Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Bush vuole uno Stato per loro, ma non piace ai palestinesi e neppure ai "filo-palestinesi"
Testata:La Repubblica - L'Unità - Corriere della Sera Autore: Alberto Stabile - Umberto De Giovannangeli - Ennio Caretto Titolo: «Stato palestinese subito o lascio Abu Mazen, ultimatum a Bush - Abu Mazen: palestinesi in collera con Bush - Bush, appello ai Paesi arabi «Scegliete la democrazia»»
Alberto Stabile scrive per REPUBBLICA del 19 maggio 2008, un articolo sul discorso di George W. Bush al World Economic Forum sul Medio Oriente. La tesi di Stabile è che Bush è sbilanciato a favore di Israele (L'Onu, la Lega araba e il filo-arabismo dell'Unione europea non esistono), già in posizione di forza nella trattativa, e ai palestinesi offre soltanto parole di circostanza. L'implicito accenno di Bush alle reponsabilità dei palestinesi nella mancata nascita del loro Stato è ritenuta da Stabile una provocazione. I ripetuti rifiuti del compromesso con Israele, il terrorismo, la vittoria elettorale di Hamas non sono forse una realtà storica ? L'esportazione della democrazia è naturalmente un fallimento, come provano... "le facce tristi dei governanti iracheni seduti in seconda fila" 1
In sintesi, un articolo intessuto dall'inizio alla fine di pregiudizi e stereotipi, con pochi fatti e molte, troppe, interpretazioni ideologiche.
Ecco il testo:
SHARM EL SHEIKh - Con un aggiustamento in corso d´opera inteso a mitigare lo scontento sollevato persino tra i suoi estimatori arabi, come il raìs egiziano Mubarak e il sovrano saudita Abdallah, per il suo recente discorso alla Knesset, George Bush ha approfittato della tribuna del World Economic Forum sul Medio Oriente per riaffermare la sua «ferma fiducia» in un accordo di pace fra israeliani e palestinesi entro la fine dell´anno. E quanto ai palestinesi amareggiati per il modo in cui il presidente americano li ha ignorati durante la visita in Israele, dovrebbero trarre conforto dalle seguenti parole: «Dobbiamo sostenere il popolo palestinese - ha detto Bush - che ha sofferto per decenni e s´è guadagnato il diritto ad avere una sua patria». Lo screzio, se così si può dire, è rivelatore di una delle caratteristiche di questo negoziato: la debolezza politica dei palestinesi e la crescente riluttanza con cui gli Usa cercano di raddrizzare la bilancia di una trattativa asimmetrica inevitabilmente pendente dalla parte d´Israele. In verità, secondo le indiscrezioni circolate a margine del Forum, grande è stata l´amarezza dei dirigenti di Ramallah. Nei due giorni trascorsi da Bush in Israele, non solo il presidente Abu Mazen s´è visto snobbato, soprattutto ha visto sparire dalla retorica di Bush, che ha parlato d´Israele come della «patria del popolo eletto», qualsiasi riferimento allo Stato palestinese. A Sharm El Sheikh Abu Mazen ha provato a fare la voce grossa. La Casa Bianca s´è messa in moto per smussare. Il culmine è stato sabato, quando, dopo un incontro di meno di un´ora, il presidente americano e il leader palestinese si sono allontanati dalla folla dei fotografi e dei cameramen