Da Il GIORNALE del 3 giugno 2008 (in prima pagina e a pagina 12) un editoriale di Fiamma Nirenstein:
Forse molti di noi, andando stasera alla manifestazione di protesta contro Ahmadinejad dell’Iran ospite della FAO a Roma, si chiederanno che cosa si potrebbe fare di più diretto e effettivo per delegittimare il discorso fanatico e carico di violenza del presidente, cui comunque è stato negato qualsiasi incontro con il Governo e col Papa. E tuttavia se non con la guerra, come si potrebbe fermare la sua bomba atomica quasi pronta, la sua politica di violazione dei diritti umani, l’aggressività religiosa che arma Hezbollah, Hamas e minaccia morte a Israele e all’occidente tutto? La risposta c’è anche se parziale, ed è pratica e non violenta. Ma prima di suggerla, leggiamo le ultime uscite del presidente Iraniano prima di imbarcarsi verso Roma. Lunedì in un discorso a ospiti stranieri ha detto: “Il regime sionista criminale e terrorista è alla conclusione della sua opera e presto sparirà dalla carta geografica...”. Se volgiamo il contesto: “E’ iniziata l’era del declino e della distruzione del potere satanico degli USA, la campana del conto alla rovescia dell’impero del potere e della ricchezza comincia a suonare”. Domenica il ministro degli esteri Mottaki a Teheran citava Khomeini“ Se ogni mussulmano getterà un secchio d’acqua su Israele, esso sarà cancellato”. Da tempo l’aggressione verbale ha raggiunto, come dice l’esperto professor Robert Wistrich, la dimensione “biologica”, che sempre precede lo sterminio effettivo: così si chiama Israele “un cadavere puzzolente”,“un topo morto”,“un albero ammarcito”.
E’ legale questo atteggiamento? E’ perseguibile? La risposta è sì, e ce lo dimostra tutta la storia dei detti e degli atti di Ahmadinejad; come fare lo hanno studiato alcuni fra più famosi avvocati dei diritti umani a livello mondiale; con loro lavora e ci fornisce il testo in anteprima il professor Eliahu Richter dell’Università di Gerusalemme. Si tratta di un lungo e dettagliato atto d’accusa secondo la legge intrenazionale. Il primo capitolo è intitolato “Incitamento al genocidio”: gli avvocati, fra cui l’ex ministro della giustizia canadese, l’onorevole Irwin Cotler, il professor Alan Dershowitz della facoltà di legge di Harvard, il professor Gregory Gordon dell’Università del Nord Dakota e il dottor Justus Weiner, del Jerusalem Center of Public Affair di Gerusalemme che hanno lavorato sulla base di un dossier del JCPA. Ahmadinejad potrebbe dunque, vi si dice, essere processato da uno dei tribunali internazionali (ce ne sono quattro) che si occupano di crinmini di guerra per “Incitamento al Genocidio”, per “Minaccia o uso della forza contro l’integrità territoriale o l’indipendenza politica di uno Stato”, per “Perpetrazione di crimini contro l’umanità”, “Promozione di odio e disprezzo contro Israele e il popolo ebraico come giustificazione per il genocidio”; “Violazione del trattato di non proliferazione e delle rusoluzioni del Consiglio di Sicurezza”, “Atrocità di massa contro il popolo iraniano”. Se si legge il documento, risulta evidente il pericolo reale che sottende alle minacce di Ahmadinejad, e che se il mondo vuole evitare un genocidio non inferiore a quello della Seconda Guerra mondiale deve capire che l’Onu ha fra i primi suoi atti creato la Convenzione per la prevenzione e la punizione del crimine di genocidio con la Corte Internazionale di Giustizia. Se riuscissimo a usare questa convenzione, questo ci renderebbe molto più affidabili di quanto non siamo stati verso i ricorrenti genocidi che infestano il mondo come quello dei Cambogiani, dei Bosniaci, dei Tutsi, dei Sudanesi. Il genocidio dà lampante segno di sé in anticipo: i nazisti lo predicarono largamente; gli Hutu hanno chiamato i Tutsi “scarafaggi” dal 1994; i Serbi invocavano pubblicamente la “pulizia etnica”; in Cambogia le minacce agli “sfruttatori imperialisti” era patente; oggi l’Iran e in coro gli Hezbollah e Hamas chiamano gli ebrei “figli di cani e di scimmie” mentre l’ambasciatore iraniano in Siria Ali Akbar Mohtashemi annuncia di aver fornito agli Hezbollah le armi per distruggere Israele; Nasrallah è credibile quando dice che è “contento che tutti gli ebrei vengano in Israele, così non si dovrà cercarli ovunque”. La predicazione ha sempre accompagnato il genocidio, la fase biologica in cui la vittima viene resa “un cancro”, “una radice infetta” un “parassita” vuol dire che lo sterminio è vicino, sempre che ci siano le armi, e qui ci sono. Una recente risoluzione del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, la 1674, stabilisce la responsabilità internazionale nel proteggere chiunque sia minacciato di sterminio. Forse sarebbe l’ora di utilizzarla arrestando Ahmadinejad e facendolo rispondere dei crimini elencati. L’autodeterminazione deve avere il limite del genocidio professato e esaltato.
