Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Israele alla Fiera del libro, quarantunesima puntata cronache e bilanci
Testata:La Stampa - Il Giornale - Il Riformista - L'Unità Autore: Giovanna Favro - Marina Gersony - Caterina Soffici - Luca Mastrantonio - Oreste Pivetta , Zvi Yanai Titolo: «Rinascimento Ressa agli stand. Oggi alle 22 si chiude - Fiera del Libro Yanai: La mia balia Giusta fra le nazioni - Fallito il G8 dei libri. E chiusura in netta ripresa - Era la Fiera del Libro, ma di libri si è parlato poco - Paura su misura»
Incremento dell'afflusso di visitatori alla Fiera del libro. E 2500 bandiere d'Israele vendute: più dei partecipanti al corteo dei boicottatori. Ecco il testo della cronaca di Giovanna Favro, dalle pagine torinesi della STAMPA:
«La Fiera è oggi quel che doveva essere negli altri giorni. Passata la tempesta, vedo finalmente tra i padiglioni il primo giorno di Fiera normale, con una folla enorme di lettori». Parole di Ernesto Ferrero, direttore di Librolandia, ieri mattina: archiviate le proteste e i timori per il corteo, al Lingotto è mutata l’aria. Una domenica di assalto agli stand, con code alle biglietterie fin dalla mattina. Difficilmente la folla di ieri ripianerà i minori afflussi di pubblico di sabato pomeriggio, tradizionale picco d’affluenza, perché pure la domenica è sempre stata caldissima. Però, quando stasera la Fiera chiuderà, e si esamineranno luci e ombre, a raddolcire gli animi non saranno solo gli 80 chili di torta finale. Anche ieri gli editori hanno confermato il buon andamento delle vendite, e per il sindaco Sergio Chiamparino «il boicottaggio politico non è riuscito: ne è prova il fatto che i visitatori sono aumentati appena finita la manifestazione». Assenti gli annunciati D’Alema e Casini, ieri si sono tuffati nella Fiera Fausto Bertinotti e Piero Fassino, mentre negli uffici è cominciata la conta dei biglietti dei visitatori in vista del saldo finale. I calcoli sono complicati da intoppi curiosi. Maurizio Poma, il direttore di Biella Intraprendere, la società che organizza la Fiera, rivela le ragioni di un piccolo giallo. Centinaia di ragazzini non sono stati conteggiati alle barriere delle biglietterie, ma risultano aver frequentato i laboratori. Motivo? Venerdì un calo di tensione ha bloccato il server di Librolandia, facendo saltare il sistema informatico. Nella finestra di black-out, i prenotati ai laboratori sono stati comunque fatti entrare. Secondo intoppo: il camion di Radio Dj, che staziona vicino alle biglietterie. Gli impulsi della trasmissione radiofonica hanno mandato in tilt i lettori di pass e badge, che operano in radiofrequenza. Si è creato un certo scompiglio, prima che fosse chiarito il malfunzionamento. Ieri c’è stata ressa nei convegni, e s’è esaurita con ore d’anticipo la capienza delle sale per Paco Ignacio Taibo II, Vittorio Sgarbi, Eugenio Scalfari in dialogo con Antonio Gnoli, Giorgio Faletti in duetto con Antonio Ricci. C’è stata calca per «Mani sporche» con Gomez, Santoro e Travaglio, con spintoni e proteste per entrare. Fischi e urla ci pure al termine dell’appuntamento, con Travaglio apostrofato da cori di «Buffone!»: alle 15,30 era previsto nella stessa sala Magdi Allam, ma non c’è stato verso di far mollare i microfoni ai relatori di «Mani sporche» fino alle 16,15. Dure proteste di chi aspettava Allam, un pubblico opposto a quello di Santoro. Anche il sindaco ieri ha puntato il dito contro i media, accusati d’aver enfatizzato gli allarmi sulla sicurezza, e Librolandia è decisa ad approfondire la faccenda: ha affidato uno studio