mano nella mano. Ma Abu Mazen aveva una faccia da funerale. «Abbiamo detto a Bush tutto il nostro disappunto - ha raccontato Saeb Erekat, che ha partecipato all´incontro -. Il suo discorso alla Knesset è stata un´occasione mancata perché avrebbe dovuto dire che i palestinesi dovevano avere la loro libertà e la loro indipendenza». Bush ha risposto di essere stato il primo presidente americano ad aver parlato di uno stato palestinese indipendente. Poi, coi giornalisti, ha aggiunto: «Mi spezza il cuore vedere il grande potenziale perduto dai palestinesi». Dal che si desume che gli stessi palestinesi non sono esenti da colpe. Quello che vuole Abu Mazen è chiaro: che Bush prema sugli israeliani perché si arrivi a un accordo dettagliato entro la fine dell´anno su tutti gli aspetti del conflitto e dunque sullo stato. Israele s´accontenta invece d´un accordo-quadro che lasci per dopo la definizione dei confini, la questione dei rifugiati, il futuro di Gerusalemme. A Sharm El Sheikh Bush si dice fiducioso che un accordo sia ancora possibile entro il suo mandato. Aggiunge che Israele dovrà fare «duri sacrifici». Ma Abu Mazen non si fida più delle promesse americane. Incontrando Yossi Beilin, uno dei protagonisti degli accordi di Oslo ormai fiori gioco, il leader palestinese fa capire che, se non ci sarà l´accordo nei tempi previsti, potrebbe anche dimettersi. La reticenza israeliana e la prudenza americana nello spingere sulla via del negoziato hanno rafforzato gli estremisti, dice, ed indebolito la sua figura. E intanto sul web arriva un messaggio a «tutti i musulmani» di Osama Bin Laden, che si scaglia contro l´Anp «filo-israeliana». «E´ vostro dovere - dice il leader di Al Qaeda - combattere lo Stato ebraico e togliere il blocco da Gaza». Nel suo discorso di riparazione Bush ha invitato i paesi arabi ad avere coraggio, ad avanzare sulla strada della transizione democratica, a valorizzare il ruolo della donna, a scarcerare i dissidenti. «Troppo spesso - dice - la politica in Medio Oriente consiste in un leader al potere e l´opposizione in galera». Tutti principi sacrosanti che, chissà per quale strano motivo, ogni volta che il presidente americano ha cercato di tradurre in pratica l´ha fatto con metodi discutibili controproducenti. Come dimostrano le facce tristi dei governanti iracheni seduti in seconda fila.
Nel complesso più oggettivo l'articolo di Umberto De Giovannangeli pubblicato dall'UNITA'. Lo sforzo di u.d.g. di non lasciare intendere al lettore il suo personale giudizio sul Medio Oriente si spinge però fino ad estremi difficilmente condivisibili. Bush, scrive il cronista, ha delineato un futuro Medio Oriente " in cui saranno state debellate forze a suo parere perniciose come Hamas, Hezbollah ed al-Qaeda". Hamas, Hezbollah e persino Al Qaeda sono forze perniciose solo "a parere" di Bush ? Vogliono distruggere Israele, instaurare stati totalitari islamici, sterminare gli ebrei, e, nel caso di Al Qaeda, instaurare il califfato, sterminare i musulmani apostati, scatenare l'apocalisse sull'Occidente. Vogliamo dibattere se siano o non siano "perniciose" ?
