Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Vittorie di carta la disinformazione le regala ai soldati del Faraone
Testata:La Repubblica - L'Unità - Il Manifesto Autore: Sara Strippoli, Niccolò Zancan - Simone Collini - Luca Fazio, Giorgio Salvetti Titolo: «Cinquemila per la Palestina slogan, kefiyah, bandiere e niente incidenti:»
I boicottatori antisraeliani rivendicano una vittoria che non c'è stata, la stampa fa da grancassa. Gonfiando a 5000 lo scarso numero dei partecipanti e riproducendo senza commenti argomentazioni come questa:«Abbiamo vinto - dice uno degli organizzatori - il fatto di sapere che il Salone del libro è mezzo vuoto è un altro successo di questo corteo. Perché la cultura non può essere qualcosa di distaccato dalla realtà, la cultura vive in questo mondo. E qui, oggi, si ribadisce che invitare Israele come ospite d´onore è stata un scelta sbagliata e razzista». In sostanza, un'autodenuncia: siamo dei violenti, e tali restiamo. Anche quando, per motivi tattici, ci asteniamo dallo sfasciare vetrine e dall'attacare la polizia. Siamo contenti della paura che facciamo, di costringere la gente a chiudersi in casa anziché partecipare a un evento culturale. Questo è il genere di vittoria di cui siamo capaci, e a cui aspiriamo.
Ecco la cronaca di REPUBBLICA, dalle pagine di Torino:
Echi del corteo? Nulla, o quasi. Tranne che all´idea di sfidare le deviazioni del traffico, gli intasamenti e anche quella vaga ansia da tensioni possibili, i meno motivati hanno deciso di restare a casa. Chi non si è fatto intimorire ha trovato il Lingotto di sempre. Affollato ed eclettico. Star del giorno lo scrittore americano Gore Vidal, che alle quattro del pomeriggio riempie la sala Azzurra, ammette il suo tifo per Hillary Clinton: «anche se non mi è piaciuta la sua campagna elettorale» e attacca il partito repubblicano: «Non sono persone normali, fanno i soldi attraverso la guerra». Si fa la coda da Iperborea per l´autografo di Arto Paasillinna, si ride con il Dante e il Virgilio inventati da Edoardo Artom che alla Fiera bacchettano gli editori mostrando i refusi evidenziati in giallo e così tentano il colpo di vendere un nuovo format a Striscia la Notizia. Citazioni alla mano. Da Alice nel Paese delle meraviglie di Lewis Carroll pubblicato da Einaudi, a pagina uno del primo capitolo il coniglio cambia genere e diventa "la" coniglio. E nel Collezionista edito da Mondadori a pagina 359, è scappato un improbabile "sarebbe dovuti entrare". Agli stand degli editori si annotano gli errori con un leggero rossore e si ringrazia con nonchalance per la segnalazione. Mentre poco più in là, nello stand di Dea store, il cantautore della Musica ribelle Eugenio Finardi fa il pieno nell´incontro presentato da Carlo Massarini e incrociando il Poeta e la sua Guida propone di lanciare una campagna a favore del "Panda, del Koala e del congiuntivo" tutte specie protette. Non manca la tradizionale rissa del sabato ai ristoranti, compresa la fila lunghissima per assaporare i piatti etnici preparati dalla cucina del ristorante Maison Musique di Rivoli, nello spazio della Regione. E quest´anno una new entry che non passa inosservata. Molti i chioschi o i punti ristoro che devono aver fatto quattro calcoli decidendo di non vendere la comune bottiglietta d´acqua per puntare sulle più costose bibite. Risultato? Più che la paura dei filopalestinesi, i visitatori si aggirano per gli stand temendo la carenza da acqua fresca. Che il sabato fieristico sia però più vivibile della bolgia di sempre (innegabile che qualcuno possa averlo visto come un miglioramento) non sfugge agli occhi attenti degli habitué. Si vocifera che alla fine il bilancio si potrà chiudere con un segno negativo di circa il 5 per cento. Ma dalla Fiera si replica che il calo ha intyressato solo i visitatori occasionali, i curiosi, mentre i fedelissimi, i lettori forti, hanno assolutamente tenuto, come dimostrato dal fatturato degli editori in Fiera e la vendita negli stand, La mattina è stata monopolizzata dall´arrivo dei rappresentanti del nuovo governo