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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Repubblica - L'Unità - Il Manifesto Rassegna Stampa
04.06.2008 Quelli che... Ahmadinejad non è poi così cattivo
interviste acritiche, analisi surreali, cronache ipocrite

Testata:La Repubblica - L'Unità - Il Manifesto
Autore: Vincenzo Nigro - Giuseppe Cassini - Marina Forti
Titolo: «L´Italia potrebbe aiutarci nella trattativa sul nucleare -Iran, l'Italia all'ombra di Bush Ahmadinejad il protagonista»

Vincenzo Nigro intervista Mahmoud Ahmadinejad per La REPUBBLICA del 4 giugno 2008.
"Presidente Ahmadinejad, lei continua a dire che Israele è destinato a sparire dalla faccia della terra. Non si accorge che è un linguaggio intollerabile per il mondo civile?", chiede Nigro. In realtà, quello di Ahmadinejad non è solo un "linguaggio", ma una politica. Infatti, imperturbabile, il presidente iraniano ignora la debole indignazione del "mondo civile" e ribadisce il suo odio per lo Stato ebraico. "Forse è meglio cambiare argomento", commenta Nigro.
No, forse era meglio inisistere su quello. Soprattutto considerando le domande successive (con l'eccezione di quella sull'Aiea) sembrano fatte apposta per permettere ad Ahmadinejad di ripetere la sua propaganda, contro gli Stati Uniti e l'impegno occidentale nella "guerra al terrorismo".

Ecco il testo completo:


ROMA - Mahmoud Ahmadinejad, il figlio di un fabbro che è diventato presidente dell´Iran, chiude la sua giornata romana all´Hilton. I politici di mezzo mondo ieri alla Fao dopo l´ennesimo discorso violento contro l´Occidente e contro Israele non hanno voluto stringergli la mano: attorno a lui si è sentito il vuoto, la distanza che separa le idee del capo del governo di Teheran dal mondo occidentale e non solo. Ma nell´albergo di Monte Mario, il vuoto viene riempito all´improvviso da centinaia di imprenditori italiani che corrono a parlare di contratti. Alla fine c´è il tempo (più di un´ora) per un´intervista a Repubblica e alla Rai. Un´intervista in cui applicherà la sua tecnica ben conosciuta: rovesciare simmetricamente il punto di vista che la maggioranza dei paesi del mondo ha sulle sue scelte politiche. In cui tornerà di fatto a negare l´Olocausto, relativizzando i 6 milioni di ebrei uccisi rispetto ai milioni di morti fatti dalla II guerra mondiale.
Presidente Ahmadinejad, lei continua a dire che Israele è destinato a sparire dalla faccia della terra. Non si accorge che è un linguaggio intollerabile per il mondo civile?
«Non la penso così. Le nostre posizioni sul regime sionista sono un bene per tutte le nazioni, per il nostro popolo. I sionisti sono il male all´interno della comunità internazionale. I crimini che vengono commessi in Palestina sono un danno per tutta l´umanità. Quei crimini dovrebbero sparire. Qualcuno può appoggiare questi crimini? Può appoggiare i terroristi? Io ripeto la nostra idea: organizziamo un referendum tra i palestinesi per decidere davvero chi abbia diritto di vivere in quella regione. Il risultato, qualunque esso, sia dovrebbe essere accettato, mentre gente che non ha radici nella regione non dovrebbe avere uno Stato da quelle parti. Io dico all´Italia: guardate che ho solo annunciato qualcosa che è scritto, ho anticipato che il regime sionista è in via di estinzione. Se l´Olocausto c´è stato, parliamo solo di una parte dei 60 milioni di morti che ha fatto la Seconda guerra mondiale. Dopo 60 anni dobbiamo aprire la scatola nera del regime sionista. Noi abbiamo soltanto detto che questo regime di occupazione deve finire».
Forse è meglio cambiare argomento. La settimana scorsa, con il suo ultimo rapporto, il direttore generale dell´Aiea vi ha accusati chiaramente di nascondere notizie importanti sul vostro progetto nucleare. Adesso anche l´Aiea ce l´ha con l´Iran?
«Io non ho avuto questa impressione. La questione nucleare iraniana è un affare politico, non è giuridico. Non è buffo che gli Stati Uniti, che hanno l´arsenale nucleare più grande del mondo, oggi chiedano conto alla nazione iraniana del suo programma nucleare civile? Le nostre attività sono civili, pacifiche e legali. Gli Usa esercitano pressioni sulla Aiea. L´agenzia in più punti nel suo rapporto conferma che ci sono elementi civili nei programmi iraniani. E´ vero l´Iran non risponde a tutto, perché non risponde alle asserzioni, alle pretese che gli Stati Uniti fanno tramite l´Agenzia. L´inimicizia degli Stati Uniti contro di noi non è una cosa nuova, sono più di 60 anni che va avanti la loro ostilità con la nazione iraniana. Per 27 anni hanno protetto uno dei più feroci dittatori del mondo contro la nazione iraniana, e dopo quasi 30 anni continuano a tramare contro di noi. Anche all´Aiea, sul nostro programma nucleare pacifico».
Presto ci sarà un nuovo presidente americano: Obama, la Clinton o McCain, cosa potrebbe cambiare con un nuovo presidente?
«Chiunque vincerà le elezioni, sono sicuro che gli Stati Uniti cambieranno, avranno un altro approccio. Si ridurrà la sfera di influenza degli Stati Uniti nel mondo, il nuovo presidente dovrà rispondere alle vere esigenze del popolo americano: 40 milioni di cittadini americani non hanno assistenza sanitaria, le vittime del ciclone di New Orleans non hanno ancora una casa. Chiunque sia il presidente dovrà ritirare i soldati americani dall´Iraq, il popolo americano non permetterà di continuare a spendere miliardi di dollari in armamenti».
Voi sareste pronti a negoziare con gli Usa?
«Sono loro che hanno tagliato i ponti con noi, sperando che ci venisse a mancare l´aria. Oggi invece l´Iran è un paese progredito. Siamo pronti a dialogare con chiunque, salvo col regime sionista, in un rapporto basato sul rispetto reciproco e la giustizia. L´anno scorso avevo fatto una proposta a Bush, incontriamoci all´Onu, di fronte ai giornalisti, e discutiamo. La stessa proposta l´ho fatta ai candidati presidenziali americani».
Lei ha mandato una lettera a Napolitano e Berlusconi offrendo "dialogo". Quale ruolo immagina per l´Italia che vuole entrare anche nel gruppo "5+1".
«Non mi ricordo di aver inviato una lettera anche a Berlusconi… ricordo una lettera a Prodi. Ma noi accogliamo favorevolmente la presenza dell´Italia nei negoziati, per una trattativa condotta in base alla legalità e in condizione eque».
I collaboratori di Ahmadinejad gli precisano che si tratta della lettera inviata per la festa del 2 giugno.
«Ho capito, quella lettera è stata mandata come consuetudine diplomatica, si fanno avere le congratulazioni a un paese con cui si hanno relazioni per la loro festa nazionale e quando qualcuno viene nominato presidente. Ma quando dicevo che non avevo mandato una lettera non significa aver negato l´amicizia con l´Italia, non mi ricordavo di averlo fatto».
Se qui a Roma ci fosse stato un incontro con i dirigenti italiani avrebbe parlato con loro anche di Libano e Afghanistan, dove i soldati italiani sono impegnati in missioni Onu?
«Avrei voluto sentire io le loro opinioni, raccomandando loro di rispettare i diritti del popolo libanese e afgano. Una cosa è sicura: in Afghanistan è impossibile che la politica della Nato abbia successo, perché è una politica sbagliata, fondata soltanto sulla forza, che non tiene in considerazione la struttura sociale dell´Afghanistan. La storia dell´Afghanistan ha dimostrato che quel popolo, che è un popolo amabile e operoso, non tollera l´occupazione militare: la Nato deve trattare meglio quel popolo, mentre loro pensano che con la forza si possa risolvere tutto. E lo stesso vale per il Libano. I libanesi sono un popolo coraggioso, non bisogna interferire con i loro affari. Questo avrei detto agli italiani».