Ecco il testo:
ISOLARE Iran e Siria. Investire sulla democrazia. La pace fra israeliani e palestinesi è ancora possibile entro il 2008. Più che un’assunzione di impegni, è il «testamento» politico di un presidente che sta per uscire di scena. Il «testamento» di Bush. La democrazia non è un valore Occidentale ma universale e la sua applicazione può garantire all’intero Medio Oriente un futuro di prosperità e di sviluppo. Che contempla, come elemento portante, l’esistenza di uno Stato palestinese accanto a Israele. È la visione illustrata ieri da Bush al Forum economico mondiale di Sharm el- Sheikh (Egitto) davanti a 1.500 dirigenti politici e uomini d’affari mediorientali. In un discorso a tratti molto ideologico - che proseguiva idealmente quello pronunciato giorni fa alla Knesset (parlamento di Gerusalemme) - Bush ha lanciato un appello affinché Iran e Siria vengano isolate e affinché Teheran non riesca a dotarsi di armi nucleari. Ha anche delineato un Medio Oriente futuristico, basato sul libero spostamento di persone, merci ed idee, in cui saranno state debellate forze a suo parere perniciose come Hamas, Hezbollah ed al-Qaeda. Bush ha peraltro rilevato che già oggi «la luce della libertà sta cominciando a brillare». A sostegno della propria tesi ha invitato a guardare verso Turchia, Afghanistan, Marocco, Giordania ed Egitto. Al presidente palestinese Mahmud Abbas (Abu Mazen), incontrato a Sharm el-Sheikh, Bush ha confermato che gli Stati Uniti «sono al fianco del popolo palestinese», hanno fiducia che uno «Stato palestinese democratico» sarà fondato e che un accordo in merito potrà essere conseguito entro la fine di questo anno. Ma in casa palestinese ci sono collera (per il discorso «filoisraeliano» letto da Bush alla Knesset) e anche abbondanti dosi di scetticismo. La «colomba» israeliana Yossi Beilin, che ieri ha incontrato Abu Mazen, ha poi riferito che per il presidente dell’Anp i prossimi sei mesi «saranno critici». In assenza di un accordo con Israele questi, secondo Beilin, «non vedrebbe più significato nella propria carica», si farebbe da parte e dunque le forze radicali della zona festeggerebbero un importante successo. Fra i dirigenti giunti a Sharm el-Sheikh c’era la ministra degli Esteri israeliana Tzipi Livni a cui oggi si aggiungerà anche il ministro della Difesa Ehud Barak. Con il presidente Mubarak intendono discutere fra l’altro il piano egiziano per una tregua a Gaza e i progetti di scambio di prigionieri. Aprendo la seduta domenicale del Consiglio dei ministri a Gerusalemme il premier Olmert ha precisato che sulla questione di Gaza «una decisione è ormai vicina», anche perché per Israele è insostenibile la situazione in cui circa 200 mila abitanti del Neghev rischiano ormai di essere bersaglio dei razzi di Hamas. Dalla striscia di Gaza, Hamas invierà oggi alcuni dirigenti al Cairo per esaminare le stesse questioni. In un discorso pronunciato ieri a Gaza, l’ex premier Ismail Haniyeh ha ribadito che sul piano ideologico non c’è da attendersi da Hamas alcuna concessione politica. L’esperienza passata ha dimostrato, a suo giudizio, che la normalizzazione delle relazioni con Israele non significa il recupero dei diritti nazionali palestinesi. Hamas resta un nemico implacabile dello stato ebraico, ma è disposto a considerare una «tahadya»: un periodo di calma, in cui le armi tacciono. In Israele il dibattito è acceso. La tentazione di una prova di forza contro Hamas è forte, tanto più dopo il lancio di alcuni giorni fa di un razzo katiuscia contro la città di Ashqelon, a sud di Tel Aviv, che ha provocato molte decine di feriti. In un futuro prossimo Hamas potrà colpire anche Beer Sheva, la principale città del Neghev. Ma d’altra parte, osservano ex responsabili della sicurezza come Efraim Halevy (Mossad) e il generale della riserva Amnon Lipkin-Shahak, sarebbe irreale pensare che un blitz militare a Gaza possa abbattere il regime degli estremisti e riportare in auge, «sulle baionette di Israele», i dirigenti di al-Fatah. Se ne conclude, a loro parere, che l’unica strada praticabile è quella del dialogo indiretto con Hamas, con i buoni uffici dell’Egitto. Per Olmert si tratta di una scelta difficile, quasi crudele: perché ogni «vittoria» concessa agli irriducibili di Hamas significa indebolire il partner dei negoziati di pace, Abu Mazen. Un partner «incollerito» con Bush.