Berlusconi. Alle 11 il presidente del Senato Schifani, accompagnato dalla moglie Francesca. Una signora un po´ intimidita dalla folla che dice di essere alla sua prima visita alla Fiera. Per il presidente, accolto da Enzo Ghigo per il centrodestra e da Bresso, Saitta e Alfieri per le istituzioni piemontesi, l´omaggio dei maestri del cioccolato Pfatisch e Odilla, la visita agli stand istituzionali e la tappa finale allo stand di Israele: «Sono vicino da sempre ad Israele, che continuo a sostenere da anni affinché possa finalmente vivere in pace e serenità. Auspico il confronto e il dialogo e non forme di integralismo, che nuoce sempre». A mezzogiorno, mentre era atteso all´ingresso principale della Fiera, arriva un ministro Bondi dall´aria un po´ spersa, solo soletto fra gli stand alla ricerca delle sue guardie del corpo. Lo intercettano la presidente Bresso e il presidente del Consiglio regionale Davide Gariglio, che lo accompagnano all´appuntamento. Nella sala Azzurra dove assiste alla lectio magistralis del filosofo Giovanni Reale "La Bellezza salverà il mondo", il ministro dice che al momento deve studiare, prepararsi, interpellare intellettuali ed esperti. Che sia la legge sull´editoria o le strategie per incentivare la lettura. Lettore attento e anche autore. Il suo prossimo lavoro? Etica e cultura d´impresa. I protagonisti? Una coppia alquanto inedita: Adriano Olivetti e Silvio Berlusconi.
niccolò zancan Corso Marconi, birra e panini, secchi pieni di ghiaccio. Sono le tre di pomeriggio e si capisce come andrà a finire: «Noi abbiamo già vinto - dice Lele Rizzo di Askatasuna - abbiamo vinto per tutta l´attenzione che siamo riusciti ad ottenere in questi giorni. Per i contenuti che siamo riusciti a far passare: l´antisemitismo non c´entra niente, noi portiamo solidarietà al popolo della Palestina». Hanno bandiere rosse, falce e martello, kefiyah e sandali da mare, facce diverse, ci sono sette palestinesi, un gruppo di ebrei contro il governo di Israele, donne in nero, ragazze e professori, cani e biciclette, antagonisti lombardi, romani e livornesi, nessun politico, a parte Marco Ferrando e Franco Turigliatto. Partono tutti insieme sotto il sole per attraversare una città spettrale. Sembra una domenica d´agosto. Abbassate le serrande di via Madama Cristina. Su quella del Bar Glamour hanno attaccato un cartello: «Scusate siamo costretti a chiudere per motivi di sicurezza». Passano quelli di Free Palestine. Tremila persone. «Più di cinquemila», secondo gli organizzatori. Slogan nuovi, pochissimi. «Un sasso qui, un sasso là, un sasso per la libertà». Finisce senza incidenti. Senza neanche un motivo di avere paura. Affari d´oro per gli unici due bar aperti lungo il percorso. Il servizio d´ordine predisposto dal questore Stefano Berrettoni, dopo giorni di preoccupazioni e scelte delicate, si è rivelato molto efficace. C´erano più di mille agenti - polizia, carabinieri e guardia di finanza - ma si sono visti poco, solo il necessario. Quando si trattava di sbarrare eventuali variazioni sul percorso concordato. Agli incroci di via Genova con via Finalmarina, via Garessio, via Vado, con il Lingotto ormai vicino. Nessuno ha tentato di sfondare. Tutta la giornata è stata seguita sul campo dal dirigente della Digos di Torino, Giuseppe Petronzi. Non è successo niente, oppure è successo tutto. Dipende dai punti di vista. «Abbiamo vinto - dice uno degli organizzatori - il fatto di sapere che il Salone del libro è mezzo vuoto è un altro successo di questo corteo. Perché la cultura non può essere qualcosa di distaccato dalla realtà, la cultura vive in questo mondo. E qui, oggi, si ribadisce che invitare Israele come ospite d´onore è stata un scelta sbagliata e razzista». Fumogeni rossi. Voci al microfono: «Ai poteri forti di questa città la nostra manifestazione dà molto fastidio». «Viva la resistenza del popolo palestinese». «Contropotere». «Intifada». Il gruppo di antagonisti da Perugia è l´unico a intonare cori contro gli agenti: «Tutti a Nassirya». Menzione speciale per lo striscione: «Non è tutto loro quello