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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - L'Opinione - Informazione Corretta Rassegna Stampa
05.06.2008 Il pericolo Ahmadinejad
giustamente il tiranno iraniano è stato snobbato dal governo italiano: ma non basta

Testata:Corriere della Sera - L'Opinione - Informazione Corretta
Autore: Bernard Henry Lévy - Valter Vecelio - Dimitri Buffa
Titolo: «Ahmadinejad, il pericolo numero uno - Cancellare l’ipocrisia per salvare Israele - Ahmadinejad scappa dall’Italia - Quelli che... con Ahmadinejad ci fanno gli affari»
Dal CORRIERE della SERA del 5 maggio 2008:

Parliamo delle mie recenti letture. Ecco un libro, e non il meno importante di altri, di Michel Taubmann (« La bombe et le Coran », pubblicato in Francia dalle Editions du Moment): la prima biografia di Mahmud Ahmadinejad.
Chi è veramente l'uomo che, il 6 agosto 2005, presta giuramento davanti ai 290 membri del Majilis, l'Assemblea consultiva islamica? E' lui, nella foto dell'Associated Press,
durante la presa d'ostaggi dell'ambasciata americana nel 1979?
Cos'ha davvero in mente quando una delle sue prime decisioni è di far allargare i viali di Teheran in previsione dell'imminente arrivo del Mahdi, il dodicesimo imam? Qual è il suo potere reale? E' l'ayatollah ultra-ortodosso, e fascista, Mesbah-Yazdi la sua guida intellettuale? A queste domande, e ad altre, Taubmann, direttore della rivista Le meilleur du monde, porta risposte che si appoggiano su un'inchiesta lunga, precisa e le cui conclusioni finiranno di convincere i più scettici: il grande popolo persiano, la società civile iraniana che, sotto tanti aspetti, è una delle più illuminate della regione, si è dotata di un presidente terrorista nel quale si incarna, più che mai, la minaccia più temibile che incomba sulla pace del mondo.

Da L'OPINIONE, un articolo di Valter Vecelio

Sì, ha certo ragione Piero Ostellino che sul “Corriere della Sera” ha annotato come “in questa Italia, sempre pronta a manifestare contro le democrazie americana e israeliana, a bruciare le loro bandiere, a tirare sassi contro le loro ambasciate, sia una buona notizia che ci sia chi si è mobilitato per protestare pacificamente contro le violazioni dei diritti umani in Iran, le deliranti affermazioni del suo presidente Mahmoud Ahmadinejad – ”Israele sarà presto cancellato dalle carte geografiche“ – e i suoi programmi nucleari…”. Una bella protesta, insomma, per dirla con il titolo scelto per il commento di Ostellino. Sì, però…

Amaro in bocca
Chi scrive confessa che l’altra sera, mentre saliva la scalinata che conduce al Campidoglio, masticava un po’ amaro; una volta giunto sulla piazza ne trovava conferma; e ulteriore conferma è venuta poi la mattina dopo, a guardare la fotografia pubblicata sulla terza pagina de “Il Riformista”, che mostra “la piazza”. Desolatamente semivuota. C’erano una quantità di bandiere, sì; e c’erano una quantità di politici del centro-destra e del centro-sinistra. Poi, come sempre, la foltissima rappresentanza della comunità ebraica romana. Però, inevitabile, la riflessione: se in quella piazza togliamo i politici professionisti (ed erano davvero tanti, anche se qualcuno avrebbe dovuto esserci e non c’era: Walter Veltroni, Massimo D’Alema, Fausto Bertinotti, per dirne di tre: dov’eravate?); togliamo la consolante, costante presenza della comunità ebraica. E gli altri? I militanti sempre pronti a scendere in piazza e per strada quando c’è da mobilitarsi contro le violazioni dei diritti umani che vengono consumate da altri paesi, da altri presidenti? Quella piazza era semivuota, ahinoi. E questo dovrebbe dirci qualcosa.

