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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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City - Il Mattino Rassegna Stampa
23.05.2008 David Grossman all'Università Luiss
un'intervista e la cronaca dell'incontro

Testata:City - Il Mattino
Autore: Valentina Santarpia - Maria Tiziana Lemme
Titolo: «Voglio vivere in una casa senza le pareti mobili - La lunga notte di Israele»

Pubblichiamo un’intervista a David Grossman intitolata “Voglio vivere in una casa senza le pareti mobili” apparsa su CITY a firma Valentina Santarpia.

 

La vita in una terra tormentata, i romanzi, l’impegno politico: lo scrittore israeliano si è raccontato agli studenti della Luiss di Roma.

 

 

 

In “Vedi alla voce amore” racconta la Shoah attraverso gli occhi di un bambino: perché?

 

Quando scrivo per i bambini voglio tornare in un mondo che non dà niente per scontato.

 

Momik scava per cercare di capire “la belva nazista”…è quello che ha fatto anche lei?

 

Certo, anche io da bambino ho sofferto molto del silenzio dei miei genitori sull’Olocausto. E anche io ad un certo punto della mia vita ho accettato che non potevo capire la Shoah se non capivo la mia vita non vissuta “laggiù”. Ho cercato di capire quale potesse essere il mio “luz” se mi fossi trovato in condizioni così terrificanti.

 

Il suo luz?

 

Sì, il luz è l’osso più piccolo della colonna vertebrale, e secondo la leggenda ebraica in quest’osso risiede l’essenza della nostra personalità, che resta intatta anche se l’individuo viene calpestato, ucciso.

 

Ma come si fa a comprendere l’essenza di un assassino, di un nazista?

 

Ci sono diversi gradi del male, ma c’è qualcosa di identico nel modo in cui noi tutti a volte cancelliamo la nostra umanità. Molti nazisti non erano psicopatici, ma uomini che avevano cancellato parte di se stessi per poter cancellare altri esseri umani. Il nostro mondo permette ripetutamente massacri di massa e noi tutti collaboriamo senza rendercene conto con il meccanismo del male: li accettiamo perché fanno parte della quotidianità.

 

Dipende dal fatto che non riusciamo mai davvero ad immedesimarci negli altri?

 

Ovvio, non sappiamo come ci si sente ad essere altre persone. Vediamo una coppia sposata da 30 anni, ma conosciamo tutti i meccanismi che chiudono il cerchio? Quando facciamo l’amore con una donna, oltre agli aspetti belli e piacevoli, pensiamo davvero alle caratteristiche che rendono il partner “altro” da noi? La verità è che ci sono delle cose che non vogliamo sapere. In “Aspettando Godot” (di Beckett, ndr) c’è un clown che chiede ad un altro di raccontargli un sogno. L’altro non vuole ascoltarlo. “Che i tuoi incubi restino privati”, gli dice. Abbiamo un’abilità di creare una barriera tra noi e la vita interna degli altri. La scrittura è il mio strumento per superare questi limiti: nello scrivere cerco di farmi invadere dai personaggi, di farmi insegnare la loro grammatica interiore.

 

Anche noi europei capiamo poco della vostra vita…

 

Immagino non sia facile comprendere cosa significhi vivere costantemente minacciati, in cui si opprime e si è oppressi in continuazione. Diceva Brecht che chi ama è colui che non ha sentito le ultime notizie…io conosco la tentazione di chiudermi, di non espormi a ciò che può cadermi addosso, eppure la scrittura mi costringe ad aprirmi, a chiamare la realtà con i miei nomi privati.

 

Cosa intende?

 

Proprio perché la realtà è così terrorizzante, i massimi sistemi creano un linguaggio artificiale, che rende più sopportabili le contraddizioni morali. Ad esempio, prima che scoppiasse la prima Intifada il governo ci impediva in radio di parlare di territori occupati. Quando è scoppiata la guerriglia, c’è stato lo sgomento. Allora sono andato nei territori, e ho scritto “Il vento giallo”, chiamando le cose col proprio nome.

 

Siamo tutti allora vittime di questa manipolazione?

 

Sì, e infatti in tutti i miei libri parlo dell’arbitrarietà: del regime nazista, della gelosia, del corpo sull’anima, dell’occupazione in Cisgiordania e Gaza…parlo dell’arbitrarietà perché mi terrorizza subirla, perdere la capacità di esprimermi liberamente. Ma ho scoperto che ogni volta che esiste un qualche spazio di manovra per uscire dall’arbitrarietà, non si è paralizzati, c’è sempre la possibilità di spostarsi. Anche chi ha condiviso un pezzo di pane con un amico in un campo di sterminio, ha cambiato le regole.

 

Nel suo ultimo libro, “La madre in fuga” (che dovrebbe essere pubblicato in Italia a settembre) parla della fragilità di una famiglia israeliana. Rispecchia il momento attuale?

 

E’ un momento delicato: fino a che le due fazioni del popolo palestinese non si ricongiungeranno non riusciremo ad avere un dialogo di pace. Credo profondamente nella forza del dialogo, quindi dobbiamo parlare con Hamas.

 

Chi spera di veder seduto sulla poltrona di presidente degli USA?

 

Obama ha le potenzialità di essere un buon arbitro leale tra noi e i palestinesi, non come il presidente che abbiamo avuto la sfortuna di avere negli ultimi 8 anni.

 

Cosa spera per il suo Paese?

