Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
La propaganda di Hamas in pagina le interviste acritiche di Umberto De Giovannangeli e Lorenzo Bianchi
Testata:L'Unità - Il Giorno Autore: Umberto De Giovannangeli - Lorenzo Bianchi Titolo: ««Gaza un anno dopo, noi di Hamas siamo più forti di prima» - Tregua vicina a Gaza Anche Hamas la vuole»
La propaganda di Hamas acriticamente riportata da L'UNITA' in un'intervista di Umberto De Giovannangeli al capo terrorista , Said Siam .
È l’uomo-forte di Hamas. Il vero padrone di Gaza. Un anno fa furono i suoi uomini a conquistare la Striscia e a sbaragliare le milizie di Al-Fatah. Già ministro dell’Interno del governo di Hamas, Said Siam è il fondatore della Tansifiya, la forza di sicurezza di Hamas: migliaia di uomini in armi, bene addestrati, inquadrati in quello che l’intelligence militare d’Israele definisce il nucleo centrale dell’«esercito di Hamas». Il nostro colloquio parte da Gaza un anno dopo la presa del potere da parte del movimento islamico palestinese. «Israele - dice Siam - ha provato con tutti i mezzi a distruggerci. Non c’è riuscito perché la forza di Hamas è nel suo radicamento popolare. E un popolo non può essere cancellato». Partiamo da quei terribili giorni di un anno fa. La guerra fratricida. La comunità internazionale, oltre che l’Anp di Abu Mazen, accusarono Hamas di golpe. «È una lettura di parte, forzata, coerente con il rifiuto di riconoscere che Hamas aveva conquistato il diritto a governare con le armi ma con libere elezioni…». Torniamo a quei giorni di sangue… «Andare allo scontro fu inevitabile. Dopo mesi e mesi di provocazioni da parte di quei membri di Fatah che lavoravano contro gli interessi del popolo palestinese, fummo costretti ad agire.Fu un atto di autodifesa contro il tentativo di rovesciare il governo di unità nazionale guidato da Haniyeh (il premier di Hamas, ndr.)». Gaza dodici mesi dopo. Qual è il bilancio di Hamas? «Gaza ha ritrovato la calma. Non si registrano più sequestri di persona, le strade sono più sicure, il crimine è diminuito. Un cittadino straniero può vivere e lavorare a Gaza senza alcun problema». Lei tratteggia una realtà che contrasta con le drammatiche testimonianze, che l’Unità ha documentato, sulle drammatiche condizioni di vita della popolazione di Gaza. «Lei si riferisce alle conseguenze dei crimini contro l’umanità perpetrati dalle forze di occupazione israeliane! Lei fa riferimento alle punizioni collettive inflitte ai civili, al blocco dei valichi di frontiera, ad una politica criminale perseguita da Israele con un unico obiettivo: debellare la resistenza. Israele sta tenendo in ostaggio un milione e 400mila palestinesi, ma il mondo cosiddetto libero e civile fa finta di non vedere, come fa finta di protestare contro la colonizzazione ebraica della Cisgiordania e di Al Quds (Gerusalemme, ndr.)». Israele ribatte che l’assedio di Gaza è conseguenza del lancio continuo dei razzi Qassam contro le sue città. «A Israele abbiamo proposto una "hudna" (tregua, ndr.) di lunga durata, anche dieci anni. Ma per reggere la hudna deve essere bilaterale, totale. Il lancio dei Qassam avrà fine quando Israele porrà fine all’assedio di Gaza e agli assassinii di militanti e dirigenti della resistenza». Israele è in bilico tra l’accettazione della tregua e una massiccia offensiva militare a Gaza. «Per noi l’hudna non è sinonimo di resa al nemico né un riconoscimento implicito, pregiudiziale di Israele. L’hudna è nell’interesse del popolo palestinese come degli israeliani. Se poi Israele sceglierà la prova di forza, siamo pronti a riceverli. Gaza sarà il loro Vietnam». Il presidente Abu Mazen si è detto pronto a riprendere il dialogo nazionale con Hamas. «È un segnale positivo ma che va verificato alla prova dei fatti. Noi rispettiamo Abu Mazen e lo consideriamo il presidente dei palestinesi, allo stesso tempo lui deve rispettare la volontà popolare che con le elezioni del 2006 ha dato la maggioranza ad Hamas. Quelle elezioni non possono essere cancellate». C’è chi sostiene che Hamas ha paura di tornare al voto. «Siamo forti più di prima e non è il voto a impensierirci. Non vedo però ragioni per un voto immediato. All’inizio del 2009 scadrà il mandato di Abu Mazen e nel 2010 avrà termine la legislatura, le elezioni sono previste in tempi stretti. D’altra parte, senza un accordo tra Hamas e Al Fatah non vedo proprio come i palestinesi potranno recarsi alle urne». Vorrei tornare sulla possibilità di raggiungere una tregua con Israele. L’accordo dovrebbe riguardare anche la liberazione del caporale israeliano Gilad Shalit? «La tregua riguarda la cessazione delle operazioni militari da ambedue le parti. Il resto può essere affrontato in una fase successiva. Israele ha nelle sue carceri migliaia di palestinesi. La loro liberazione è non meno importante di quella del soldato israeliano».
Sul GIORNO il medesimo messaggio di Said è portato dal politico (vicino ad Hamas, sebbene "laico" e non direttamente legato al terrore Mustafa Barghouti, intervistato da Lorenzo Bianchi