Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Suleiman presidente del Libano: vincono Iran, Siria ed Hezbollah ma non tutti se ne accorgono: rassegna di quotidiani
Testata:Corriere della Sera - La Stampa - Il Messaggero - La Repubblica Autore: Lorenzo Cremonesi - Antonio Ferrari - Mimmo Càndito - Lorenzo Trombetta - Igor Man - Eric Salerno - Alberto Stabile Titolo: «Libano, un presidente-generale per la svolta - Libano, l'alibi del «consenso neutrale» - Il generale cristiano che piace agli sciiti - Beirut la pace di Suleiman - Il generale dichiara la pace - Sui destini di Beirut troppi interessi esterni -»
Libano, Suleiman apre alla Siria Il CORRIERE della SERA del 26 maggio 2008 pubblica una cronaca di Lorenzo Cremonesi sull'elezione a presidente del Libano di Michele Suleiman. Vi si legge:
«Oggi la nostra nazione inizia a risvegliarsi dall'incubo della propria autodistruzione », ha dichiarato tra gli applausi Suleiman, non esitando tuttavia a citare alcuni vecchi slogan della guerriglia sciita, come la «necessità di liberare la zona di Sheba dall'occupazione israeliana» e ringraziare Hezbollah per il suo ruolo militare.
Cremonesi, oltre a definire "guerriglia sciita" i terroristi di Herzbollah, omette di ricordar che anche per l'Onu le fattorie di Sheba non sono mai state territorio libanese.
L'editoriale di Antonio Ferrari, esordisce addiritura con
"Onore a Michel Suleiman, nuovo presidente della Repubblica libanese". I problemi posti da questa elezione sponsorizzata da Siria e Iran sono menzionati, ma passano in secondo piano di fronte all'idea che il Libano si sia salvato dalla guerra civile.
Lirico elogio del compromesso "alla libanese" da parte di Mimmo Càndito su La STAMPA
Se c’è qualcosa che può definire il carattere libanese - quella straordinaria capacità di comporre l’impossibile, di trovare sempre un’uscita dalle situazioni più disperate, di arrangiare comunque una sopravvivenza senza distruggersi la speranza - questo carattere ha nel nuovo presidente del Libano, il generale Michel Suleiman, un interprete efficacissimo. Oggi lo definiscono «l’uomo del compromesso», per raccontare che è il prodotto d’un accordo tra fazioni avverse, ma è la storia stessa di questo Paese - e non lui soltanto - a essere un costante, eterno, compromesso.
Assolutamente equidistante tra Hezbollah e la maggioranza democratica libanese Lorenzo Trombetta nella sua cronaca, sempre per il quotidiano torinese:
Hezbollah ha vinto anche perché nel documento stilato in Qatar non compare alcun accenno alla controversa questione dell’arsenale di Hezbollah, che la maggioranza sostenuta da Washington e da Riyad vorrebbe smantellare, ma che l’opposizione appoggiata da Iran e Siria considera necessario per «resistere alle aggressioni israeliane».
Per Igor Man, Suleiman è un
soldato prestato alla politica
che
è riuscito a tenere le forze armate (un nutrito melting pot: cristiano-maroniti, sciiti, sunniti, greci-ortodossi) fuori della mischia
Per Eric Salerno, che scrive per Il MESSAGGERO, i problemi per l'intesa libanese vengono ovviamente da Israele, con la sua richiesta alla Siria di porre fine al legame con l'Iran e dunque al sostegno a Hezbollah e Hamas.