a Renato Mannheimer, per verificare se sia esistito un nesso tra notizie e biglietterie. In attesa dei conteggi ufficiali, ieri gli editori hanno tratto le somme. Antonio Sellerio ha venduto più libri dell’anno scorso: «Peccato che si sia parlato poco dei convegni, e moltissimo delle polemiche legate all’invito ad Israele. Migliaia di persone avevano lavorato a ben altro». Umberto Cortellazzi, responsabile vendite di Mondadori per il Nord Italia, racconta che s’è venduto più del 2007 da Einaudi, Mondadori e Piemme; parla addirittura di «vendite raddoppiate rispetto alla domenica dell’anno scorso, con un più 20% complessivo» il direttore editoriale di Bollati Boringhieri Francesco Cataluccio. Stima nel 15% l’aumento di vendite Francesco Pedicini, direttore di produzione di Fazi, e segna un progresso sul 2007 Renzo Ginepro, direttore commerciale di Adelphi. Roseo il bilancio dello stand di Israele (molti titoli esauriti) e 2500 bandiere vendute, «più di quante erano le persone del corteo». La Fiera chiude alle 22. Alle 19,30 gran finale con il campione del mondo di torte Fabrizio Galla di San Sebastiano Po. Prepara 4 metri quadri di fragole e bavarese alla vaniglia, sormontati da un metro e mezzo di scultura di cioccolato.
Dal GIORNALE un articolo di Marina Gersony sull'incontro con lo scrittore israeliano Zvi Yanai:
Non poteva che essere così: nonostante i cortei sgangherati e i tentativi di boicottaggio ininfluenti, il bilancio della Fiera del Libro di Torino, che si chiude oggi, è più che positivo. L’offerta culturale è stata di alto profilo e ha mantenuto le promesse. Ne abbiamo avuto ulteriore prova ieri mattina, con l’intervento di Sandro Toth (ora Zvi Yanai), scrittore israeliano che ha regalato al pubblico del Lingotto un momento di grande impatto emotivo. Come Aharon Appelfeld, al quale è stato paragonato (in realtà sono molto diversi), anche la sua testimonianza, raccolta nel libro Il fratello perduto (Bompiani, pagg. 444, euro 19), affonda nel periodo più buio del ’900. È l’ennesima, purtroppo, epopea di una famiglia distrutta dai conflitti e dalle circostanze anche se, come ogni storia di guerra, possiede una sua tragica unicità. «Ho raccontato la mia vita - ha spiegato l’autore - lasciando volutamente dei vuoti che ognuno può riempire come meglio crede. È una vicenda come il formaggio Emmenthal, con tanti buchi. E il lettore potrà farsi tutte le domande che vuole». Una cosa è certa: la vita è una roulette, tutto sta nel nascere al posto giusto e al momento giusto, altrimenti il tuo destino è segnato. E Sandro-Zvi è nato nel posto e nel momento sbagliato. Anche se poi, alla fine, la ruota gira per tutti. Sono gli anni dei conflitti in Europa. La madre è un’ebrea austriaca, ballerina; il padre un cantante lirico ungherese, protestante. Sono artisti, giovani e un po’ incoscienti. O meglio, spensierati come solo lo si può essere a quell’età. Tra una tournée e l’altra nascono quattro figli, in Italia, tra cui Sandro e un altro bimbo che scomparirà; un fratello, forse reale o forse inventato, che diventerà l’interlocutore principale del libro. Escamotage letterario o no, l’autore non lo rivela. Yanai viene a sapere dell’esistenza di un certo Romolo Benvenuti, professore universitario a Roma. Decide di scrivergli una lettera, e così fra i due inizia una corrispondenza prima professionale, poi sempre più personale. Fin quando gli porrà la domanda che lo tormenta da sempre: «Sei tu mio fratello, Romolo Toth, nato a Catanzaro nel 1933, affidato a una balia e, per qualche misteriosa ragione, lasciato presso di lei?».
