Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Testata:Corriere della Sera - L'Unità Autore: Guido Olimpio - Umberto De Giovannangeli Titolo: ««L'Iraq non farà da base per un attacco all'Iran» - Attacco per fermare l’Iran, in Israele è bufera sul falco Mofaz»
Dal CORRIERE della SERA del 9 giugno 2008, un articolo di Guido Olimpiosulle voci di un imminente attacco all'Iran.
WASHINGTON — Per ora sono solo indizi. Segnali raccolti da diplomatici e analisti dell'intelligence chiamati a rispondere a un quesito: l'attacco all'Iran è vicino? A giudicare dall'agitazione delle ultime settimane sembrerebbe di sì. Mettiamo insieme i tasselli partendo dall'ultimo. Il premier iracheno Nouri Al Maliki, in visita a Teheran, ha assicurato che il suo paese non farà mai da base a un eventuale blitz contro l'Iran. Affermazione rivolta non solo ai vicini ma anche a quegli esponenti iracheni contrari a un accordo militare con gli Usa che darebbe al Pentagono la possibilità di usare l'Iraq come trampolino. Quasi contemporaneamente, in un'altra capitale molto interessata - Gerusalemme - il governo israeliano ha cercato di prendere le distanze dalle dichiarazioni del ministro Shaul Mofaz. Ex generale, di origine iraniana, con grandi ambizioni politiche, ha sostenuto che l'attacco per fermare il programma nucleare iraniano è inevitabile. Preoccupato dalle reazioni - anche il prezzo del petrolio ne ha risentito - Gerusalemme ha ribadito di essere in favore di nuove pressioni internazionali. Una posizione che in realtà - affermano alcuni - sarebbe una cortina fumogena per nascondere i preparativi di un assalto. Il premier Olmert è appena tornato da Washington per «uno scambio di idee» con Bush sull'Iran. Un incontro preceduto da una consultazione tra i responsabili dell'intelligence dei due paesi. La sensazione è quella di un crescente coordinamento in vista di un possibile raid. Tra quanti credono che l'opzione militare sia ineluttabile c'è l'ex ministro degli Esteri tedesco Joschka Fischer. In un articolo sul quotidiano libanese Daily Star ha disegnato uno scenario che considera altamente probabile un attacco all'Iran da parte di Israele e Stati Uniti. Ai suoi occhi il recente discorso di Bush alla Knesset, dove ha denunciato l'arrendevolezza davanti ai mullah, ne è la manifestazione più chiara. L'interpretazione di Fischer si salda con l'indiscrezione su un ordine segreto firmato da Bush a metà gennaio: un atto con il quale la Casa Bianca autorizza, tra l'altro, operazioni clandestine a sostegno di gruppi armati dell'opposizione. E qualche attività - secondo informazioni da noi raccolte - sono già in corso. Molti esuli sono convinti o forse sperano - che «sia possibile una sorpresa». Ma quando? Esperti militari indicano settembre, perché in quei giorni vi saranno forze americane sufficienti. Altri invece suggeriscono una «finestra» tra novembre e gennaio: ossia quando già è stato eletto il nuovo presidente americano ma non è ancora in carica. Un'opportunità, aggiungono altri, che potrebbe essere usata da Israele, abile come pochi a sfruttare momenti internazionali particolari. A Teheran scrutano i «segnali di fumo». I duri, come Ahmadinejad, li interpretano come l'avvicinarsi di una desiderata Apocalisse. I pragmatici, trovando sponda anche in commentatori occidentali, pensano che gli americani «non abbiano lo stomaco» per farlo, si affidano a contatti riservati con gli stessi statunitensi e puntano sulle resistenze del Pentagono. Per ora si può solo aspettare.
Da L' UNITA', un articolo di Umberto De Giovannangeli che riporta, non nascondendo una sostanziale condivisione, le critiche ricevute in Israele dal vicepremier Shaul Mofaz per le sue dichiarazioni sull'inevitabilità di un attacco israeliano all'Iran. L'articolo si conclude addirittura con un "non c'è limite al peggio" riferito a Mofaz.
