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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Riformista - Corriere della Sera - L'Opinione Rassegna Stampa
06.06.2008 La Corte costituzionale turca proibisce il velo nelle università
rassegna di quotidiani

Testata:Il Riformista - Corriere della Sera - L'Opinione
Autore: la redazione - Antonio Ferrari - Dimitri Buffa
Titolo: «Chi si nasconde dietro il velo - Schiaffo a Erdogan, niente velo all'università - C’è un giudice ad Ankara: no al velo islamico»

Nella stampa italiana prevalgono i toni di condanna per la decisione della Corte costituzionale turca che ha annulato la legge che permetteva l'uso del velo all'interno delle università turca, voluta dal partito di governo Akp.

Una condanna a senso unico che sembra non misurarsi con il rischio di un'islamizzazione della Turchia, paese alla cui laicità e democraticità l'Occidente dovrebbe essere particolarmente interessato.

Dal RIFORMISTA: 

La decisione con cui la Corte costituzionale turca ha annullato la legge che liberalizzava l'uso del velo (ma non degli indumenti legati alla tradizione musulmana più ortodossa) nelle università della mezzaluna, non è un buon segnale per la democrazia di Ankara. In nome di una fraintesa laicità che onestamente sembra più affine al conservatorismo, di fatto si limita la libertà di scelta delle donne turche su un fatto privatissimo come la religione. In realtà, quel che forse è più grave, è la natura politica della sentenza.
Un avvertimento al partito del premier Recep Tayyip Erdogan, l'Akp a non esagerare con la sua smania riformatrice che sta minando alla base i poteri forti quanto nascosti della Turchia, e i suoi interessi. Quegli stessi poteri che, in realtà, preferirebbero restare lontani dal club europeo, che non vedono di buon occhio quell'ingresso nell'Unione europea cui tanto ha lavorato l'attuale governo, con tutti i chiaroscuri del caso. Il messaggio rivolto a Erdogan è chiaro: attento che la prossima sentenza è quella che deciderà della sopravvivenza o della morte del tuo partito, quindi riga dritto.
Questa stessa Corte, infatti, deve pronunciarsi sul ricorso che potrebbe cancellare il partito Akp e radiarne il vertice dalla vita politica turca per il prossimo quinquennio. Gli autori del ricorso sono gli stessi e, quel che è peggio, sono gli stessi che hanno nominato i giudici chiamati a esprimersi sulla presunta "antilaicità" dell'Akp. Come se questo possa essere un discrimine credibile per mettere al bando una forza politica scelta dalla stragrande maggioranza di un paese in libere elezioni. Ai giudici costituzionali turchi andrebbe ricordato che a loro attiene la giustizia e non la politica. E che se la laicità e l'identità dello stato che tanto difendono è quella stessa che mette in galera gli intellettuali, le porte dell'Europa non si schiuderanno mai per Ankara. Con buona pace degli interessi della Turchia e dei suoi cittadini.

