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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - Il Foglio - Liberal - L'Opinione Rassegna Stampa
11.06.2008 Sanzioni all'Iran: accordo Usa-Ue
mentre Ahmadinejad coglie successi diplomatici e continua a minacciare Israele

Testata:La Stampa - Il Foglio - Liberal - L'Opinione
Autore: Maurizio Molinari - la redazione - Emanuele Ottolenghi - Michael Sfaradi
Titolo: «Sanzioni all'Iran Bush incassa l'appoggio dell'Ue - Ma Ahmadinejad a Roma ha rotto l'accerchiamento - Sulle sanzioni all’Iran l’Europa c’è - La vera proposta di Bush alla Ue - Iran: debole, quindi aggressivo»

Da La STAMPA dell'11 giugno 2008, la cronaca di Maurizio Molinari sull'accordo tra Europa e Stati uniti sulle sanzioni all'Iran:

Accordo fra Unione Europea e Stati Uniti sulle nuove sanzioni all’Iran. Al termine di due ore di colloqui nel castello sloveno di Brdo il presidente americano George W. Bush ha firmato con il presidente di turno dell’Unione Europea, il premier Janez Jansa, e il capo della Commissione Europea, José Manuel Barroso, la «Dichiarazione congiunta» del suo ultimo summit con l’Ue nella quale si concordano «misure addizionali» ai danni di Teheran se non bloccherà il programma nucleare come richiesto dalle risoluzioni Onu 1737, 1747 e 1803. Sull’entità di queste misure è stato concordato il più stretto riserbo. Nel testo si fa riferimento a «passi per assicurarsi che l’Iran non possa abusare del sistema bancario internazionale per sostenere la proliferazione e il terrorismo» ma mancano i dettagli. A spiegarne il motivo è Gordon Johndroe, portavoce del consiglio per la sicurezza nazionale, che a lavori terminati dice: «Non vogliamo far sapere agli iraniani cosa faremo per impedirgli di adottare delle contromisure». Fino alla vigilia del vertice sloveno, l’ottavo di Bush con l’Ue, le indiscrezioni riguardavano misure per limitare gli investimenti economici e i movimenti bancari ma sarebbe stata la decisione di Teheran di ritirare ingenti depositi bancari dall’Europa a suggerire di «non dare all’Iran alcun tipo di aiuto».
A ciò bisogna aggiungere che, come ha fatto sapere Bush durante la conferenza stampa finale, «Javier Solana andrà presto in missione a Teheran» con il compito di rinnovare e rinfrescare la proposta di incentivi economici affinché il leader iraniano Mahmud Ahmadinejad blocchi l’arricchimento dell’uranio come aveva fatto il predecessore Mohammed Khatami. «L’arricchimento deve essere bloccato - ha detto l’inquilino della Casa Bianca - perché gli iraniani hanno imparato come realizzare la prima parte di un ordigno nucleare» e l’Agenzia atomica dell’Onu (Aiea) continua a sospettare che il loro programma sia militare. «Ci aspettiamo che l’Iran rispetti gli obblighi internazionali e sospenda l’arricchimento in maniera verificabile» recita il documento, che è duro nei confronti di Teheran perché le imputa anche connivenze con il terrorismo e la violazione dei diritti umani «contro le donne e le minoranze».
Forte di questi risultati, Bush alza i toni con Ahmadinejad: «L’Iran è al bivio fra migliori relazioni internazionali e l’isolamento». E sull’opzione militare mostra comprensione per chi a Gerusalemme ipotizza l’attacco: «Posso capire che Israele sia preoccupato da un regime che minaccia di distruggerlo». Incassato il successo nel castello di Brdo, dove nel 2001 iniziò il suo primo viaggio in Europa con un summit con l’allora presidente russo Vladimir Putin, Bush è volato a Berlino per discutere con la cancelliera Angela Merkel le «misure addizionali» ai danni di Teheran. «Un gruppo di nazioni può mandare un messaggio chiaro a Teheran» dice Bush, anticipando il messaggio che recapiterà oggi a Silvio Berlusconi e porterà poi a Parigi e Londra. L’auspicio della Casa Bianca è in una dimostrazione di «diplomazia energica» da parte dei principali Paesi europei, che sono poi i più importanti partner commerciali degli ayatollah. Quando i portavoce della Casa Bianca si riferiscono a tale gruppo di Paesi usano l’espressione «il gruppo 5+1 più l’Italia», confermando la scelta di sostenere l’entrata del nostro Paese nel forum che riunisce i cinque membri permanenti del Consiglio di Sicurezza più la Germania. Ma alla domanda se Bush sosterrà l’entrata dell’Italia nei colloqui con la Merkel, che è contraria, Johndroe risponde con un laconico «non so».
Sfruttando l’atmosfera positiva del summit sloveno Bush ha chiesto all’Ue di tenere le sanzioni a Cuba fino a quando «tutti i prigionieri politici saranno liberati» e si è detto certo di «un accordo entro l’anno sul clima» anche se permangono le divisioni sul taglio dei gas serra. Nel complesso Bush esce soddisfatto dal vertice e salutando dicendo: «Presto sarò pensionato, tornerò da turista».