che luccica». Dopo tre ore si arriva in piazza Filzi. Duecento metri dalla Fiera: oltre non si va. Tre fumogeni vengono lanciati fra i piedi degli agenti, ma restano immobili, bravi a non perdere il controllo. Quando c´è un minimo di agitazione, quelli di Askatasuna richiamano all´ordine: «Calma, calma...». Calma sarà fino alle sette di sera. Davide Grasso, uno dei promotori: «Manifestazione riuscita, molto partecipata. Bisogna tenere conto della campagna mediatica violentissima che è stata scagliata contro di noi. Siamo stati attaccati da tutti i partiti politici». Due sorprese sulla strada del ritorno. Sui muri di San Salvario qualcuno ha appeso dei manifesti deliranti: «A Verona ci sono cinque eroi padani arrestati ingiustamente...». Immediata la smentita della Lega Nord, per voce del capogruppo alla Camera Roberto Cota: «Non sono nostri. Abbiamo presentato immediatamente denuncia contro chi ha avuto la bella idea di affiggere quei volantini». Poi un po´ di tensione alla stazione di Porta Nuova. Trenta ragazzi arrivati da un centro sociale di Milano - la Panetteria - non volevano pagare il biglietto. Il treno è rimasto bloccato per alcuni minuti. Poi è intervenuta la Digos. Biglietti fatti, semaforo verde, ed è stata la fine di una giornata lunghissima.
Le imprese del servizio d'ordine e le dichiarazioni di odio, per Israele, ma anche per la sinistra che non ha aderito al boicottaggio al centro della cronaca di Simone Collini, per L'UNITA. Sorprendentemente, nessun commento neppure per la dichiarazione di Marco Ferrando segretario del Partito comunista dei lavoratori «Scandalosa l’assenza degli stati maggiori della sinistra, probabilmente vogliono riprenotare un ritorno al governo con il Pd e vogliono essere legittimati dalla lobby sionista». Forse all'UNITA' qualcuno è d'accordo ?
«SÌ», DICE AL CELLULARE il poliziotto mentre qualche manifestante gli passa accanto per raggiungere la navetta per la stazione. «È finita così, sì». Cioè è finita com’era cominciata, senza disordini e tensioni, con il corteo che è arrivato al punto concordato con la prefettura a duecento metri dal Lingotto, con qualche slogan contro le forze dell’ordine e con alcuni interventi contro «l’occupazione israeliana» e la decisione della Fiera del Libro di invitare Israele come ospite d’onore. Poi i manifestanti si sono dati appuntamento per la prossima settimana a Verona e si sono dispersi per le vie laterali. Così è finita la tanto discussa e temuta manifestazione organizzata dall’associazione Free Palestine. A sfilare anche un gruppo di ebrei dissidenti con lo striscione bianco e la scritta «Jews against occupation». Niente «scene esecrabili» paventate in mattina proprio a Torino dal presidente del Senato Renato Schifani. Le uniche bandiere bruciate che si vedono sono quelle del primo maggio, riprodotte in foto sulla gigantografia messa in testa al corteo, subito dietro una bandiera palestinese grande 15 metri per 4. Nessuna vetrina infranta ma tante serrande chiuse al passaggio dei manifestanti: 10.000 per gli organizzatori, 2000 (dato più verosimile) secondo le forze dell’ordine. I bar, più che altro, sono rimasti aperti. «Mi abbassa un po’ la serranda che faccio una foto da dentro a fuori?», dice il fotografo al barista. E quello acconsente. Un altro vede un ragazzo incappucciato salito sul tetto di un distributore di benzina con una bandiera e gli fa segno di fare il saluto col pugno. E quello lo fa. Decine e decine di fotografi e cameraman arrivati nel capoluogo piemontese e non succede niente, bisogna essere creativi. Un attimo di tensione quando, a fine corteo, un manifestante lancia un fumogeno verso gli agenti di polizia e questi lo ritirano indietro. Ma è un attimo: un superiore intima ai suoi uomini di non replicare e dagli altoparlanti gli organizzatori invitano i manifestanti alla calma. L’unico momento in cui si rischia veramente l’incidente è all’incrocio tra via Genova e via Cellini. Un pezzo della coda del corteo, quello in cui si sono posizionati esponenti dell’area antagonista che più preoccupano le forze