Arriva la seconda guerra mondiale, le persecuzioni e le leggi razziali. La nonna viene uccisa in un lager polacco, la mamma muore, il padre finisce in Ungheria e la balia, Ida, si prende cura di tre orfani, fino a che, a guerra finita, non li affida ai soldati della Brigata Ebraica per portarli in Palestina dove vive uno zio materno. Ed è proprio la balia a occupare un ruolo centrale nel racconto di Yanai. «Ida era un membro della famiglia, per noi è stata una seconda madre. Aveva conosciuto i nostri genitori nella sua città natale, Monselice, vicino a Padova. Ci seguì in tutti i nostri trasferimenti e i nostri vagabondaggi per l’Italia. Quando siamo rimasti orfani si è presa cura di noi sfidando ogni pericolo e mettendo a repentaglio la propria vita. Eravamo stati battezzati e cresimati, ma il rischio che scoprissero le nostre radici ebraiche era sempre presente. Come scrisse Primo Levi a proposito della figura stupenda di Lorenzo in Se questo è un uomo, anche l’umanità di Ida era pura e incontaminata». Non a caso il 24 febbraio 1993 lo Yad Vashem (il memoriale ufficiale di Israele delle vittime ebree dell’Olocausto) decise di riconoscere Giusto tra le nazioni Ida Brunello Lenti, la tutrice dei tre piccoli orfani abbandonati dagli uomini e da Dio. L’annuncio le fu recapitato nell’aprile del 1993 e fu invitata a incontrare Avi Panzer, l’ambasciatore israeliano a Roma. Un riconoscimento che fino a oggi è stato assegnato a 21mila persone di quarantadue Paesi. In seguito fu invitata in Israele insieme a una delegazione di Giusti che avevano subito l’occupazione tedesca. Ida piantò un albero che porta il suo nome, da allora immortalato nella pietra. Questo è solo un passaggio della lunga testimonianza di Yanai che oltre a descrivere questa toccante vicenda umana e i personaggi straordinari che le ruotano intorno, rappresenta la lenta conquista dell’ebraismo che sostituisce (ma non dimentica) l’identità europea d’origine. m.gersony@ilgiornale.it
Il bilancio di Caterina Soffici, inviata del GIORNALE a Torino:
Fallito il G8 dei libri. Fallito anche il boicottaggio della manifestazione culturale accusata dai centri sociali, dalla sinistra antagonista e dagli attivisti pro Palestina di essere una celebrazione di Israele nel 60º della fondazione. Alla Fiera di Torino è il giorno in cui si tira un respiro di sollievo. Maurizio Poma, direttore di Biella Intraprendere, società che gestisce la vendita degli stand e dei biglietti, fa un primo bilancio, anche se del tutto ufficioso (per i dati ufficiali bisognerà aspettare la chiusura dell’evento, domani sera): «C’è un calo oggettivo delle classi e dei ragazzi, mentre per gli ingressi normali siamo in linea con l’anno scorso. Sabato pomeriggio, nelle ore della manifestazione pro Palestina, c’è ovviamente stato un calo. Però in serata si è abbondantemente recuperato». Le camionette della polizia e dei carabinieri stazionano ancora davanti ai cancelli del Lingotto, ma la paura è passata. Paura che però ha inciso sulle presenze dei primi due giorni, giovedì e venerdì, quando molte scolaresche hanno deciso di rinunciare alla tradizionale passeggiata tra i libri. Qualche scuola, non molte e soprattutto da fuori Torino, ha deciso di disdire la prenotazione per i laboratori dedicati a bambini e ragazzi. Gli stessi organizzatori spiegano che le cronache allarmanti dei giornali