Ahmadinejad: un criminale, dittatore fanatico. Sì. E poi?
Dall’improvvisato palco del Campidoglio tanti ci hanno ricordato quello che sappiamo, che dovremmo sapere: che Ahmadinejad è un criminale, un dittatore fanatico e pericoloso; che le sue dichiarazioni su Israele, gli Stati Uniti, l’ONU, soprattutto con dietro il minaccioso ormai realizzato programma nucleare ultimato, mettono i brividi; dovrebbero mettere i brividi. Sì, Ahmadinejad è pericoloso, andrebbe fermato, occorre fare qualcosa. Sì, su questo siamo d’accordo. Che cosa? Bombardarlo a tappeto? Invadere l’Iran? Spedire commandos con l’incarico di eliminarlo? Fomentare colpi di stato come ogni tanto s’usa fare? Oppure? Quel “qualcosa” che occorre urgentemente fare, che cos’è? Da nonviolento, moderatamente pacifico, radicale convinto avverto tutti i limiti e le inadeguatezze della proposta nonviolenta di fronte a dittature come quella iraniana, birmana, cinese. Una prima cosa, da fare e che non viene fatta e assicurata, potrebbe essere: “informazione, informazione, informazione”. Tanta informazione sull’Iran, sulla nostra “vera” politica estera con quei paesi, quella che per esempio fa non tanto la Farnesina quanto l’ENI. Ai tanti politici che si sono affollati sull’improvvisato palco del Campidoglio, fossimo stati in Antonio Polito, avremmo preliminarmente chiesto, prima di dar loro il microfono: “Siete o no d’accordo a che il servizio pubblico radiotelevisivo si doti di una struttura che si occupi in modo continuativo e specifico di diritti umani e civili? Vi impegnate a fare tutto quello che potete fare, perché il servizio pubblico radio-televisivo si doti di questo strumento?”. E’ una piccola cosa, certo. Però sarebbe una cosa, quella di dare voce a quelle voci che ora possono esprimersi solamente in pochi spazi, come – non è un caso – quello che assicura “Radio Radicale”. Resta il problema: di fronte a dittatori cinici e spietati, fanatici e pericolosi come Ahmadinejad, che cosa possono e devono fare le comunità democratiche, per aiutare quei popoli oppressi, e per aiutarsi, scartate le opzioni militari e violente?

Lo sgradito Ahmad Rafat
“Avrei preferito occuparmi di fame nel mondo, e non essere io la notizia del giorno”, ha detto dal palco del Campidoglio Ahmad Rafat, vice-direttore dell’AdN-Kronos International, che non ha potuto assistere ai lavori del vertice FAO perché “persona non gradita” della delegazione iraniana. Che Rafat sia persona non gradita al governo iraniano, va a suo onore. Tutti gli altri giornalisti, invece erano “graditi”. Hanno fatto qualcosa per non meritare questo gradimento? Sarebbe stato bello se tutti i giornalisti – o almeno quelli italiani – avessero disertato i lavori, e avessero condiviso la sorte di Rafat; se qualcuno avesse detto: “Parlo a nome di Rafat che non c’è…”; sarebbe bello sapere chi – nome, cognome – a nome e per conto della FAO ha deciso di piegarsi al diktat iraniano; e sarebbe stato bello sapere che là, in quel carrozzone che è la FAO qualcuno è poi arrossito per la vergogna. Tutto questo sarebbe stato bello. Sarà per un’altra volta.

L'analisi di Dimitri Buffa

Un primo importante risultato il nuovo corso della politica estera del nostro paese lo ha ottenuto proprio in queste ore: fare praticamente scappare a gambe levate il presidente anti semita dell’Iran, Mahmoud Ahmadinejad, che ha annullato gli impegni di ieri ripartendo in tutta fretta alla fine della disastrosa giornata di martedì alla volta di Teheran.
La chiave di volta del disastro è stata la gaffe con il giornalista Ahmed Rafat, cui la sicurezza della Fao si è permessa di negare l’accesso alla conferenza stampa del tiranno iraniano.

