del Paese, come ora conferma il libro di un giovane studioso, Giovanni Cecini, che pone al centro della sua ricostruzione la vicenda dei Soldati ebrei di Mussolini (Mursia). Si tratta di una vicenda in cui è ben riassunta la peculiare tragicità rappresentata per l'ebraismo italiano dalle «leggi razziali» del 1938: il fatto cioè che quelle leggi colpirono un segmento della popolazione che si era sempre identificato assai strettamente con la storia nazionale, a partire dalle lotte risorgimentali. Gli ebrei vi si erano identificati anzitutto per l'ovvia ragione che l'indipendenza e l'unità d'Italia avevano coinciso con il processo della loro emancipazione, cioè con l'acquisizione dell'eguaglianza giuridica e civile. Da ciò appunto il fatto che si sentissero subito spinti a una piena integrazione nella vita nazionale, nutrita di un forte sentimento patriottico, e spesso nazionalista, che li portò poi ad accettare anche il fascismo. Il 23 marzo 1919, tra i 119 fondatori del nuovo movimento di Mussolini, cinque erano ebrei. E non pochi ebrei erano presenti tra il 1919 e il 1922 nelle file dello squadrismo. È del resto noto che per molti anni l'ebraismo italiano avrebbe tributato un consenso, non diverso da quello del complesso della popolazione, al regime che poi lo avrebbe perseguitato. Ancora nel gennaio 1937 il rabbino capo e il presidente della Comunità israelitica di Trieste inviarono a Mussolini la cospicua cifra di ventimila lire per solennizzare la fondazione dell'Impero. Tra gli ebrei italiani che si trovarono a vestire la divisa questo processo di identificazione con il regime fascista, concepito anzitutto come unico e legittimo rappresentante della patria, fu particolarmente forte. E particolarmente forte fu, per quegli stessi ebrei, la disillusione conseguente, nel 1938, alla svolta antisemita del regime. A partire dalla fine del 1937 i ministeri della Guerra, della Marina e dell'Aeronautica avevano impartito direttive finalizzate a una epurazione sotterranea degli ebrei. Si volevano evitare nuove ammissioni di israeliti nelle scuole e accademie militari e rendere la vita quanto più dura possibile ai giovani ebrei che già ne facevano parte. Nella stessa direzione andavano alcuni casi di promozioni mancate di ufficiali ebrei che Cecini riferisce. Ma l'ebraismo italiano non percepì i segni di ciò che si stava preparando: anche per questo l'avvento della legislazione razziale, che collocava in «congedo assoluto » tutti i militari di «razza ebraica », rappresentò un colpo durissimo. Ve ne è traccia in una lettera che il generale Guido Liuzzi inviò al Duce nel settembre 1938, dichiarando di parlare a nome della maggioranza degli ebrei italiani: «Durante sedici anni di Era Fascista siamo stati parte integrante del meraviglioso blocco unitario che, solo nel mondo, Voi avete saputo forgiare. (...) Se ritenete che non abbiamo dato prove sufficienti di devozione, altre chiedetene e ne daremo. Ma non menomateci del bene supremo e unico, cui aspiriamo: la Patria». Parole retoriche, certo, che però lasciano trasparire quanto la perdita della divisa aggravasse, per i militari ebrei, il dramma della discriminazione razziale, giacché in un certo senso venivano colpiti due volte, come ebrei ma anche come appartenenti alle forze armate. Il dramma si rinnovò di fronte allo scoppio della Seconda guerra mondiale e poi alla partecipazione italiana al conflitto. Fu la stessa Unione delle comunità israelitiche a rivolgersi allora al capo del fascismo perché tenesse conto delle aspirazioni degli ebrei italiani, dichiarandosi (pur due anni dopo il varo delle «leggi razziali») «certa che i correligionari tutti vorranno mettersi all'occorrenza a disposizione delle Autorità partecipando con tutte le loro forze al conseguimento degli alti fini nazionali». Il giorno della dichiarazione di guerra l'ingegnere Arturo Minerbi, pluridecorato nella Grande guerra, si presentò in divisa da ufficiale dell'esercito per essere arruolato, dovendo subire l'umiliazione di un rifiuto che sentì come una degradazione. Identico esito ebbe la richiesta analoga presentata per sé e per il figlio da Guido Jung, ministro fascista delle Finanze nel 1932-34, che si dichiarò disposto anche ad assumere un altro nome (non israelita) pur di essere impiegato in guerra. Il capitano di corvetta Sergio Lusena, che era stato espulso dalla marina perché ebreo, si mise a frequentare i moli in modo da poter almeno salutare i vecchi compagni che partivano. Non reagirono tutti e sempre così gli ex ufficiali ebrei: se il capitano Mario Jesurum continuò fino al 1942 ad inoltrare richieste di arruolamento destinate ad essere respinte, molti altri invece emigrarono. In ogni caso tutti, emigrati o no, sentirono la discriminazione come una ferita tanto più bruciante perché veniva da un Paese che avevano servito, in divisa, con particolare dedizione.
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