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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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L'Unità - Il Manifesto - La Repubblica Rassegna Stampa
11.05.2008 Beato chi si arrende a Hezbollah
grandi elogi del generale Suleiman, dai terroristi sciiti e dai tre quotidiani

Testata:L'Unità - Il Manifesto - La Repubblica
Autore: Umberto De Giovannangeli - Alfredo Moriani - Fabio Scuto
Titolo: «Il generale Suleiman ha agito bene, può fare il presidente - L'esercito garante della tregua - Suleiman, il generale che salva la pace ora sogna la poltrona di presidente»
Acritica intervista a presidente del Comitato politico di Hezbollah sulla situazione in Libano, che elogia la resa dele generale Suleiman.
Di Umberto De Giovannangeli, da L' UNITA':


È considerato l’ideologo del Partito di Dio sciita. Già presidente del Comitato politico di Hezbollah, Mohammad Raad ne è oggi il capo del gruppo parlamentare. «L’esercito - sottolinea Raad - si è fatto garante dell’unità del Paese rimuovendo le ragioni che ci avevano spinto a reagire alla dichiarazione di guerra del governo Siniora».
In un discorso televisivo alla nazione, il premier Siniora ha accusato di golpismo Hezbollah.
«Siniora sa bene che Hezbollah è stato costretto ad agire in risposta a una decisione presa dal governo che metteva a repentaglio militanti e dirigenti della Resistenza islamica. È stato il governo Siniora a dichiarare guerra a Hezbollah e non viceversa».
Dopo la presa di posizione dell’esercito, Hezbollah ha ordinato alle sue milizie di ritirarsi dalle strade di Beirut. È un cedimento o una vittoria?
«Abbiamo difeso le ragioni di metà del popolo libanese. Abbiamo riaffermato che Hezbollah è parte fondamentale del Libano e che non si piegherà mai ai voleri di chi intende mettersi al servizio dei veri nemici del Paese Israele e gli Stati Uniti. A vincere è stata la resistenza libanese, quella che ha realmente a cuore l’indipendenza del Libano. Voglio aggiungere che i comandi dell’esercito hanno dato prova di grande responsabilità evitando di fare dell’esercito stesso uno strumento nelle mani di chi intende monopolizzare il potere. Di ciò Hezbollah dà atto in primo luogo al generale Suleiman...».
Vale a dire al capo delle forze armate che la maggioranza antisiriana vorrebbe come nuovo presidente della Repubblica; una elezione che l’opposizione sta impedendo. Le cose ora potrebbero cambiare?
«Per quanto ci riguarda non abbiamo mai posto un veto sulla persona del generale Suleiman; il problema è di legare l’elezione del Presidente ad una intesa più generale che riguardi anche il nuovo governo. Richiesta che rilanciamo: il dialogo nazionale è possibile, e in questo contesto Suleiman, per come si è comportato in questa crisi, può essere un Presidente di garanzia. Per tutti».
La maggioranza antisiriana ribatte che il vero obiettivo di Hezbollah è continuare ad agire come uno Stato nello Stato, imponendo il suo contropotere armato.
«La forza di Hezbollah non è nelle armi ma è nel consenso che ha conquistato con la sua azione sociale, con i suoi programmi, nella società libanese, e non solo nella comunità sciita. Ciò che abbiamo chiesto è che questa rappresentanza pesasse nella determinazione degli assetti istituzionali e di governo. La risposta che abbiamo avuto è stata di chiusura totale. Ciò che chiediamo è di contare per ciò che rappresentiamo».
Dicono che Hezbollah agisca per conto di Iran e Siria.
«La minaccia all’integrità territoriale e alla sovranità del Libano non vengono dall’Iran e dalla Siria, ma da Israele, contro cui abbiamo combattuto due estati fa. Hezbollah si onora di avere amici a Teheran e a Damasco ma Hezbollah non è né sarà mai un movimento eterodiretto».
Qual è il rapporto tra Hezbollah e i caschi blu di Unifil 2?
«Un rapporto positivo e tale deve restare. Guai se i caschi blu intervenissero negli affari interni del Libano, perché se ciò dovesse avvenire sarebbe stravolto il senso di questa missione, e le forze che la compongono si trasformerebbero da forze di pace a truppe d’occupazione».