Dal RIFORMISTA (pagina 2), un articolo sulle accuse della stampa iraniana al quotidiano arancione:
La minacciosissima stampa italiana sarebbe così potente da fare il bello e il cattivo tempo in Vaticano come a Palazzo Chigi. Soprattutto se riformista. Sembra una barzelletta è invece è la "seria" cronaca dei media iraniani, a proposito dell'accoglienza riservata al presidente Ahmadinejad, in arrivo a Roma. Il giornale on line Shah News ieri sosteneva che «il clima che si è creato in Italia, dove i giornali deridono il nostro presidente e offrono un'immagine molto negativa di lui, è talmente pesante che l'intera popolazione ormai nutre sentimenti ostili nei confronti del nostro paese». Il quotidiano online ha puntato il dito soprattutto contro alcuni quotidiani, in particolare Il Riformista e il suo direttore Antonio Polito, colpevoli di aver costretto «non solo Silvio Berlusconi, ma anche Papa Benedetto XVI a rifiutare un incontro con Mahmoud Ahmadinejad». Ma c'è addirittura di meglio, nella vulgata iraniana. Per l'agenzia Mehr, vicina all'area conservatrice, «sono i giornali italiani a essersi inventati la storia di una richiesta di incontro con il Papa o Silvio Berlusconi, mentre il presidente Ahmadinejad si reca a Roma solo per il vertice della Fao e non ha tempo per incontri bilaterali».
Anche Rajanews, il sito gestito indirettamente da Gholam Hossein Elham, ministro della Giustizia e portavoce del governo, ha messo in guardia Ahmadinejad contro lo strapotere della stampa nostrana, denunciando l'esistenza di un «complotto sullo stile della Columbia University», , dove lo scorso settembre, Ahmadinejad fu duramente attaccato dal rettore che lo definì «un piccolo dittatore». Secondo Rajanews, «nel suo breve soggiorno in Italia il presidente deve cercare di neutralizzare questo complotto che intende minare le ottime relazioni tra Teheran e Roma». Di fronte a tale propaganda, pare più sensato il suggerimento dello Shab News di Teheran, che ieri, in un articolo titolato «Il pericoloso gioco degli italiani», consigliava al presidente iraniano, di rinunciare al suo viaggio in Italia in occasione del vertice Fao «per evitare altre vicende spiacevoli come quanto accaduto alla Columbia University di New York». Per fortuna, però, l'Iran non è solamente fatto di propaganda da operetta, e proprio gli iraniani che vivono in Italia (i rifugiati, gli intellettuali, le donne, gli studenti) sono stati i primi ad aderire alla manifestazione de Il Riformista stasera in piazza del Campidoglio. Anche senza di noi, comunque, avrebbero comunque provato a far sentire la loro voce. Dalle 13 alle 16, infatti, dimostreranno in in piazza di porta di San Giovanni, per poi prendere parte dalle 20 alla maratona oratoria. Al loro e al nostro fianco, anche le associazioni del neonato comitato "Abbiamo fame di libertà": Acmid (Associazione donne marocchine residenti in Italia), Appuntamento a Gerusalemme, Arpi (associazione rifugiati politici Italia), Associazione Amici Romani di Israele, Radicali Italiani, Azione Universitaria, Città Solidale, Università Cerca Lavoro, Associazione Nessuno Tocchi Caino, Associazione Radicale Certi Diritti, Associazione Luca Coscioni, Gruppo EveryOne, Partito Radicale Nonviolento Transnazionale e Traspartito, Gaynet, Gaynews, Associazione "Non c'è Pace senza Giustizia", Modavi - Movimento Associazioni Volontariato Italiano, Bené Berith Giovani, Associazione Rifugiati Politici Iraniani in Italia, Associazione Donne Democratiche Iraniane in Italia, Associazione Giovani Iraniani in Italia, Federazione dei Giovani Socialisti, Associazione Radicale Satyagraha, Agedo Toscana e Bologna, Gruppo ebraico progressivo romano Mevakshé Derekh.