Dopo le nuove dichiarazioni antisraeliane di Ahmadinejad, L'UNITA' si schiera. Non incontrarlo è stato un errore, dovuto al servilismo del governo Berlusconi verso gli americani. "Ahmadinejad è qui a Roma" scrive Giuseppe Cassini, e prosegue, inventando di sana pianta "disponibilissimo a discutere con noi senza pre-condizioni".  I toni si fanno lirici, nel descrivere la grazie della presenza di Ahmadinejad a Roma: "La sua presenza è un dono inaspettato per chi vuol assumere il ruolo di "facilitatore": lui ce lo facilita, ma noi rifiutiamo di incontrarlo" E perché rifiutiamo di incontrare il povero "disponibilissimo" Ahmadinejad "per timore di dare un dispiacere agli Stati Uniti e a Israele", naturalmente . "Eppure anche loro" (Stati Uniti e Israele), torna a inventare Cassini "sanno che le invettive millenaristiche di Ahmadinejad suonano come un cembalo squillante di nessun effetto pratico": il contrario esatto di quel che affermano le diplomazie israeliana e americana (oltre che l'Aiea, l'Europa, la Russia, che non nasconde la sua preoccupazione per il programma iraniano, gli stati arabi che per protegegrsi pensano di sviluppare un loro programma nucleare, senza contare le vittime del terrorismo di Hamas e Hezbollah sponsorizzato da Teheran).

Ecco l'articolo:

Mahmud Ahmadinejad è sbarcato nella Città Santa. Grazie a Dio non si è portato dietro i pasdaran, altrimenti Benedetto XVI non avrebbe avuto altro scampo che rifugiarsi in Castel Sant’Angelo. Ancora vivido, infatti, è in lui il ricordo di come la Città Santa fu trattata dai suoi concittadini lanzichenecchi molte primavere fa.
«Adì 6 di maggio 1527 fu la presa di Roma - si legge ancora in un graffito sul muro della Villa Lante al Granicolo - Uccisi 6000 uomini, saccheggiate case e chiese, incendiata buona parte della città. Il Papa è fuggito in Castel Sant’Angelo con la sua guardia del corpo, i cardinali e i membri della Curia scampati al massacro».
A differenza dello spietato Conestabile di Borbone, che nel 1527 portò a Roma migliaia di lanzichenecchi, l’iraniano è sbarcato senza i pasdaran, armato solo delle usuali invettive contro il "regime sionista" e altre "potenze sataniche". Perciò il Papa, invece di correre al Castello, si è limitato a rinchiudersi in Vaticano: dove avrà modo di leggere in tutta tranquillità i documenti che Ahmadinejad voleva, forse, sottomettergli di persona su questioni attinenti alla democrazia, alla sicurezza e al dialogo fra le tre religioni del Libro (Bibbia, Vangelo e Corano).
Comunque, la ritirata è stata più agevole per la somma Autorità cattolica che per le massime Autorità civili della capitale, costrette ad accogliere in qualche modo l’empio sciita. La scelta più conveniente per il Primo Ministro italiano sarebbe stata quella di andare incontro al suo pari grado iraniano, sedersi attorno al tavolo e srotolare tutti i cahiers de doléances che abbiamo accumulati in questi anni: nucleare pulito e sporco, negazione di Israele e dell’Olocausto, ingerenze in Iraq e Afghanistan, armi a Hezbollah e Hamas, sanzioni economiche, petrolio e sue contropartite.
Nossignore. Invece di confrontarsi Berlusconi ha scelto di defilarsi; e lo ha fatto per pura coerenza con la sua memorabile dichiarazione di fedeltà alla bandiera a stelle e strisce: "Io sto sempre dalla parte degli Stati Uniti ancor prima di sapere come la pensano". Una dichiarazione che risale all’inizio del suo passato quinquennio di governo e che ogni buon diplomatico - in qualsiasi parte del mondo - non vorrebbe mai sentir dire dal proprio capo: quale potere negoziale rimarrebbe nelle mani di un diplomatico il cui governo concedesse alla controparte tutto a scatola chiusa prima di iniziare il negoziato? E in effetti non si ricorda alcun precedente del genere negli annali della diplomazia.
A proposito della questione se trattare o meno con l’Iran, è proprio di questi giorni una illuminante diatriba tra Obama e McCain. Nell’infuocata campagna elettorale in corso è stato chiesto a Obama: saresti disposto ad incontrare senza condizioni i leader di Paesi come l’Iran, la Siria, Cuba o la Corea del Nord? La risposta è stata affermativa. Al ché McCain ha lanciato una strana frecciata: "Come mai il senatore Obama accetterebbe di sedersi al tavolo con il presidente iraniano, ma non si è ancora seduto al tavolo con il generale Petraeus, che è a capo delle nostre truppe?" Replica di Obama: "Questa è la classica battuta sarcastica ma priva di sostanza, a parte il fatto che ho incontrato il gen. Patraeus alla sua recente audizione in Senato". E mercoledì scorso ha aggiunto: "Ecco un bell’esempio di come si è inaridito il dibattito sulla nostra politica estera negli ultimi otto anni…". La vera novità è che oggi - di fronte ai fallimenti diplomatici di Bush - persino "falchi" storici come Kissinger e Brzezinski esortano il futuro presidente, chiunque sia, a confrontarsi faccia a faccia con il "nemico".
E l’Italia? L’attuale governo resta fedele alla sua nuova linea di fermezza nei riguardi dell’Iran. Il motivo? L’ha spiegato bene il Ministro degli Esteri Frattini: l’Italia è determinata ad inserirsi a pieno titolo nel Gruppo di Contatto che da quattro anni lavora a disinnescare la mina nucleare iraniana (il cosiddetto Gruppo 5 + 1 è composto dalle cinque Potenze con diritto di veto al Consiglio di Sicurezza dell’ONU più la Germania). E’ un motivo molto lodevole, peccato che sia stato proprio il ministro Frattini a snobbare il Gruppo alla sua nascita, quando la porta era aperta per noi. Una storia che non va dimenticata.
* * *
Il 21 ottobre 2003 i Ministri degli Esteri francese, tedesco e britannico sbarcarono a Teheran in missione straordinaria per firmare una dichiarazione d’intenti col governo Khatami sulla questione nucleare. In pieno semestre di presidenza italiana della UE, tutti si domandarono come mai si era costituita una "troika" europea senza la presidenza di turno: tanto più che l’Italia era stata all’avanguardia nella riapertura del dialogo con l’Iran sotto i governi Prodi e D’Alema, tra il 1996 e il 2000. Dalla Farnesina uscì una risposta surreale: "L’Italia appoggia questa iniziativa ma non ha ritenuto di associarsi, alla luce della propria funzione di presidenza del Consiglio europeo". Dai banchi dell’opposizione l’on. Fassino stigmatizzò l’episodio come una penosa ammissione di "irrilevanza" del nostro Paese sui dossier che contano.
Due anni dopo, nel marzo 2005 l’ambasciatore iraniano alle Nazioni Unite di Vienna (e quindi presso l’AIEA) se ne uscì con queste parole: "Da 28 mesi c’è una poltrona vuota nella trattativa sul nucleare iraniano ed è quella dell’Italia. Roma manca all’appello in un momento cruciale per i destini geopolitici dell’Iran, quando la sua presenza sarebbe stata utilissima, perché c’è una storia comune che lega i due Paesi da anni con reciproca soddisfazione…L’Italia ha una conoscenza e una sensibilità diplomatica che avrebbe evitato certi errori con Teheran, ma bisogna avere più iniziativa diplomatica e non appiattirsi sulle posizioni degli altri Paesi".
Incredibile ma vero, nel 2003 il governo Khatami aveva avvicinato quello italiano, in quanto Paese amico e in quanto titolare della presidenza UE, affinché prendesse l’iniziativa. Ma Roma non se l’era sentita di mettersi alla testa di un negoziato che poteva - chissà - irritare gli americani. Peggio: alla Farnesina la Direzione Generale competente aveva sconsigliato il ministro Frattini dall’avventurarsi a Teheran con la "troika"; e lui si era rimesso fiduciosamente al parere dei suoi "esperti" diplomatici. Si perse così una delle rarissime occasioni in cui l’Italia avrebbe potuto svolgere un ruolo non tanto "per esserci" quanto "per contare". Quando Fini diventò Ministro degli Esteri, nel 2005 si lasciò sfuggire una frase di comprensibile irritazione: "L’Italia non fa parte del gruppo con Francia, Germania e Gran Bretagna semplicemente perché non lo chiese; secondo me è stata una scelta sbagliata perché noi, come interlocutori credibili dell’Iran, avremmo avuto un ruolo da svolgere".
* * *
Con molto pragmatismo, l’ultimo governo Prodi si è applicato a difendere le ragioni del dialogo politico con l’Iran, proteggendo con la stessa logica i propri interessi economici ed energetici: interessi enormi, in soldoni un volume di scambi pari a 6 miliardi di euro. Uno degli ultimi atti del ministro degli esteri D’Alema è stato quello di porre, in aprile, una riserva a Bruxelles sulla "lista aggiuntiva" di sanzioni comunitarie adottate contro Teheran, per rivendicare il diritto del nostro Paese - quale primo partner commerciale dell’Iran - ad "alzare la voce" in quel contesto, dal momento che siamo esclusi dal Gruppo di Contatto.
Ora è tornato il ministro Frattini. Il 15 maggio scorso ha rilasciato al Financial Times alcune dichiarazioni che parevano improntate a pari pragmatismo: la linea con l’Iran sarà di "fermezza quando occorre, cooperazione quando serve". Si è spinto perfino a proporre l’Italia come "facilitatore" in grado di aprire nuovi canali di dialogo fra Washington e Teheran. Ed ecco arrivare il momento della verità.
Ahmadinejad è qui a Roma, disponibilissimo a discutere con noi senza pre-condizioni. La sua presenza è un dono inaspettato per chi vuol assumere il ruolo di "facilitatore": lui ce lo facilita, ma noi rifiutiamo di incontrarlo per timore di dare un dispiacere agli Stati Uniti e a Israele. Eppure anche loro sanno che le invettive millenaristiche di Ahmadinejad suonano come un cembalo squillante di nessun effetto pratico.
"Ora abbiamo chiesto agli Stati Uniti di essere invitati nel Gruppo di Contatto - ha rivelato Frattini - e gli Stati Uniti ci hanno molto incoraggiato. Spero che anche i partner europei comprendano questo obiettivo". Davvero ci spera? Non sa che per meritare questa promozione occorre conferire in dote al Gruppo qualcosa di concreto, come ad esempio un qualche risultato nel nostro ruolo di "facilitatori"? E come facciamo ad ottenere qualche risultato se neppure ci proviamo?
Mentre noi ci lasciamo sfuggire l’ennesima occasione la Germania, non potendo entrare nel Consiglio di Sicurezza dalla porta grande, vi entra dalla finestra col suo assiduo lavoro, impermeabile alle critiche che spesso le giungono da Washington. Il 27 maggio Javier Solana, responsabile della diplomazia comunitaria, ha annunciato un’altra missione a Teheran con un nuovo pacchetto di proposte concordate in seno al Gruppo: alla missione non parteciperanno gli Stati Uniti, perché rifiutano ogni contatto con l’Iran, ma sarà ben presente ed attiva la Germania.