Il MANIFESTO esalta "l'esercito garante della tregua" e presenta il generale Suleiman come "un vero Salomone":

GERUSALEMME - L´uomo della provvidenza in Libano ha un nome, un cognome ed è il primo soldato del Paese dei Cedri. Il comandante dell´esercito e candidato presidenziale «di consenso», il generale Michel Suleiman, cristiano maronita, ha fatto il suo ingresso ieri pomeriggio nella peggiore crisi degli ultimi 18 anni in Libano. Si è mosso come un diplomatico navigato invece che come un comandante militare ed è riuscito a impedire che il «colpo di stato» di Hezbollah precipitasse in una nuova guerra civile. Il premier Fuad Siniora dopo quattro giorni di silenzio ieri aveva pubblicamente sfidato il «golpe» di Hezbollah, sferzando l´esercito ad «assumersi le sue responsabilità». Le forze armate hanno reagito rivendicando «il controllo della sicurezza» ma di fatto annullando le decisioni di Siniora. E´ bastato questo perché Hezbollah annunciasse la consegna di Beirut ovest all´esercito. Le truppe regolari si erano limitate in questi giorni a osservare i miliziani del Partito di Dio prendere il controllo di Beirut ovest, poi ieri pomeriggio dopo il discorso alla nazione di Siniora la «svolta» di Suleiman. Subito ha fatto sapere che il capo della sicurezza dell´aeroporto internazionale di Beirut, il generale Wafiq Shuqeir, uomo vicino al movimento sciita la cui cacciata era stata disposta da Siniora, resterà al suo posto fino a quando non saranno state provate le sue manchevolezze. Inoltre, l´esercito gestirà la questione della rete di telecomunicazioni militare di Hezbollah, che il governo ha definito illegale, in modo che sia preservato «il pubblico interesse e quello della resistenza». Allo stesso tempo il comandante dell´esercito ha chiesto a Hezbollah, senza nominarlo esplicitamente, di togliere i blocchi che paralizzano il Libano sud. E nel giro di un´ora il Partito di Dio ha reagito, iniziando a richiamare i suoi uomini armati da tre giorni padroni delle strade di Beirut. Nel suo discorso alla nazione, il primo ministro aveva accusato l´esercito di non aver eseguito la sua richiesta di «mantenere la pace» contro i golpisti di Hezbollah e aveva chiesto ai militari «di imporre la sicurezza». Parole che potevano essere interpretate in modo molto «muscolare», la soluzione peggiore per la crisi libanese. Piuttosto che annullare le decisioni contro Hezbollah, dicevano i fedeli del premier, Siniora è pronto alle dimissioni. Forse ha salvato la faccia, è stato un generale a annullare le sue decisioni. Suleiman è stato finora attento a tenere se stesso e i suoi soldati al di fuori degli scontri politico-confessionali, che hanno alimentato la tensione in Libano negli ultimi tre anni. La «neutralità» dell´esercito libanese è stata la chiave della sua sopravvivenza. Inviare le truppe a combattere una fazione o l´altra, in particolar modo Hezbollah, avrebbe significato oltre che una disfatta militare - la milizia sciita è meglio organizzata e numericamente consistente - la disintegrazione dell´esercito, così come si polverizzò all´inizio della guerra civile che insanguinò il Libano per 15 anni fino al 1990. L´esercito è tradizionalmente poco reattivo perché ogni azione richiede un «consenso politico», come avviene per tutte le decisioni importanti nel multiconfessionale Libano. Il suo punto debole, oltre alla sua scarsa capacità bellica - pochi mezzi pesanti e niente aerei - è la struttura basata sul delicato equilibrio musulmani-cristiani tra gli ufficiali, mentre gli sciiti sono la maggioranza tra i soldati. La neutralità di Suleiman è stata elogiata sia dall´opposizione guidata dagli Hezbollah, sostenuti da Siria e Iran, che dai partiti della coalizione di maggioranza appoggiata da Stati Uniti, Unione europea e Arabia Saudita. Entrambi gli schieramenti concordano che il generale dovrebbe essere il prossimo presidente «di consenso» del Libano, che è senza capo dello Stato sin dallo scorso novembre. Una seduta del Parlamento è convocata per mercoledì prossimo proprio per eleggere il capo dello Stato, è il diciannovesimo tentativo in sette mesi. Certamente non sarà l´ultimo.