 

Voglio dei confini, non voglio più vivere in una casa dove le pareti sono mobili, dove c’è sempre la tentazione di invadere o la paura di essere invasi. Solo allora potremo credere di avere un futuro.

 


Da Il MATTINO del 22 maggio 2008, la cronaca della visita di Grossman alla Luiss:

«Buon giorno a tutti! Meravigliose cattive notizie per voi, oggi». Così David Grossman salutava gli ascoltatori del servizio radiofonico di Stato israeliano, più di trent’anni fa, quando lavorava a Gerusalemme come conduttore radiofonico. Lo racconta ai ragazzi della Luiss di Roma che sono venuti a ascoltarlo in un incontro organizzato dal rettore Massimo Egidi e coordinato da Corrado Ocone: «Il mestiere dello scrittore in Israele». «Gatto nel sacco» si chiamava la trasmissione che conduceva, e un’altra era «Stutz», ossia «Può succedere». Grossman usa questo esempio per parlare della manipolazione della lingua, del glossario speciale, del dizionario obbligato per coloro che in Israele in quegli anni dovevano occuparsi di comunicazione: «Non si è mai detto che esistevano i territori occupati. Erano due parole assolutamente vietate. Cosìcché quando scoppiò la prima Intifada, la popolazione israeliana fu colta alla sprovvista. Si era creata una autoillusione e un autoinganno che lasciò tutti di stucco». Cinquantaquattro anni, una trentina di libri tra romanzi, saggi e letteratura per ragazzi, un libro uscito da poco in Israele Madre in fuga che in Italia sarà pubblicato a settembre, nel quale affronta ciò che in Israele si chiama, diplomaticamente, «la situazione», ossia la sanguinaria realtà che accomuna israeliani e palestinesi, Grossman parla per più di due ore a una platea fitta. Ha sempre il viso da ragazzo, nonostante il lutto del figlio Uri, morto a 22 anni in Libano, soldato dell’esercito. Dice che il controllo della lingua in Israele non ha riguardato soltanto i mass media. In un personaggio del suo Vedi alla voce amore, il piccolo Momik, nove anni, ha tentato di riportare la dimensione del silenzio che ha caratterizzato la vita dei bambini israeliani figli di sopravvissuti alla shoa: «Momik sente parlare gli adulti della ”bestia nazista” ma nessuno gli spiega cosa sia. Momik è terrorizzato dal silenzio. E devo dire che io stesso ai miei figli non ho raccontato quel repertorio disumano. Per consentire loro di rimanere bambini». E poi dice: «Noi abbiamo una credenza, la chiamiamo Luz, e segnatevela questa parola. È un ossicino della colonna vertebrale, e si dice che in quest’ossicino risieda la nostra personalità e la nostra capacità di resurrezione. Ora, chiudete gli occhi per dieci secondi e provate a rispondere a questa domanda: dov’è il seme della vostra resurrezione». Spegne il microfono, si ammutolisce e veramente seguono dieci secondi di silenzio. Nessuno risponde. Continua: «Come si può diventare assassini? Il mondo di oggi permette massacri e dispersioni di massa, e in modo efficiente. Assistiamo a una routine del male. Per me scrivere significa capire che cos’è un altro essere umano. Entrare nella sua grammatica interiore, essere il filamento della passione che si trova dentro. Non conosco altri momenti di felicità così pura». Spiega come sia possibile per il cittadino israeliano, educato a un linguaggio fittizio, non riconoscere i segnali di pace e quanto sia importante, e si emoziona dicendolo, non collaborare mai alla manipolazione: «C’è una dolcezza infinita nella sensazione di non essere paralizzato, nel poter esprimersi come si vuole». Ed è veramente orgoglioso che Barak Obama abbia detto di essere stato influenzato dal suo Vento giallo, pubblicato circa vent’anni fa. Lui Presidente degli Stai Uniti? «Ha le potenzialità per essere un arbitro leale fra le nostre due parti, israeliana e palestinese. Per aprire un dialogo sperando che qualcosa cambi. Israele deve riconoscere i suoi errori e deve capire che se i palestinesi non hanno speranza, non c’è possibilità di miglioramento per alcuno. Io voglio la pace, e non un cessate il fuoco». Sessant’anni quest’anno compie la sua nazione: «Occorre avere una doppia visione dell’anniversario. Riconoscere i nostri errori, le occupazioni dei territori, la nostra dipendenza dall’esercito. Ma non vorrei mai pensare alla possibilità che Israele non esistesse». Gli studenti lo incalzano: la realtà che effetto ha sulla sua vita? Grossman risponde: «Un acido che mangia tutto. Ma faccio parte di questa realtà. A volte non lo nego, scrivo per girare la schiena, tentare di non guardare. Poi cinque anni fa ho deciso di scrivere di una situazione più ampia. Partendo da un presupposto che caratterizza Israele, ossia essere obnubilati dalla potenza militare dell'esercito». Scrittore anche per l’infanzia, risponde alla domanda: che cosa significa scrivere per i bambini israeliani? Ciondola con la testa: «Quando scrivo per i bambini non penso di essere israeliano. Penso all’ora della nanna, alla bolla che precede la notte. E ricordo quando a mio figlio Jhonathan dissi, il 21 dicembre di tanti anni fa: ”Sai, oggi è la notte più lunga dell’anno”. E lui non dormì tutta la notte e venne nel letto grande per chiedermi, nel cuore della notte: è terminata?».

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