"Ahmadinejad, il protagonista" titola Il MANIFESTO.
Nel testo dell'articolo Marina Forti definisce "dichiarazioni provocatorie" gli attacchi del presidente iraniano a Israele, sminuendone la portata.
L'articolo è un manuale di ipocrisia ideologica. La negazione dell'accredito alla Conferenza della Fao al giornalista Ahmad  Refat (persona non grata a Teheran) è spiegata  con le "non poche preoccupazioni" causate alla Fao dall'incontro con Ahmadinejad. La presenza di Roberto Fiore, capo di Forza Nuova, all'incontro di Ahmadinejad con gli imprenditori italiani è assente.
La notizia si trova invece in un trafiletto redazionale  intitolato "Chicchi d'Iran", insieme la paragone di Ahmadinejad tra Khomeini e Gesù e alla dichiarazione di Maria Teresa Venturini Fendi che vuole che Ahmadinejad sia processato. Il quotidiano comunista stabilisce un'equivalenza del tutto falsa: in tutti e tre i casi si tratterebbe di deliri.
Ma il culto della personalità dei regimi totalitari è un delirio molto serio, in nome del quale si uccide. Nella proposta di processare Ahmadinejad, che incita apertamente al genocidio, non c'è nulla di folle. E quella di Roberto Fiore non è un'innocua "follia": è una posizione politica, radicalmente ostile a Israele e alla sovranità politica del popolo ebraico. Un posizione politica che l'estrema destra di Forza Nuova condivide con l'estrema sinistra del MANIFESTO. E con Ahmadinejad.

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