dell’ordine, all’improvviso si stacca e imbocca la via laterale. Che c’è? «I fasci, stanno fuori dalla sede», grida uno. «I manici, i manici», grida un altro. Arrivano in quattro impugnando bastoni, altri tirano giù il cappuccio della felpa e su la kefiah pronti a partire. Il corteo avanza, il gruppo rimane indietro. «Compagni venite, non rompiamo il corteo», chiama una signora. «Ma che, diciamo fuori i fascisti dalla storia e quando ce li troviamo davanti non li carichiamo?», incita una ragazza. Arriva senza fiato dalla testa del corteo un ragazzo del servizio d’ordine e li convince a lasciar perdere. È uno dei due che controllano che tutto fili liscio. L’altro è un ragazzo palestinese che interviene velocemente quando un tipo dai lineamenti mediorientali srotola a terra un lenzuolo bianco con sopra due bambolotti cosparsi di vernice rossa e pezzi di carne cruda. Il tipo se la dà a gambe appena ha sistemato queste cose sulla strada e il ragazzo è rapido nel farne un fagotto e buttarlo in un cestino prima che arrivino fotografi e telecamere. Non che i due siano proprio spiriti gentili, anche se va detto che gli organizzatori fanno passare il corteo in silenzio davanti all’ospedale Molinette («ce lo hanno chiesto per i malati»): quando all’incrocio tra via Genova e via Finalmarina uno dei manifestanti inizia a gridare «via la Digos dal corteo» e il coro parte, i due ragazzi individuano la persona incriminata (che già ha iniziato ad allontanarsi), gli si fanno addosso e la seguono con modi non proprio benevoli fino all’imbocco di una via laterale. Ma fa parte del ruolo. Un ruolo giocato dagli agenti di sicurezza rimanendo quanto più possibile defilati e dagli organizzatori in modo da evitare ogni incidente che potesse distogliere l’attenzione dal messaggio della manifestazione. Che è, come sintetizzano slogan e striscioni: «per Israele sanzioni e non celebrazioni», «Israele non è un ospite d’onore», «solidarietà con il popolo martire di Gaza». Qualche slogan è anche per «Bertinotti peggio dell’antrace». Nel corteo le bandiere rosse e con la falce e martello sono molte, ma sono quelle dei marxisti-leninisti, dei Carc, di Sinistra critica e del Partito comunista dei lavoratori di Marco Ferrando, mai così intervistato: «Scandalosa l’assenza degli stati maggiori della sinistra, probabilmente vogliono riprenotare un ritorno al governo con il Pd e vogliono essere legittimati dalla lobby sionista». Il Pdci ha aderito, ma non si vede nessun leader nazionale. Il partito di Diliberto si è spaccato su questa manifestazione. Gli altri, a cominciare dai manifestanti per finire con le forze dell’ordine, sono invece soddisfatti di com’è andata.
"A Torino vince la Palestina" titola in prima pagina, incredibilmente, Il MANIFESTO. A pagina 7 una cronaca priva di qualsiasi distanza critica
«Uff...fammi una bella ripresa sulle bandiere che bruciano». Sorpresa. Eccole, ma sono in fotografia, anzi gigantografia, quasi in testa al corteo, solo uno dei tanti striscioni, e la scritta «Israele non è un ospite d'onore». Sgrandangolate da sotto, da una ventina di telecamere disperate, forse fanno notizia lo stesso. Ma forse non è abbastanza. In effetti Torino era stata preparata a ben altro, tipo «settemila spranghe stanno arrivando in città». E circolavano già le voci sull'indirizzo, numero civico compreso, dove andare a gustarsi gli scontri con la polizia. Un nuovo G8, o giù di lì. Si spiega così l'atmosfera che alle 15,30 raggela i trenta gradi di via Madama Cristina, nelle orecchie fischia il tema di Ennio Morricone quando teneva tutti col fiato sospeso nei film di Sergio Leone. Stanno arrivando! Il corteo dei cattivi è là, sullo sfondo. «Signora mi faccia un piacere, si fa fotografare mentre abbassa la saracinesca?». Un raffica di clic che tramortisce. «Signora, dia retta a me, cambi strada, non passi di là». Torino è stata terrorizzata, sono tutti chiusi i negozi lungo i quattro chilometri da percorrere verso il Lingotto, per strada non c'è in giro nessuno, i più coraggiosi stanno alla finestra per assistere allo spettacolo. Si