Certo Ahmadinejad ha avuto il proprio quarto d’ora di celebrità con gli oltre 300 rappresentanti di industrie italiane che fanno affari con l’Iran e con la stretta di mano del leader neo fascista Roberto Fiore. Ma è veramente un po’ poco per chi pretendeva di essere ricevuto da Berlusconi e dal Papa e invece se ne è dovuto andare via con la coda tra le gambe e senza avere incontrato praticamente nessuno.

Proprio oggi il nostro giornale e il nostro direttore promuovono un convegno sulla nuova politica estera italiana nell’era del Berlusconi IV, un incontro organizzato insieme ai riformatori liberali di Benedetto Della Vedova e Marco Taradash con ospite d’onore la giornalsita Fiamma Nirenstein che negli anni è diventata un simbolo del giornalismo amico di Israele.
Ebbene il punto di partenza per spiegare al volgo quale sia la differenza tra la politica che facevano Prodi e D’Alema e quella che stanno invece portando avanti Berlusconi e Frattini è proprio questo: il trattamento riservato ad Ahmadinejad.
Proprio Frattini spiegava durante la rubrica televisiva di Maurizio Belpietro,“Panorama del giorno”, che “con l’Iran occorrono chiarezza e fermezza”.

Ebbene entrambi i requisiti per una volta la nostra italietta è riuscita a metterli fuori, un po’ come si fa con gli attributi quando l’occasione lo richiede.
“L’ Italia - ha affermato il capo della diplomazia italiana - chiede di poter partecipare al negoziato che è già stato annunciato per verificare che l’Iran non si doti di un’arma nucleare e se noi saremo fermi, coerenti, se l’Onu sarà credibile, io credo che l’Iran comprenderà che non è suo interesse l’isolamento internazionale. Ma finchè continua a proclamare la distruzione di Israele, francamente questo è complicato”.

“E’ evidente, io l’ho già detto in molte occasioni e lo confermo - ha proseguito Frattini – che
noi non possiamo incontrare chi proclama la distruzione di Israele o parla degli Stati Uniti d’America, il nostro primo alleato internazionale, come il Grande Satana. Questo evidentemente non si può accettare: ciò detto, l’Iran non è stato sempre così. Voglio solo ricordare che qualche anno fa noi incontravamo regolarmente il presidente iraniano di allora, che era un presidente moderato, il presidente Khatami, io stesso ero andato a Teheran. Oggi non ci sono le condizioni di tutto questo perché evidentemente la nostra alleanza Atlantica e con lo stato di Israele non ci consentono di tollerare espressioni di questo genere.”
“Le Nazioni Unite per noi sono la fonte della legittimazione internazionale – ha ribadito il ministro degli esteri – noi non condividiamo la linea di azione del presidente iraniano puramente e semplicemente”.

Insomma il consuntivo della visita di Ahmadinejad in Italia non è stato solamente un flop diplomatico e una serie di brutte figure. Mahmoud se continua così metterà fortemente a rischio la propria riconferma. Perché sia i “moderati” alla Khatami, sia i non moderati alla Rafsanjani, fra poco si stuferanno di dovere subire loro le conseguenze di tutti questi latrati di un cane che alla fine non morde.