hanno indotto genitori e presidi a cancellare gli appuntamenti. Anche dalla Fondazione per il Libro dicono di essere contenti: «Non abbiamo ricevuto proteste dagli editori e questo significa che tutto procede come di consueto. Se non vendessero, verrebbero subito a lamentarsi... ». In effetti anche gli editori confermano questa prima panoramica ufficiosa e casereccia. Maurizio Turchetta, direttore generale libri della Mondadori, conferma che le vendite nello stand della più grande casa editrice italiana sono lievemente superiori rispetto a quelle del 2007. Alla Rizzoli invece avevano notato un calo tra giovedì e venerdì ma nel weekend la situazione è tornata assolutamente nella norma. Lo stesso per Laterza e Feltrinelli (i titoli più venduti I barbari di Alessandro Baricco e un autore israeliano, Amos Oz con La vita fa rima con la morte). Anzi, forse proprio il fragore mediatico che ha accompagnato questa edizione, con presenza del capo dello Stato, servizi su tutti i telegiornali nazionali e grande spazio sui quotidiani, hanno alla fine aiutato a catalizzare l’attenzione su un evento culturale molto popolare che ogni anno alla fine della cinque giorni di maratona libraria totalizza trecentomila ingressi. Ieri, domenica, giornata tradizionalmente dedicata alle famiglie con figliolanza al seguito, sono stati 100mila, come l’anno scorso. Dalla Fiera è tutto: boicottaggio fallito anche sul fronte editoriale.
Bilancioben diverso, ma basato su valutazioni ideologiche e non sui fatti e sulle cifre di una manifestazione di successo, quello di Luca Mastrantonio sul RIFORMISTA
Un articolo che appare ambiguo, ma dal quale si capisce che per Mastrantonio sarebbe stato meglio se Israele non fosse stata invitata. Tutti i guai, per lui, sono iniziati da quella decisione.
Torino. Non potendo far ballare i numeri, come invece avviene, tra questura e manifestanti, per le manifestazioni di piazza, alla Fiera del libro ballano le valutazioni sui numeri. Sabato ci si muoveva tra gli stand come non capitava da anni, di scolaresche ce ne erano meno del solito. Tutti sono d'accordo sul fatto che l'affluenza sia visibilmente in calo. Anche se dopo «la situazione è drammatica» di Piccioni, Ferrero ha individuato una fascia oraria per dire che in serata, rispetto a quella del sabato dell'anno scorso, è andata bene. La colpa, oggettivamente, è della tensione che è salita grazie ai media dentro i quali hanno soffiato politici come Gianfranco Fini, improvvido nel comparare due bandiere bruciate a Torino alla morte per pestaggio del ragazzo di Verona. Si sono pubblicate foto che ritraevano ragazzi bendati con fumogeni e attorno cortine di fumo che chissà cosa facevano temere. Ma alla manifestazione non è successo niente, non si sono neanche bruciate bandiere. E non c'erano nemmeno quattromila persona, ma un rapporto quasi uno a uno tra manifestanti, pacifici, e poliziotti, ultra-statici. Altro che "zona rossa", si è giocato a uomo. Col solito catenaccio all'italiana. Personaggi di scarsissimo peso politico, tra gli organizzatori dei centri sociali, hanno ottenuto grande spazio mediatico senza aver prodotto nulla. Nulla di quello che volevano loro, nessun messaggio infatti è arrivato, solo fumo e il rilancio della kefiah come foulard di mezza stagione; ma nulla è stato prodotto, per fortuna, di quello che le Cassandre attribuivano