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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - Il Foglio Rassegna Stampa
28.05.2008 Isolare il regime iraniano
non ci saranno incontri bilaterali tra il governo italiano e Ahmadinejad, in un'intervista Adam Michnik propone il boicottaggio

Testata:Corriere della Sera - Il Foglio
Autore: Maurizio Caprara - Andrea Affaticati
Titolo: «Roma, porte sbarrate per Ahmadinejad - Michnik invita a colpireal cuore il regime iraniano»

Dal CORRIERE della SERA del 28 maggio 2008:

ROMA — A meno di una settimana dall'arrivo di Mahmoud Ahmadinejad a Roma per la prima giornata della conferenza della Fao prevista dal 3 al 5 giugno, il ministro degli Esteri Franco Frattini si è premurato di far sapere alla stampa che il presidente iraniano non avrà incontri bilaterali con il governo italiano.
«Credo che le agende non consentano di moltiplicarli. Ci sarà soltanto l'incontro con l'egiziano Hosni Mubarak », ha affermato Frattini. Domani a Stoccolma, in occasione di una riunione sul-l'Iraq, il titolare della Farnesina avrà un colloquio con il segretario di Stato americano Condoleezza Rice.
La scelta di far sapere, in via preventiva, che con il capo di uno Stato sottoposto dall'Onu a sanzioni a causa dei suoi piani nucleari non è in agenda un appuntamento ha forse una spiegazione.
Mentre il conservatore di Teheran che vorrebbe cancellare Israele dalla carta geografica avrebbe intenzione di essere ricevuto dal Papa, manca qualcosa affinché l'Italia possa assumere allo scoperto il ruolo di «facilitatore» del dialogo tra Iran e Stati Uniti auspicato da Frattini su
input di Silvio Berlusconi. Manca qualcosa affinché il nostro Paese, come si prefigge il ministro, possa entrare nel cosiddetto «5+1», il comitato formato dai cinque membri permanenti del Consiglio di sicurezza dell'Onu e dalla Germania.
Da parte iraniana, tuttavia, non c'è stata ieri voglia di inasprire i toni. E non è escluso che il capo della diplomazia italiana si trovi a tu per tu a Roma con il collega di Teheran, Manoucher Mottaki.
L'ambasciatore della Repubblica islamica in Italia Abolfazl Zohrevand, che in passato ha lavorato al Consiglio supremo per la sicurezza nazionale, è uscito da un incontro con Frattini senza mostrare fastidio per le sue dichiarazioni. «Con il ministro ho avuto una discussione amichevole. Per quanto riguarda la venuta del nostro presidente a Roma, è collegata alla Fao», ha detto Zohervand al Corriere. Era il primo colloquio da quando Frattini ha preso il posto di Massimo D'Alema alla Farnesina. Appuntamento «di routine», sostiene il ministero. Ma Zohrevand, nel riferire che si è parlato di «numerosi argomenti », non nasconde un elemento: «Parte della discussione è stata sul 5+1».
L'Iran, si sa, ha influenza sugli sciiti di Hezbollah in Libano. Ieri Frattini, al Senato, si è mosso lungo la linea adottata da quando il governo ha smesso di sollecitare modifiche delle regole di ingaggio per i militari della missione Unifil-2. Si è soffermato sull'esigenza di aumentare i controlli al Sud (su possibili carichi di armi del Partito di Dio) in base alla risoluzione dell'Onu 1701 in vigore.
«Si è molto parlato delle regole d'ingaggio, leggendole troviamo conferma sul fatto che l'uso della forza è consentito a Unifil per assicurare che quell'area non sia impiegata per azioni ostili, non sia terreno di transito di gruppi armati, non sia usata per resistere alla missione di Unifil», ha sottolineato Frattini.
Dunque, «applicare in modo efficace le regole che ci sono » e ricordando al Libano la risoluzione 1559 «che prevede il disarmo di tutte le milizie, a cominciare da quelle di Hezbollah».

Sul regime iraniano, riportiamo la prima parte di un'intervista di Andrea Affaticati ad Adam Michnik, dal FOGLIO
Varsavia. “Le sanzioni economiche non servono con l’Iran”, dice Adam Michnik. “Si rischia di mettere in ginocchio un paese. Si rischia di far male alla popolazione e in questo modo rafforzare chi detiene il potere. E’ il regime che va colpito al cuore, gli ayatollah, il presidente Mahmud Ahmadinejad. Più efficace sarebbe stilare una lista di ‘persone non gradite’, impedire loro di venire qua a fare politica e affari. Soprattutto si dovrebbe sostenere la dissidenza interna all’Iran, l’intellighenzia, bisogna aiutare a preparare le strutture per sostenere le tendenze democratiche e liberali del paese”. Di questo è convinto Michnik, figura eroica della dissidenza polacca ai tempi del regime comunista e più volte incarcerato. E’ stato cofondatore nel 1976 del Comitato per la Difesa dei Lavoratori e attivista di Solidarnosc. Dopo aver preso parte alla Tavola Rotonda per organizzare elezioni democratiche è stato eletto anche nel primo Parlamento post comunista. “Poi però ho pensato che era meglio essere un cattivo direttore di giornale che un pessimo politico. Mi mancano l’astuzia e l’abilità di raccontare bugie”, dice. Michnik accoglie l’inviata del Foglio nel suo ufficio della Gazeta Wyborcza, il quotidiano più letto in Polonia. Il giornale dell’intellighenzia. E’ un signore molto cordiale, un signore della Mitteleuropa che usa ancora il baciamano. Michnik scommette sulla dissidenza, sulla forza che questa può avere per cambiare un paese dall’interno, anche se non sottovaluta affatto il pericolo che proviene da Teheran e dal terrorismo religioso. In un dibattito di fine aprile 2003 con Daniel Cohn-Bendit sul Monde aveva paragonato l’11 settembre al 9 novembre del 1938, alla Notte dei cristalli, quando iniziarono i pogrom antisemiti. A un drammatico cambio d’epoca. Ma l’Iran, secondo lui, non è un paese totalitario, piuttosto un miscuglio di autoritarismo e teocrazia. Da qui il distinguo, indiretto, rispetto alla decisione americana del 2003 di intervenire militarmente in Iraq. Michnik appoggiò gli Stati Uniti, il che gli valse molte critiche. Lui allora si difese così: “Un cattivo governo, con cattivi argomenti (i riferimenti sono a Bush e alle motivazioni di armi chimiche in Iraq, ndr), ha preparato un intervento molto buono. Analizzo la situazione in primo luogo dal punto di vista dei prigionieri politici in Iraq, degli uomini che sono stati vittime del regime totalitario di Saddam Hussein”. In Iran non vede però in atto una repressione feroce. “Quando ci sono stato, tre anni fa, non mi si è presentata una popolazione che vive nel terrore, anzi. La gente manifesta apertamente una crescente insoddisfazione. E’ ed è questa che va sostenuta. Ahmadinejad è un avventuriero, pericoloso, ma non tanto per il suo paese – lui e gli ayatollah tra una quindicina d’anni non ci saranno più – piuttosto per l’area mediorientale. Il pericolo sta nei suoi proclami contro Israele e nel fatto che Teheran sostiene gruppi come quello degli Hezbollah”.

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