Buffa in un articolo scritto per INFORMAZIONE CORRETTA denuncia i rapporti tra aziende italiane e Iran:
Quegli applausi alle parole di Ahmadinejad che tuonavano contro l’America e contro Israele erano proprio così necessari per continuare a concludere buoni affari con l’Iran? Il giorno dopo il convegno “Possibilità di sviluppo delle relazioni economiche tra Italia e Iran” che si era tenuto ieri all’Hilton proprio mentre in mezza Roma si svolegevano al contrario manifestazioni di aperta ostilità contro il tiranno di Teheran, qualcuno, anche tra i presenti, a patto dell’anonimato, questa domanda se l’è posta. E non solo per i servizi televisivi nei Tg serali dove i 300 e passa rappresentanti della piccola, media ma anche grande industria italiana sono passati quasi per estimatori politici di Roberto Fiore, il leader di “Forza Nuova” che si è avvicinato trepidante a Mahmoud ringraziandolo “per quello che ha fatto”. Il problema è, come al solito l’immagine. “Se è vero – dice la nostra fonte – che ci siamo messi in fila per fare affari con il regime iraniano, e d’altronde c’erano anche i rappresentanti del ministero per lo sviluppo economico, è altrettanto certo che rischiamo di perdere altre fette di mercato in tanti altri paesi che hanno visto quelle immagini e quegli applausi e che potranno equivocarne il significato”. Non a caso ieri i grandi nomi all’Hilton non si sono fatti vedere: i soci di peso della iperattiva camera di commercio italo iraniana se ne sono rimasti prudentemente defilati. Troppo carichi di nuvole polemiche si preannunciavano gli incontri, peraltro quasi tutti finiti in altrettante buche, del presidente iraniano per non capire che dopo il cielo nero potevano venire anche gli acquazzoni. Quindi gli uomini di Banca Intesa e quelli di Finmeccanica hanno preferito mandare le seconde file o magari le terze e le quarte piuttosto che apparire di persona. Peraltro tutti gli addetti ai lavori sanno benissimo quale sia la centralità degli affari con l’Iran per le imprese italiane da quindici anni a questa parte. Basti pensare, oltre alla cifra di 6 miliardi di euro annui di interscambio, che i programmi Sace di assicurazione all’export dell’Italia verso l'Iran ammontano a circa 4,5 miliardi di euro e tra i Paesi dell’Unione Europea, l’Italia è seconda solo alla Germania. La SACE, principale agenzia di credito all’esportazione in Italia, che a tutt’oggi è al 100% di proprietà del Ministero del Tesoro, assicura le imprese che realizzano progetti e investimenti in Iran contro il rischio politico e commerciale di insolvenza. Da diversi anni l’Iran figura ai primi posti nell’elenco dei Paesi verso cui la SACE fornisce garanzie. Una strategia che si può fare risalire almeno al 2000, quando anche in sede G8 si riteneva opportuno cercare di aumentare gli scambi commerciali con il Paese asiatico. I nomi visti ieri all’Hilton coincidono con quelli che ciascuno può consultare, divisi nei settori di operatività delle rispettive industrie sul sito della camera di commercio italo iraniana. Alla quale si aderisce pagando quote annue che variano dagli 800 ai 5 mila euro. Nelle brochure distribuite all’Hilton comparivano i nomi di Banca Ubae, Assocarni, TecnoEffe, Fedrlegno -Arredo, Gruppo Fata, Sacmi, Pedrini, Landi Renzo, ma anche Mediobanca, Enel, Snam progetti e Assolombarda hanno mandato i propri uomini. Sia pure non di prima fila. Altri nomi, finiti nei giorni scorsi anche sui giornali, sono quelli di Selex communication, Afrimeds, Morando srl, Packing srl, Pert srl, Safe srl, Keller elettrodomestici. Quasi tutte piccole e medie imprese che con le commesse, strappate anche a suon di applausi diplomatici agli aberranti discorsi di Ahmadinejad, magari ci campano per anni. Certo c’è il rischio di finire nelle liste nere delle tante associazioni “pro jewish” nel mondo, e anche quelle possono fare saltare affari e commesse. Ma quando si fa affari e si pensa solo al profitto bisogna scegliere chi ti può garantire di più. E in questo momento, nonostante la crisi interna, il petrolio iraniano è un buon viatico per tutti e gli appalti vengono pagati a pronta cassa. Resta da vedere se nel tempo l’imbarazzo per questo episodio avvenuto in uno dei più lussuosi alberghi di Roma potrà portare non desiderati e soprattutto non previsti effetti collaterali. Alla camera di commercio italo iraniana nessuno vuole sentire parlare di queste cose e l’impressione che si ricava scambiando qualche parola con le segretarie del presidente Rosario Alessandrello (per parlare direttamente con lui occorre fare anticamera per giorni anche ai giornalisti, ndr) è che non si veda l’ora di tornare sotto traccia a fare affari. Una volta spente le luci della ribalta su questo ambiguo evento tenutosi all’Hilton in un giorno in cui tutta l’Italia gridava “vattene” ad Ahmadinejad, contribuendo infatti non poco alla sua precipitosa partenza dalla capitale con un giorno di anticipo sul programma.

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