alla manifestazione, deprecando non tanto quello che avevano fatto nei giorni scorsi, ma quello che sicuramente, secondo loro, avrebbero fatto dopo. Chi ha guadagnato molto, in termini di visibilità, è lo scaltrissimo professore Gianni Vattimo. Il quale non credo abbia dubbi sul dilemma della fiera: è più cretino un cretino o chi gli dà retta? Per alcuni editori l'errore è alla base, nella scelta di Ernesto Ferrero di optare per Israele, al posto dell'Egitto, come previsto inizialmente, per festeggiare i 60 anni della sua Costituzione. Questa "deliberata coincidenza" ha politicizzato la manifestazione. È un dato di fatto, oggettivo. Mentre non è oggettivo, anche se suggestivo, che sarebbe stato possibile e felice provare a imbastire uno spazio per i palestinesi come ospiti d'onore, scrittori senza stato. La scelta d'Israele ha turbato il clima della Fiera del libro, inibito l'abilità diplomatica dello stesso Ferrero. Come? I falchi filo-israeliani si sono sommati ai corvi del malaugurio anti-israeliani in un unico coro gracidante. Sia chiaro che la scelta di Israele è una scelta indiscutibile: una volta che è stata fatta non può essere messa in discussione sotto alcun punto - e ridicoli tutti gli ibridi alla Dario Fo che ne sono derivati, della serie vengo ma con distinguo, non parlo del libro sul petrolio ma di Palestina - proprio come lo stato d'Israele. La fiera ha rispecchiato la pessima ideologia del "né con me né senza di me" di quanti vogliono subordinare Israele a uno stato palestinese. Ma bisogna ammettere che, indubbiamente, la scelta è stata infausta. Sul piano mediatico, perché ha prestato troppo facilmente il fianco alle strumentalizzazioni di segno contrario e non opposto - non si può mettere sullo stesso piano chi fa l'ultra-filo-israeliano e chi fa l'ultra-anti-israeliano - e ancor di più, infausta, sul piano logistico, perché la concomitanza delle feste in Israele e in tutto il mondo ha reso meno unica l'edizione e impedito che fossero presenti Amos Oz e David Grossman, che hanno preferito stare in Israele per i festeggiamenti. D'altronde, se il giorno del compleanno ti fanno una festa, ma è dall'altra parte del mondo, uno ringrazia, certo, ma difficilmente potrà essere presente. La bellezza, forse, ci salverà, ma la furbizia o l'ingenuità, no. La manifestazione è stata irrilevante, sul piano politico e del dibattito, c'erano vecchi sessantottini, nel senso di sessantotto anni, e giovani belli e in posa come The dreamer . Purtroppo, però, con il calo di affluenza o comunque con il cono d'ombra in cui i libri sono finiti, ha vinto il boicottaggio. Non quello attivo, troppo deficiente, ma un "boicottaggio passivo".
Altro bilancio sull'UNITA', in un articolo di Oreste Pivetta. Siccome il corteo antisraeliano a Torino non è stato violento (per una decisione di tattica politica) chi lo temeva è tacciato di irresponsabile allarmismo.Siccome il "governo" israeliano non è stato "criticato" la Fiera del libro ha perso un'occasione. Come se fosse abituale dedicare una fiera dell'editoria alla critica del governo del paese ospite. Come se le più gravi e le sole responsabilità nel conflitto mediorentale fossero di Israele, e si dovesse ricordarle in ogni occasione utile. Come se le alternative alle scelte dei governi israeliani fossero chiare, facilmente praticabili, senza costi e senza rischi...