Da La STAMPA (pagina 13), la cronaca di Antonella Rampino sulle nuove minacce di Ahmadinejad a Israele ( e agli Stati Uniti):
Con una decisione improvvisa, ieri pomeriggio Silvio Berlusconi ha cancellato la conferenza stampa alla Fao fissata fin da giovedì. I media di mezzo mondo potranno invece «interrogare» per un’ora e mezzo Mahmud Ahmadinejad. Il quale, per l’ennesima volta in tre anni, è tornato a ripetere che «Israele, sostenuta dal Satana americano, verrà cancellato dalle carte geografiche». «Non lo si sarebbe dovuto nemmeno invitare», secondo l’ambasciatore israeliano Meir. E in più Mottaki, il ministro degli Esteri sin qui volto dialogante di Teheran, fa sapere che «per Khomeini l’opposizione a Israele non era circoscritta nel tempo»: un ulteriore scoglio sulla bilaterale informale che Franco Frattini sembrava in un primo momento disposto a concedere. Ahmadinejad e Mugabe, il dittatore dello Zimbabwe che non potrebbe metter piede in Europa, ma al quale è consentito partecipare al summit di un’agenzia dell’Onu, non sono stati invitati al ricevimento che Berlusconi darà per i capi di Stato a Villa Madama. Non ci sarà neanche Ignazio Lula da Silva, il presidente brasiliano che è in aperta polemica con gli Stati Uniti sul bio-fuel e che vuole cancellare gli aiuti all’agricoltura dei Paesi del Primo Mondo.
Berlusconi ha deciso di imprimere la propria impronta al summit sulla «Sicurezza alimentare» chiedendo il ruolo di «chairman» al tavolo di presidenza col gran capo dell’Onu Ban Ki-moon e con quello della Fao Jacques Diouf. Ma che abbia cancellato la conferenza stampa, già in agenda per le due del pomeriggio, anticipando così di mezz’ora la colazione con Zapatero, potrebbe non aver nulla a che vedere con il desiderio di non incrociare Ahmadinejad neanche per sbaglio. L’Italia infatti ha chiesto di essere nel gruppo, cosiddetto dei 5+1, per le trattative politiche con l’Iran sul nucleare. E dover rispondere ai giornalisti, rendendo pubblici i giudizi sul regime iraniano, sarebbe non poco d’impiccio: come si fa a voler entrare in un pool di trattative diplomatiche, se si condanna la politica di quel Paese e si asserisce di non voler aprire alcun dialogo? Per giunta, contro l’Iran domani ci sarà in Campidoglio, col placet del sindaco Alemanno, una manifestazione del «Riformista» alla quale dà la propria adesione Franco Frattini. Come dice Emma Bonino, che oggi sarà alla Fao in veste istituzionale, rappresentando la seconda carica dello Stato a fianco di Giorgio Napolitano all’apertura del summit, «è chiaro che alla Fao non si riunisce la lega delle democrazie, e che l’Iran è qualcosa di più che una minaccia: ma basta isolarlo? E, soprattutto, l’isolamento sarà coerente per tutta la comunità internazionale?». Evidente che non è così. Ieri ha stigmatizzato come «particolarmente incresciosa» la presenza di Mugabe il premier laburista britannico Gordon Brown. Ma non una parola sull’Iran, che è pur sempre il terzo produttore petrolifero mondiale. Ahmadinejad, poi, ha un ruolo attivo nell’Opec, dove ha fatto sapere che «il prezzo del greggio è ancora troppo basso».
Il crinale, dunque, è sottile, come spesso in diplomazia. E particolarmente complicato nel caso di Ahmadinejad, che manda come di consueto segnali contrastanti. Ieri, dopo aver attaccato Israele, ha fatto sapere all’Italia di «essere disponibile ad incontri bilaterali». E intanto sui quotidiani di Teheran veniva pubblicato un «consiglio» per il presidente: il clima in Italia è ormai tanto ostile che meglio sarebbe rinunciare al viaggio a Roma. Al momento in cui scriviamo, il viaggio è confermato. Ma Ahmadinejad rientrerà a Teheran già stasera. Saltando, forse, il meeting con gli imprenditori italiani in agenda per le sei del pomeriggio all’hotel Hilton.