La REPUBBLICA riesce a titolare "Libano, Suleiman apre alla Siria ", come se alla maggioranza di governo libanese si dovesse imputare una "chiusura" verso gli ex occupanti (e attuali sponsor di Hezbollah) siriani. Per Alberto Stabile le fattorie Sheeba sarebbero "una piccola ma strategicamente importante porzione della frontiera Sud tuttora occupata da Israele". E' la tesi di Hezbollah, smentita anche dall'Onu: le Sheeba non sono mai state libanesi Ecco il testo completo:
BEIRUT - Michel Suleiman emerge dal fondo della piazza in una "Piedigrotta" di bandiere, di canti e di spari in aria neanche fosse un santo portato in processione. In Libano è così, lo spazio che separa la gioia dalla disperazione, il risveglio dalla depressione, la paralisi dall´attivismo sfrenato, è brevissimo e caduco. Per un anno e mezzo lo speaker, Nabih Berri, s´era rifiutato di convocare il parlamento per punire una maggioranza e un governo che riteneva, giudizio opinabile, illegittimi, ma ieri, dopo il miracolo di Doha, è bastata mezz´ora ai 127 deputati per eleggere Suleiman presidente della Repubblica, con 118 voti a favore, sei schede bianche e tre voti dispersi. Su una delle schede annullate avevano scritto «Rafik Hariri e i martiri». Nel suo discorso d´investitura, dopo aver prestato giuramento «in nome di Dio onnipotente» di rispettare e proteggere l´indipendenza del Libano, la sua sovranità e la sua Costituzione, Suleiman ha chiarito le linee guida della sua presidenza su alcuni punti cruciali e ancora incerti del compromesso tra maggioranza e opposizione raggiunto in Qatar. In particolare: i rapporti con la Siria e il disarmo degli Hezbollah che sono poi le due questioni contro cui è andato a sbattere il vecchio governo e sulle quali si potrà misurare la tenuta del compromesso raggiunto in Qatar. Già la presenza nell´emiciclo del ministro degli esteri di Damasco, Walid al-Moallem, seduto alla tribuna degli ospiti stranieri accanto al collega iraniano Manouchehr Mottaki, è un segnale evidente che qualcosa di nuovo sta succedendo tra Damasco e Beirut dopo il ritiro, a furor di popolo, dei soldati siriani nella primavera del 2005, qualche settimana dopo l´uccisione dell´ex premier, l´uomo della ricostruzione, Rafik Hariri. Suleiman lo dice senza mezzi termini: «Noi cercheremo fortemente fraterni legami tra Siria e Libano nel rispetto della reciproca sovranità e dei confini di ciascun paese, e relazioni diplomatiche che siano benefiche per entrambi». Sul disarmo dell´Hezbollah, e di tutte le milizie, previsto da almeno due risoluzioni dell´Onu, tema questo che deve stare molto a cuore a Mottaki, rappresentante del grande tutore del Partito di Dio, l´Iran, il nuovo presidente è, invece, più sfumato. Dice, Suleiman che d´ora in poi le armi dovranno essere dirette soltanto contro il nemico (e lascia intendere che mai più dovranno le milizie sciite prendere di mira altri cittadini libanesi). Ma poi, accennando alle Fattorie di Sheeba, una piccola ma strategicamente importante porzione della frontiera Sud tuttora occupata da Israele, riconosce, Suleiman, che l´esperienza «maturata dalla resistenza» potrà essere utile alla strategia difensiva che l´esercito libanese adotterà. Tutto questo, però, sarà al centro di un «tranquillo dialogo» nazionale. Che colpo d´occhio, il tempio continuamente dissacrato della democrazia libanese. A giudicare dalle presenze straniere si direbbe che sono molti i padri dell´accordo che ha portato come primo atto all´elezione del nuovo presidente. Qualcuno, però, può vantare qualche merito in più. Avvolto in un mantello di garza bordato d´oro che ne alleggerisce la corporatura, lo Sceicco Hamad bin Khalifa al Thani, si gode lo spettacolo sullo scranno più alto dell´emiciclo, accanto a Berri e al neo presidente. E´ lui, adesso, il simbolo di una diplomazia araba dinamica ed efficiente al cospetto della quale il passo lento e ponderato del signore della diplomazia saudita, il principe Saud al Feisal, che gli siede di fronte, inevitabilmente perde colpi. Poi gli europei venuti a dare il loro imprimatur. L´Alto rappresentante dell´Unione, Javier Solana, tagliato fuori nella fase cruciale della crisi; il francese Bernard Kouchner, costretto a digerire un compromesso che va in senso opposto alle strategie francesi. Anche se Suleiman ripete che il Libano rispetterà le risoluzioni Onu e gli obblighi che derivano dall´istituzione del Tribunale internazionale creato per giudicare le persone indiziate della morte di Hariri, fra le quali figurano alcuni personalità del regime siriano. Accuse che la Siria ha sempre respinto. Franco Frattini, si compiace: «Un grande giorno per il Libano», dice accentuando una lettura positiva dell´accordo di Doha. A giudizio del nostro ministro degli Esteri, il compromesso, che affida e riconosce all´esercito il monopolio dell´uso delle armi, chiama gli Hezbollah a privarsi del loro armamento. Il che contribuirà non solo alla stabilità del Libano ma anche della frontiera Sud e dunque alla sicurezza d´Israele. Cosa, quest´ultima, di cui agli Hezbollah importa, tuttavia, molto poco.
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