Ecco il testo:
Si legge la delusione nei titoli di molti dei grandi giornali italiani. I ribelli sono andati al bar. Sfila il corteo anti-Israele, si svuota la Fiera del Libro. A Torino tensione ma niente incidenti. Il corteo pro Palestina fa calare le presenze alla Fiera. Macché Israele, la sinistra sfila contro se stessa. Perfetta, o quasi, rappresentazione di un sabato torinese, quello che avrebbe dovuto, secondo le previsioni degli stessi organi di stampa, ripresentarci il ferro e il fuoco e magari il sangue di Genova. La segnalazione più precisa, più ironica e pungente, ci giunge dal Giornale: la sinistra, appunto, che si divide un’altra volta, Bertinotti nel mirino della contestazione. Perché Rifondazione ha dato forfait e Bertinotti, che aveva preferito le sale del Salone, poi ha disertato anche quelle. Niente. «Cane che abbaiò non morde», scrive ancora il Giornale. In questo caso a torto, perché quelli di Askatasuna, il centro sociale, o di Free Palestine, in testa nell’organizzazione del corteo anti Lingotto, avranno abbaiato ma non avevano alcuna intenzione di mordere (da segnalare l’ossimoro di un occhiello che si legge in una pagina interna della Stampa: «I falchi di Askatasuna: nessuno sfidi la polizia»...). Tutti, centri sociali e associazioni varie e comitati unitari di base, la scorsa settimana, avevano tante volte manifestato l’intenzione di un corteo per la Palestina, in pace però, per alzare bandiere della Palestina durante giornate in cui si sono viste soprattutto quelle di Israele. Avevano anche spiegato (anche sull’Unità attraverso la voce di un rappresentante di Askatasuna) che le bandiere bruciate in coda al Primo Maggio dovevano solo giocare da richiamo per la stampa. Che ha accolto l’invito, interpretando il messaggio come un annuncio di guerra e iniziando così a tempestarci di “zone rosse”, violenze annunciate, bandiere offese, come se il finesettimana dovesse diventare un sabato di guerra. Incurante della cauta tranquillità del sindaco Chiamparino e persino della misura del prefetto e del questore, che assicuravano come di “zone rosse” non si dovesse parlare, dal momento che il Salone del libro doveva sempre considerarsi aperto al pubblico, assicuravano la massima vigilanza ma anche dell’inesistenza di notizie d’allarme. Si fanno i conti dei danni e, evidentemente, con il rammarico di alcuni, non si elencano vetrine rotte, ma solo biglietti invenduti: è calata l’affluenza. Naturalmente si tenta di addebitare il calo alla minaccia rappresentata dai manifestanti (che si sono mantenuti ben lontani dal Lingotto, come in doverosa cultura legalitaria avevano concordato con il prefetto, e che per giunta erano solo poche migliaia), senza ombra d’autocritica e d’allusione al peso dell’allarmismo diffuso. Se si scrive una volta, due volte, tre volte che il sabato sarà un girone d’inferno attorno al Lingotto, è ovvio che molti preferiscana rimanere a casa. Agitando lo spettro della guerra civile, sono un po’ riusciti nell’impresa: il boicottaggio Che non sia successo nulla è un sollievo. La dimostrazione che si possano manifestare anche in modo fragoroso convinzioni aspre nella loro alterità, senza danni, senza botte, senza lacrimogeni in mezzo, conforta. Sta nelle regole e nelle espressioni della democrazia. Peccato che a Torino, malgrado i tentativi di molti, si sia persa una occasione. Non si sarebbe suggellata tra le bancarelle del Salone la pace in Israele, in quelle stanze non si sarebbe costruita una speranza di vita per i palestinesi, ma un segnale lo si sarebbe potuto dare. Detto che lo Stato d’Israele non si tocca, forse si sarebbe potuto discutere del suo governo. Soprattutto si sarebbero potute esaltare, tra le differenze, le contiguità della cultura degli uni e degli altri, il malessere di una parte e lo strazio dell’altra, sconfessare certe immagini militaresche e bombarole. In quella terra tormentata (usiamo pure il plurale: in quelle terre tormentate) ci sono anime che soffrono e menti che si tormentano: la cultura, a interrogarla senza reticenze, ne offrirebbe un quadro ricco. Peccato che le domande siano rimaste in silenzio. Colpa di chi ha pensato che bastasse un corteo per porle e di chi non ha osato abbastanza per raccoglierle. Sinceramente pensiamo che dal Salone del libro, ventennale ormai, sarebbe stato necessario il coraggio di rappresentare con la certezza di uno Stato anche la conseguenza dei conflitti. Ma, come qualcuno ha già scritto e detto, la complessità è una parola che mette paura.
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