Per Fabio Scuto di REPUBBLICA, l'ambiguo Suleiman è "l'uomo della provvidenza".
Gian Micalessin sul GIORNALE racconta una storia molto diverso sull'esercito guidato dal generale ("Il generale e i sospetti di doppiogioco", pagina 13:

Per tre giorni i libanesi hanno assistito sconsolati all'inerzia di un esercito immobile, indifferente e talvolta persino complice.  Prima non ha mosso un dito per impedire alle milizie sciite di infiltrare espugnare le roccaforti sunnite, poi quando si è mosso lo ha fatto per sequestrare le armi degli sconfitti e difendere lo status quo imposto da Hezbollah

Di seguito l'articolo di Scuto

GERUSALEMME - L´uomo della provvidenza in Libano ha un nome, un cognome ed è il primo soldato del Paese dei Cedri. Il comandante dell´esercito e candidato presidenziale «di consenso», il generale Michel Suleiman, cristiano maronita, ha fatto il suo ingresso ieri pomeriggio nella peggiore crisi degli ultimi 18 anni in Libano. Si è mosso come un diplomatico navigato invece che come un comandante militare ed è riuscito a impedire che il «colpo di stato» di Hezbollah precipitasse in una nuova guerra civile. Il premier Fuad Siniora dopo quattro giorni di silenzio ieri aveva pubblicamente sfidato il «golpe» di Hezbollah, sferzando l´esercito ad «assumersi le sue responsabilità». Le forze armate hanno reagito rivendicando «il controllo della sicurezza» ma di fatto annullando le decisioni di Siniora. E´ bastato questo perché Hezbollah annunciasse la consegna di Beirut ovest all´esercito.
Le truppe regolari si erano limitate in questi giorni a osservare i miliziani del Partito di Dio prendere il controllo di Beirut ovest, poi ieri pomeriggio dopo il discorso alla nazione di Siniora la «svolta» di Suleiman. Subito ha fatto sapere che il capo della sicurezza dell´aeroporto internazionale di Beirut, il generale Wafiq Shuqeir, uomo vicino al movimento sciita la cui cacciata era stata disposta da Siniora, resterà al suo posto fino a quando non saranno state provate le sue manchevolezze. Inoltre, l´esercito gestirà la questione della rete di telecomunicazioni militare di Hezbollah, che il governo ha definito illegale, in modo che sia preservato «il pubblico interesse e quello della resistenza». Allo stesso tempo il comandante dell´esercito ha chiesto a Hezbollah, senza nominarlo esplicitamente, di togliere i blocchi che paralizzano il Libano sud. E nel giro di un´ora il Partito di Dio ha reagito, iniziando a richiamare i suoi uomini armati da tre giorni padroni delle strade di Beirut.
Nel suo discorso alla nazione, il primo ministro aveva accusato l´esercito di non aver eseguito la sua richiesta di «mantenere la pace» contro i golpisti di Hezbollah e aveva chiesto ai militari «di imporre la sicurezza». Parole che potevano essere interpretate in modo molto «muscolare», la soluzione peggiore per la crisi libanese. Piuttosto che annullare le decisioni contro Hezbollah, dicevano i fedeli del premier, Siniora è pronto alle dimissioni. Forse ha salvato la faccia, è stato un generale a annullare le sue decisioni.
Suleiman è stato finora attento a tenere se stesso e i suoi soldati al di fuori degli scontri politico-confessionali, che hanno alimentato la tensione in Libano negli ultimi tre anni. La «neutralità» dell´esercito libanese è stata la chiave della sua sopravvivenza. Inviare le truppe a combattere una fazione o l´altra, in particolar modo Hezbollah, avrebbe significato oltre che una disfatta militare - la milizia sciita è meglio organizzata e numericamente consistente - la disintegrazione dell´esercito, così come si polverizzò all´inizio della guerra civile che insanguinò il Libano per 15 anni fino al 1990. L´esercito è tradizionalmente poco reattivo perché ogni azione richiede un «consenso politico», come avviene per tutte le decisioni importanti nel multiconfessionale Libano. Il suo punto debole, oltre alla sua scarsa capacità bellica - pochi mezzi pesanti e niente aerei - è la struttura basata sul delicato equilibrio musulmani-cristiani tra gli ufficiali, mentre gli sciiti sono la maggioranza tra i soldati.
La neutralità di Suleiman è stata elogiata sia dall´opposizione guidata dagli Hezbollah, sostenuti da Siria e Iran, che dai partiti della coalizione di maggioranza appoggiata da Stati Uniti, Unione europea e Arabia Saudita. Entrambi gli schieramenti concordano che il generale dovrebbe essere il prossimo presidente «di consenso» del Libano, che è senza capo dello Stato sin dallo scorso novembre. Una seduta del Parlamento è convocata per mercoledì prossimo proprio per eleggere il capo dello Stato, è il diciannovesimo tentativo in sette mesi. Certamente non sarà l´ultimo.

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