Dal CORRIERE della SERA

Accolto il ricorso del partito repubblicano laico contro l'Akp, il partito di Giustizia e Sviluppo, che ha stravinto le elezioni
Velo vietato. Velo permesso. Velo vietato. È una corsa schizofrenica che riaccende pericolosamente il conflitto tra laici e islamici moderati, che offusca l'immagine della Turchia, che indebolisce la sua credibilità e crea nuovi problemi al suo tribolato cammino verso l'Unione europea. Ieri la corte costituzionale, con nove voti a favore e due contrari, accogliendo il ricorso del laico partito repubblicano del popolo, maggiore forza di opposizione, ha firmato la sentenza che impone di ripristinare il divieto del velo per le donne nelle università del Paese. Divieto che era stato cancellato dal Parlamento, che aveva modificato due articoli della Costituzione, lo scorso 9 febbraio. Quattro mesi di velo libero, e ora la brusca retromarcia, con un altro sonoro schiaffo al premier Recep Tayyip Erdogan, che quella riforma aveva fortemente voluto. Da oggi, quindi, le studentesse che si copriranno il capo commetteranno un reato. Ma quel che più colpisce non è tanto la decisione dell'alta corte e dai suoi giudici laici, quasi tutti nominati dall'ex presidente Sezer, quanto la sua motivazione, laddove si legge che le modifiche alla Costituzione non hanno rispettato tre articoli, ritenuti sacri, il 2, il 4 e il 148. L'articolo 2 recita che «la Turchia è uno stato laico, sociale, basato sul pensiero del suo fondatore, Kemal Atatürk». Giudicare che non è stato rispettato questo caposaldo, significa riconoscere che è stata tradita, da chi ha votato la legge, l'eredità secolare del Paese.
In sostanza, è quasi una dichiarazione di guerra contro il partito di Erdogan, che ha stravinto le ultime elezioni, quindi è espressione democratica della volontà del popolo turco.
E' proprio quest'ultimo punto ad imporre serie riflessioni. La corte costituzionale, oltre la sentenza di ieri, deve infatti decidere su un altro ricorso, assai più pesante, avanzato dal procuratore generale della cassazione, il quale ritiene che il partito Akp debba essere sciolto perché «è la centrale di tutte le attività anti- laiche del Paese», e che debbano essere allontanati dalla vita pubblica 71 suoi dirigenti, a partire dal presidente della repubblica Abdullah Gül e dal primo ministro Erdogan. Ricorso gravissimo, perché un conto è sciogliere un piccolo partito — come accadde in passato con Refah e Fazilet, tutti con un pedigree islamico —, un conto è cancellare una forza politica che gode del sostegno della maggioranza del popolo.
La difesa del partito di governo Akp, sta preparando la memoria da inviare all'alta corte, e c'è chi sostiene che la sentenza potrebbe arrivare prima di agosto. Ma il rischio è che la disputa continui, con venefiche ricadute sulla società e sulla vita del Paese. La Turchia, non soltanto ha un tasso di crescita invidiabile, non soltanto è un polo fondamentale per il passaggio delle risorse energetiche, non soltanto sta conquistando un ruolo sempre più importante come mediatore di conflitti delicati (vedi il riavvicinamento tra Israele e Siria), ma ha giocato tutte le proprie carte — in prospettiva europea — puntando sulla stabilità del suo governo, sulle riforme, e sul sostegno e la fiducia degli imprenditori.
Quanto sta accadendo riaccende invece uno scontro esiziale. Il rischio di far prevalere l'ideologia di parte sul diritto e sulle regole della democrazia è purtroppo altissimo.

Un'eccezione è rappresentata da Dimitri Buffa su L'OPINIONE:

Nessun velo potrà essere indossato dalle ragazze di fede islamica all’interno delle università turche. Quando vuole la Turchia sa essere più laica dell’Europa e sicuramente molto meno politically correct. E la Corte Costituzionale di Ankara ieri si è dimostrata molto più indipendente dal governo di quanto non lo sia ad esempio quella italiana. Ma la decisione di ieri è ancora più importante se commisurata al vero obiettivo della lotta di potere in corso, che passa sulla testa dell’attuale premier Recep Tayyp Erdogan, il quale potrebbe presto dovere affrontare un bel processo per alto tradimento delle istituzioni turche e della loro laicità. Per la cronaca la legge oggi dichiarata incostituzionale era stata approvata lo scorso 9 febbraio, dopo un’intesa lampo fra l’Akp, il partito islamico moderato al governo e il Mhp, il Partito nazionalista. Incassata questa sonora sconfitta, il premier Erdogan si ritrova oggettivamente indebolito al centro di un procedimento per la chiusura del suo Partito per la Giustizia e lo Sviluppo, l’Akp, accusato di attività anti-laiche.

Nel merito la corte suprema di Ankara ha parlato di violazione dell’articolo 2 della Costituzione, che definisce la Turchia come “una Repubblica laica e democratica” e dell’articolo 4, in cui si afferma che i primi tre articoli della Costituzione non possono essere emendati. I giudici hanno inoltre dichiarato di aver fatto riferimento all’articolo 148, che definisce il mandato della Corte Costituzionale. Con il senno di poi, vista la maturità con cui i turchi hanno dimostrato di saper reagire al tentativo di farli diventare uno Stato islamico come l’Iran messo in opera da Erdogan, era forse meglio che l’Europa avesse fatto entrare prima loro nella Ue piuttosto che i romeni e i bulgari che avrebbero poi creato i noti problemi di integrazione e di microcriminalità con cui in questi giorni tutti stanno facendo i conti.

Per inviare una e-mail alla redazione del Riformista, Corriere della Sera e L'Opinione


info@ilriformista.it
lettere@corriere.it
diaconale@opinione.it

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