Un altro articolo di Molinari, sui successi diplomatici di Ahmadinejad al vertice Fao:

Durante il breve soggiorno romano in occasione del vertice della Fao il presidente iraniano Mahmud Ahmadinejad ha ottenuto un risultato diplomatico che stride con le proteste di piazza e la decisione del governo italiano di non avere alcun contatto con lui. A garantirgli questo risultato è stato Yasuo Fukuda, il neo-premier nipponico, che a margine dei lavori del summit ha avuto con Ahmadinejad un colloquio durato 50 minuti. La notizia è rimbalzata a Washington da Tokyo grazie ad una serie di indiscrezioni di stampa che sono state accompagnate da forti imbarazzi diplomatici.
Raggiunto da esplicite richieste di chiarimento sui motivi che lo avevano spinto a vedere di persona Ahmadinejad, Fukuda ha fatto sapere che il motivo è stato «ribadire la necessità di interrompere l’arricchimento dell’uranio nel rispetto delle risoluzioni approvate dal Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite». Ma a dispetto delle giustificazioni diplomatiche restano molti interrogativi su quanto in realtà sia avvenuto, a cominciare dal fatto che Tokyo ha prima ammesso a stento che l’incontro era davvero avvenuto, poi ha parlato di «casualità» e quindi, dopo le notizie pubblicate sul «Japan Times», ha precisato che la durata era stata limitata a 10 minuti, allungatisi poi a 20 e finiti per essere infine ben 50.
Quasi un’ora di colloquio fra il capo del governo della nazione presidente del G8 nel bel mezzo dell’assedio diplomatico internazionale nei confronti di Teheran sono difficili da giustificare con una banale «casualità» anche perché, secondo fonti diplomatiche europee, Fukuda avrebbe visto Ahmadinejad accompagnato dai propri consiglieri mediorientali arrivati appositamente da Tokyo. Se è vero che il Giappone resta formalmente schierato sulle posizioni americane in merito alle sanzioni contro il nucleare, la crescente dipendenza dalle importazioni di greggio del Golfo Persico e la perdurante vicenda di uno studente universitario del Sol Levante misteriosamente scomparso da tempo in Iran contribuiscono a far temere che Tokyo stia perseguendo con cautela una propria agenda iraniana.
Poiché proprio le sanzioni a Teheran sono in cima al calendario dei lavori del summit del G8 che si svolgerà in luglio sull’isola di Hokkaido è prevedibile che Washington, come anche alcune capitali europee, chiederà chiarimenti a Fukuda su quanto è realmente avvenuto durante i 50 minuti romani lo scorso 3 giugno. Il faccia a faccia con il capo del governo di Tokyo, alleato di ferro di Washington in Estremo Oriente, contribuisce a far comprendere perché un sorridente Ahmadinejad espresse soddisfazione al termine del breve soggiorno capitolino che gli aveva riservato solo brutte sorprese a causa delle scelte dell’Italia.

L'editoriale del FOGLIO sull'accordo Usa-Ue

A dimostrazione che il presidente americano, George W. Bush, lascia in eredità buone relazioni transatlantiche, per la prima volta i Ventisette si sono impegnati pubblicamente ad adottare sanzioni unilaterali sul modello americano contro la Repubblica islamica. Europa e America non soltanto si aspettano che l’Iran rispetti “i suoi obblighi internazionali” sul nucleare, sospendendo l’arricchimento dell’uranio, ma abbandonano l’illusione del dialogo a tutti i costi a favore delle sole sanzioni che possono condizionare i mullah: quelle finanziarie. Con la promessa di dare attuazione alle risoluzioni dell’Onu e di “integrare tali sanzioni con misure supplementari”, l’Europa esce dal multilateralismo impotente dell’Onu e si prepara a colpire la principale banca commerciale iraniana, la Melli Bank. L’Ue deve però fare in fretta. Nonostante la proposta di incentivi all’Iran sia pronta da un mese, il capo della diplomazia europea, Javier Solana, andrà a presentarla a Teheran soltanto questa settimana. L’Europa vuole aspettare una risposta iraniana prima di adottare le nuove sanzioni. Mahmoud Ahmadinejad fa giocare il tempo a suo favore: ha ordinato il rimpatrio dei miliardi di euro iraniani presenti nelle banche in Europa e “i depositi sono a livelli minimi, appena sufficienti a evitare che vengano chiusi i conti”, ha confermato il viceministro degli Esteri di Teheran. Se l’Iran è una “minaccia straordinaria”, come ha detto ieri Bush, ma come dicono anche Sarkozy, Brown e Merkel, è urgente passare dalle parole ai fatti.