L’irritato imbarazzo della Casa Bianca. La stizzita reazione degli alleati di governo. Il silenzio ostile del primo ministro. È bufera nel governo israeliano per le dichiarazioni del vice premier Shaul Mofaz (Kadima) sull’«inevitabile» attacco all’Iran per arrestare il programma di riarmo nucleare del regime dei Pasdaran. Capo di stato maggiore e ministro della Difesa tra il 2002 e il 2006, Mofaz aveva ribadito le sue convinzioni in una intervista a l’Unità: «In assenza di un ripensamento che appare inimmaginabile da parte del regime iraniano, Israele non ha altra scelta che attaccare l’Iran per fermare il suo programma nucleare», aveva sostenuto. Le parole di Mofaz hanno avuto una eco mondiale perché questi, oltre a fungere da ministro dei Trasporti, è anche responsabile del dialogo strategico fra Israele e Usa: «L’America - aveva sostenuto nell’intervista Mofaz - è consapevole del pericolo iraniano. E sarà a nostro fianco nel momento della verità». Ieri la risposta degli alleati di governo. Durissima. In una prima dichiarazione alla stampa il viceministro della Difesa Matan Vilnay (laburista) ha affermato che «è assolutamente vietato, ed è anche molto grave, l’uso cinico di questioni di carattere strategico per Israele per fini che hanno a che vedere con contese all’interno di un partito»: una allusione alle lotte di potere nel partito Kadima, in seguito a traversie giudiziarie in cui versa il premier Ehud Olmert. D’altro canto, lo stesso Mofaz non ha nascosto di ambire ad assumere la guida di Kadima, e possibilmente la carica di primo ministro, se Olmert fosse costretto a farsi da parte travolto dallo scandalo che lo vede indagato. «In periodi come questi - ha aggiunto Vilnay, citando versetto biblico - il saggio dovrebbe restare muto». Mofaz, ha concluso l’esponente laburista, farebbe cosa opportuna «se lasciasse dunque le questioni della difesa nazionale a chi già se ne occupa». Vale a dire Ehud Barak, ministro della Difesa e leader del Labour. Barak non risponde ufficialmente, ma affida il suo pensiero ad una autorevole fonte del suo ministero: il pensiero di Mofaz, dice, «non riflette la politica» del governo e, anzi, tali affermazioni «rischiano di rendere ancora più difficile per Israele convincere altri Paesi a decidere sanzioni contro l’Iran». «Dobbiamo fermare l’Iran, ma non apparire alla guida degli sforzi per far cessare lo sviluppo del nucleare iraniano», sottolinea un altro funzionario della Difesa, giudicando dannose per Israele le affermazioni del ministro. Oltre che a surriscaldare il già infuocato clima politico interno, le dichiarazioni di Mofaz hanno fatto impennare i prezzi del petrolio di quasi il 9 per cento a un record di 139 dollari al barile. Dai giornali Mofaz ha ricevuto l’epiteto di «Fanfarone» ed è stato accusato di aver causato - usando parole incaute - il repentino aumento dei prezzi del petrolio. Ieri comunque Yediot Ahronot spalma su quattro pagine il pensiero politico di Mofaz: «Io non consentirò che l’Iran si doti di armi nucleari» assicura Mofaz, che si è formato nel Likud. Ha critiche anche per Olmert, che prosegue con il presidente palestinese Mahhmud Abbas (Abu Mazen) negoziati che il vicepremier ritiene sterili. «Non ci sarà alcun accordo nel 2008. Nemmeno nel 2009», sancisce spazzando via in due righe il lavorio diplomatico della sua maggiore rivale, la ministra degli Esteri Tzipi Livni. Mofaz è deluso anche del ministro della Difesa Ehud Barak. Ricorda che fu lui, Mofaz, ad ordinare l’uccisione di due leader di Hamas (Ahmed Yassin e Abdel Aziz Rantisi) e adesso è giunto il momento di tornare ad «abbattere tutti i dirigenti di Hamas». Alla Siria, Mofaz manda a dire che le alture del Golan «sono parte di Israele» e che con Damasco è possibile parlare solo di «pace in cambio di pace». Mentre resta ancora da vedere se, sul piano internazionale, avranno più effetto le minacce di Mofaz o le critiche del viceministro Vilnay, sul piano interno la sua effervescente sortita ha avuto un primo risultato pratico. Il ministro della Difesa Barak, che ancora pochi giorni fa esercitava pressioni su Kadima perché rimuovesse Olmert, adesso ha ripensamenti. Certo, l’accusa lanciata al premier da un finanziere statunitense di aver intascato mazzette per 150 mila dollari non è edificante. Ma la prospettiva che questi possa essere sostituito da Mofaz induce Barak, Vilnay ed altri dirigenti laburisti a procedere adesso con piedi di piombo. Al peggio non c’è mai fine.
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