Ennio Caretto, che sul CORRIERE della SERA riporta gli ammonimenti di Bush su Siria e Iran. L'inefficacia del viaggio di Bush in Medio Oriente dipende secondo Caretto dall'"impressione che il presidente caldeggi la causa sionista", vale a dire l'esistenza di Israele ! SHARM EL SHEIKH — «Troppo spesso la politica in Medio Oriente vede un leader al potere e l'opposizione in carcere. Gli Stati Uniti sono profondamente preoccupati della persecuzione degli attivisti dei diritti civili e chiedono a tutti i Paesi di liberare i detenuti politici. È ora che questa prassi venga abbandonata e che le popolazioni siano trattate con rispetto ». Così, al World economic forum sul Medio Oriente, il presidente Bush ha lanciato all'Islam la sfida della democrazia, invitando l'Egitto, il Paese ospite e quello che forse lo ha più deluso, «a guidare la regione verso di essa». E ha additato nell'Iran la minaccia più grave al cambiamento e alle riforme: «Tutti i pacifici Paesi mediorientali — ha asserito — hanno interesse a impedire il riarmo nucleare iraniano. Permettere allo sponsor del terrorismo mondiale di procurarsi armi atomiche sarebbe un tradimento imperdonabile delle generazioni future». Giovedì scorso, alla Knesset a Gerusalemme, Bush aveva tenuto un analogo discorso sul futuro del Medio Oriente. Ma tanto allora era parso elogiativo nei confronti degli israeliani, tanto ieri è parso aspro nei confronti degli arabi. Il presidente ha esordito affermando che «la luce della libertà incomincia a brillare nell'Islam», citando la Turchia, l'Afghanistan, l'Iraq, il Marocco e la Giordania. Ma ha lamentato come altrove «non si investa nei cittadini, non si dia loro quella libertà che farebbe del Medio Oriente un faro di progresso». E ha polemizzato con chi considera la democrazia nemica della religione islamica: «La democrazia è l'unico sistema politico che protegge la religione e che garantisce lo stato di diritto». Davanti a un pubblico freddo, Bush ha sostenuto che la democrazia mediorientale può svilupparsi solo correndo su un doppio binario: il pluralismo in casa e la resistenza all'Iran fuori. E ha ammonito che una sua componente chiave deve essere la nascita di uno stato della Palestina, definendosi «fiducioso » che gli israeliani e i palestinesi raggiungano un accordo quadro entro la fine dell'anno. Accordo, ha precisato più tardi il consigliere della sicurezza nazionale Stephen Hadley, «che non comporta un'immediata attuazione: il presidente ha sempre sottolineato che essa richiederà anni». Hadley ha confermato che Bush è pronto per una terza visita in Israele e in Palestina in autunno: «Non posso scendere nei particolari, ma si stanno compiendo passi avanti concreti nelle trattative». Il discorso di Bush è stato anche una sferzata economica e sociale ai Paesi arabi. Il petrolio non vi arricchirà in eterno, ha tuonato il presidente, dovete diversificare le vostre economie, passare dal protezionismo al libero commercio, favorire l'iniziativa privata, e istruire la vostra gente. Dovete soprattutto, ha aggiunto, aprirvi ai giovani e alle donne: «È una questione morale e matematica, perché nessuna nazione che esclude dal lavoro oltre metà dei cittadini sarà mai prospera». Come a Gerusalemme, Bush ha prospettato di qui a 60 anni un Medio Oriente in pace e in benessere purché, ha ripetuto, «si respingano le forze del terrore ». Il presidente ha esortato l'Islam a fare quadrato attorno al governo libanese, a quello iracheno e alla Autorità palestinese «minacciati dall'Iran». Ma è dubbio che il messaggio di Bush, da lui già trasmesso proprio da Sharm el Sheikh due anni fa, lasci un segno. La visita in Israele, l'Arabia Saudita e l'Egitto ha dato l'impressione che il presidente caldeggi la causa sionista, e che parli e agisca per influenzare gli americani in vista delle elezioni. E il suo ottimismo non solo sulla Palestina ma anche sull'Iraq, l'Afghanistan e il Pakistan, è sembrato infondato. Ma il Medio Oriente e il Golfo Persico intendono discutere di un nuovo ordine non più con lui bensì con il suo successore.
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