Da LIBERAL l'analisi di Emanuele Ottolenghi:

La visita del presidente americano George W. Bush segue di appena una settimana la presentazione dell’ultimo rapporto di Mohammed El-Baradei all’Agenzia internazionale per l’energia atomica. Il rapporto di El-Baradei ha messo a nudo in maniera incontrovertibile gli aspetti militari del programma nucleare iraniano e pertanto le conclusioni che si debbono trarre da tale studio sono più che preoccupanti. Il progetto nucleare iraniano sta avanzando rapidamente e la capacità di Teheran di superare la soglia tecnologica necessaria per costruire un ordigno nucleare si avvicina sempre di più: è questione di mesi, non di anni. Data questa premessa, non sorprende che la priorità dell’agenda della visita di Bush in Europa sia quella di convincere i partner europei ad aumentare la pressione diplomatica su Teheran attraverso un nuovo round di sanzioni.

La strategia che il Presidente cercherà di perseguire nei suoi colloqui a Lubiana durante il Summit Transatlantico e nelle sue prossime visite a Roma, Parigi, Berlino e Londra sarà di convincere gli alleati ad allargare in maniera significativa – e per l’Europa economicamente dolorosa – il pacchetto di sanzioni economiche contro l’Iran, a partire da quelle relative al settore bancario (vedi la banca Melli) e finanziario per assicurare che le banche iraniane non possano abusare del sistema bancario internazionale per sostenere la proliferazione nucleare e il terrorismo. La speranza americana è che il rapporto di El-Baradei convinca non solo gli europei ma anche il resto della comunità internazionale ad approvare nuove misure in seno al Consiglio di Sicurezza dell’Onu. E tuttavia è prevedibile che il prezzo del consenso internazionale sarà l’annacquamento delle sanzioni.

Ecco perché Bush, dunque, nei suoi colloqui europei cercherà di ottenere un immediato consenso per un pacchetto di sanzioni Ue. In questo senso l’amministrazione americana perseguirà due strade parallele. La prima è una serie di misure che possano essere accettate e attuate da tutti i 27 membri dell’Unione europea; anche qui ci sono delle difficoltà dovute alla continua opposizione ad un inasprimento delle sanzioni europee da parte di Paesi come Austria Cipro, Grecia, Malta, Spagna e in misura minore Germania e Italia. Bush spera di convincere il nuovo governo Berlusconi a gettare il peso e il prestigio dell’Italia dietro a questo sforzo di convincimento degli europei meno propensi a nuove sanzioni. Esiste, però, anche una terza via: se il consenso europeo si rivelasse sfuggente, rimane comunque la possibilità di colpire l’Iran attraverso sanzioni selettive che si concentrino contro il settore energetico, specialmente quello del gas naturale, dove è indispensabile la tecnologia e il supporto di alcuni Paesi europei leader nel settore (e solo di questi): la Francia  la Germania, l’Inghilterra, l’Olanda, la Spagna e l’Italia.

Questa terza opzione sembra la più probabile. L’Iran ha disperatamente bisogno, infatti, dell’apporto tecnologico europeo per sviluppare il settore del gas naturale liquido. Non dimentichiamoci, infatti, che l’Iran possiede la seconda più grande riserva di gas naturale del mondo, ma che la mancanza di infrastrutture e di capacità estrattiva le impediscono di esportare queste risorse o di utilizzarle per il fabbisogno nazionale. In un mondo sempre più assetato di energia, il gas iraniano fa gola a molti, ma senza gli investimenti e il know-how europeo il gas iraniano è destinato a rimanere dove si trova ora: sottoterra. E questa situazione non farà altro che danneggiare, soprattutto in un’ottica di lungo periodo, la stabilità del regime. Ebbene, proprio questo e altri tipi di sanzioni mirate saranno l’oggetto di discussione tra Bush e i suoi partner europei nei prossimi giorni.

Non vi è certezza che tali misure possano avere un effetto dissuasore sul calcolo nucleare del regime iraniano nel breve periodo. Ma certamente esse incontreranno forti opposizioni da parte degli interessi economici europei, in particolare delle grandi compagnie energetiche. Per l’Europa si tratta di una scelta difficile ma, e questo probabilmente Bush lo dirà chiaramente ai suoi interlocutori, l’alternativa ad un nuovo round di sanzioni non è lo status quo, ma un attacco militare - probabilmente americano - contro le installazioni nucleari iraniane prima della fine della presidenza Bush. È opinione condivisa che la campagna elettorale per la Casa Bianca impedisca all’attuale presidente di lanciare ambiziose e rischiose imprese militari contro Teheran, ma entrambi i candidati si sono già espressi in maniera chiara ed inequivocabile al riguardo.