capisce perché (dopo gli occupanti dell'esercito israeliano) i più bersagliati, dai megafoni ma anche nelle chiacchiere tra amici, siano i giornalisti. Ce n'è per tutti, Liberazione e il manifesto compresi, «hanno seguito in maniera indecente questa giornata di mobilitazione». Con queste parole è cominciato il corteo. Sì, ma gli scontri? «Una cazzata, tutto inventato». Il boicottaggio in sé ha spaventato molti, creato malintesi, disturbato le coscienze di chi non può far finta di non vedere che a Torino comunque si stava preparando a sfilare una parte della sinistra che ha il diritto di manifestare contro la politica dello stato di Israele e per il popolo palestinese. Tanto più se le modalità (i toni, i gesti, gli argomenti, le sfumature) sono quelle che si sono viste ieri pomeriggio. Difficile, considerata la pressione e le provocazioni (di Fini, per esempio), riuscire a gestire in modo così «pulito» una piazza dove si sono mescolati i cosiddetti «duri» di mezza Italia: c'era Milano, Roma, Napoli, Genova, Padova, Pisa, Perugia...e naturalmente l'attenta regia del centro sociale torinese Askatasuna, tutti circondati da decine di bandiere palestinesi. Soli. Visto che la sinistra (ex) parlamentare si è data, fatta eccezione per Sinistra Critica, il Pcdl di Ferrando (e il Prc, ma della Val di Susa). Non una scritta sui muri, non un lancio di oggetti alle «forze dell'ordine» (a centinaia nascoste nelle vie laterali), anzi, anche un lungo passaggio silenzioso in via Genova - «per favore, facciamo piano per rispetto ai malati dell'ospedale Le Molinette» - e per finire anche «le navette per riportare i compagni verso la stazione». Organizzazione perfetta. Possibile? E il plotone di giornalisti aggrappati al fattaccio? Costretti a fare avanti e indietro per scovare la notizia, ma è una sola. I manifestanti sono 10 mila, lo dicono loro e senza nemmeno esagerare granché. Certo non è stata una festa, poca musica, molti discorsi, ragionamenti complessi ma sensati e pochi slogan, dove non si va troppo per il sottile, «Palestina libera, Israele assassina». Non si può togliere lo sguardo dai tre bambini - è un'altra gigantografia - con il corpo martoriato, sono Rudeine, Musaab e Salah, e non si può rimanere indifferenti davanti ai nomi degli ultimi palestinesi uccisi poche ore fa. Gli organizzatori del corteo sono offesi perché la stampa ha attribuito loro la volontà di boicottare i libri, continuano a ripeterlo, loro hanno invitato anche scrittori israeliani. Sfila un signore ebreo, alto, con la bandiera israeliana, l'unica del corteo, e la scritta «not in my name». Davanti al Lingotto, improvvisamente, sale la tensione. Una sirena squarcia il silenzio che scuote il piazzale, «no niente - comunica per radio un pezzo grosso della polizia - sono solo i vigili che spaccano la minchia». E infatti sono loro che sfrecciano scortando un carro attrezzi, tutto qui. Il corteo, finalmente, diventa assemblea, a quattro metri di distanza da un muro di agenti in assetto anti sommossa a difesa della fiera del libro. In quei quattro metri, decine di telecamere puntano per l'ultimo disperato tentativo. Uff...ancora niente. Tocca accontentarsi di un fumogeno viola che sfuma sui titoli di coda. Davide, che per tutto il giorno ha cercato di comunicare con i torinesi aggrappati ai balconi, interviene: «Calma, non abbiamo mai cercato lo scontro con la polizia, per noi il corteo finisce qui davanti al Lingotto. Ciò che là dentro continuano a spacciare per cultura è solo marketing politico, la nostra è una scelta chiara ed esplicita: noi siamo dalla parte degli oppressi e contro gli oppressori, ed è normale così». L'obiettivo è stato raggiunto: far sentire la voce della Palestina alla Fiera del Libro. Si poteva fare in mille modi diversi, ma si poteva anche discuterne da subito semplicemente per quello che poi è stato. Un semplice riuscitissimo corteo. Fine. Del resto, come aveva previsto una vecchia volpe del movimento quando ancora aleggiavano le settemila spranghe , «è una giornata, poi passa...ormai siamo diventati filosofi».