E quella di Emanuele Novazio sul no di Angela Merkel alla partecipazione dell'Italia al gruppo 5+1 impegnato nelle trattative sul nucleare con l'Iran:
Come non bastassero gli imbarazzi del governo Berlusconi per la simultanea presenza a Roma dei presidenti di Iran e Zimbabwe - Mahmoud Ahmadinejad e Robert Mugabe - è un sonoro schiaffo in arrivo da Berlino a guastare l’esordio diplomatico di Silvio Berlusconi sul palcoscenico internazionale: una girandola di incontri con primi ministri e presidenti a margine della riunione della Food and Agricolture Organization. Uno schiaffo in sinergia, per di più: «Il governo tedesco non vede alcuna necessità di cambiare il formato negoziale» sul problema del nucleare iraniano, introduce il portavoce del ministro Steinmeyer, Spd, riferendosi al «Gruppo 5+1» del quale Berlino è parte. «La trattative avvengono già in stretta sintonia con gli altri Stati Ue», chiude il portavoce della signora Merkel, Cdu. Come dire che le richieste italiane per partecipare a pieno titolo ai negoziati con la Repubblica islamica (nella formula di un «5+2») sono respinte con unanimità bipartisan da una Germania che si considera già «membro permanente ombra» del Consiglio di Sicurezza delle Nazioni Unite, grazie alla continuità della sua collaborazione con Stati Uniti, Russia, Cina, Gran Bretagna e Francia su un tema destinato a restare di attualità politica e strategica per anni.
«Una tegola, anche se prevedibile», si commentava ieri informalmente alla Farnesina. Tanto più dolorosa perché cade sulla fronte di Berlusconi e del ministro Franco Frattini a pochi giorni dall’appoggio che quest’ultimo ha ricevuto da Condoleezza Rice a Stoccolma, a margine della Conferenza sull’Iraq. «L’Italia può apportare un contributo importante nell’evoluzione del negoziato», commentavano ieri altre fonti del ministero degli Esteri: aggiungendo con una solida punta di imbarazzo che «non si può non registrare» la presa di posizione di Berlino. «Prevedibile», appunto: se Francia e Gran Bretagna, per restare ai partner europei, non vedono di buon occhio il nostro ingresso in un club esclusivo e per questo geloso delle proprie prerogative, per la Germania l’estensione del Gruppo all’Italia significherebbe mettersi il nemico in casa.
Nel senso che il governo di Roma è contrario all’ingresso nel Consiglio di Sicurezza della Germania: eventualità che ci condannerebbe a una serie B diplomatica senza appello. Anche per questo nel suo precedente mandato come ministro degli Esteri, Frattini aveva ventilato l’ipotesi di un seggio comune per l’Unione Europea: un’ipotesi remota - considerata la presenza attuale di Francia e Gran Bretagna, che difficilmente accetterebbero di uscirne - che valeva soprattutto come un secco no alle ambizioni tedesche. Il governo ha di che meditare: nel 2003, durante la presidenza di turno Ue, l’iraniano Khatami chiese a Berlusconi di mettere in piedi un gruppo di Paesi per negoziare con Teheran. Roma rifiutò per ragioni mai ben chiarite (scarsa convinzione sull’efficacia del format, preoccupazioni formali). Di sicuro un errore strategico difficile da rimediare.
La conclusione di Novazio è discutibile. Nei negoziati con l'Iran contano gli esiti, non la "presenza" e a visibilità internazionale. Se il prezzo richiesto all'Italia per giudare il "dialogo" era una posizione condiscendente verso il regime degli ayatollah, è stato meglio rifiutare.
Carlo Jean nel suo editoriale pubblicato dal MESSAGGERO in prima pagina e a pagina 22 sostiene l'opportunità e la necessità del rifiuto opposto ad incontrare Ahmadinejad da Vaticano e governo italiano.
Ormai ad Ahmadinejad non resta che ricercare in qualche modo un accordo globale con gli Usa. Se lo avesse già concluso i suoi accordi a Roma e al Vaticano sarebbero stati possibili
conclude l'analista strategico.
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