E se nei prossimi mesi George W. Bush dovesse disporre di informazioni intelligence ancora più precise di quelle che ha in mano oggi, potrebbe ordinare un attacco previa consultazione con i due candidati alla presidenza. Oppure, se questo accadesse dopo le elezioni di novembre, sotto il diretto coordinamento con il presidente in pectore. E viste le probabili conseguenze di un’azione militare possiamo dire che i costi, i rischi e le difficoltà di nuove sanzioni europee sembrano il male minore.

L'analisi di Michael Sfaradi sulla crisi iraniana, da L' OPINIONE :

Mentre l’ambasciatore dell’Iran all’Onu chiedeva al consiglio di sicurezza una risoluzione di condanna di Israele perché minaccia l’Iran che uno stato membro delle Nazioni Unite, il Ministro della Difesa iraniano, Mustafa Mohammad Nejar, ha dichiarava all’agenzia di stampa Irna, che se qualcuno proverà a fare una cosa “così ridicola” come attaccare militarmente la Repubblica Islamica, la risposta sarà pesante e dolorosa. Questo in risposta a ciò che il Ministro delle Infrastrutture israeliano Shaul Mofaz aveva detto durante un’intervista, e cioè che con il passare del tempo e con la mancanza di risultati concreti per dissuadere il governo di Teheran a fermare la sua rincorsa verso la bomba atomica, un attacco militare diventava sempre più possibile se non inevitabile. Ma Mustafa Muhammad Nejar è andato oltre, riprendendo e confermando le teorie del suo Presidente Ahmedinejad, che vede una fine di Israele in un futuro non tanto lontano. Durante la disquisizione ha detto che in Israele ci sono grandi problemi psicologici dovuti alla sconfitta subita da Hezbollah e che “i giovani israeliani vogliono andare a vivere in altre nazioni perché non hanno futuro in patria”.

Queste dichiarazioni sono molto lontane dalla realtà, dato che Israele non ha alcun problema psicologico con cui fare i conti, semmai il problema è pratico, cioè l’esercito israeliano agisce cercando di mietere quante meno vittime civili fra le popolazioni che sono ostaggio dei gruppi terroristici finanziati proprio dall’Iran. Terroristi che contro tutte le convenzioni di Ginevra operano facendosi scudo della popolazione e quando viene colpito qualcuno che non ha a che fare con loro, questo diventa poi arma di propaganda internazionale e una carta da giocare in un’Onu sempre compiacente e pronta a condannare nuovamente Israele. Una condanna ad Israele non la si nega mai. Anche se parte della gioventù israeliana vive la propria patria criticandola e mettendo in luce i difetti di una democrazia che non può permettersi di essere perfetta, pena la sua scomparsa, la amano e non vorrebbero costruire il loro futuro in nessuna altra parte del mondo. È vero che sono tanti i giovani che passano parte della loro vita all’estero, ma poi tornano e mettono in pratica le esperienze accumulate, e questa è la vera ricchezza di Israele. Se i governanti iraniani vedono in questo un punto di debolezza, dimostrano ancora una volta di non aver capito niente e, se possibile, danno la misura di quanto ignorino del mondo che vorrebbero distruggere. Sanno solo fare dichiarazioni piene di minacce che si susseguono al ritmo incalzante di una vera e propria guerra psicologica, e l’esternazione odierna è solo l’ultimo esempio, in ordine di tempo, che conferma l’alzarsi della tensione internazionale.

L’Iran fa credere che può permettersi di giocare con Israele come il gatto con il topo, ma sa perfettamente che non potrebbe mai aprire una guerra di missili e bottoni senza pagarne un prezzo amaro, perché se è vero che Israele ne uscirebbe malconcia, dell’Iran di oggi così come la conosciamo non rimarrebbero che pochi ruderi radioattivi. A Teheran, dietro tanta sicurezza, si vive nel timore che Usa ed Israele, ad dispetto della staticità europea, rompano gli indugi a passino all’azione. I segnali che questo possa improvvisamente accadere ci sono e sono tanti e non serve essere degli esperti analisti per capire che aria tiri. Il premier iracheno si è affrettato a dire durante una sua visita a Teheran, e questo è stato riportato un po’ in sordina come si fa con tutte le notizie scomode, che la sua nazione non sarà una rampa di lancio per attacchi verso l’Iran. Perché abbia detto questo non è chiaro solo a chi non vuol vedere. Nelle prossime settimane avremo la misura di quello che potrà accadere, anche perché ormai siamo davvero vicini al punto di non ritorno.

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