Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
L'odio di Dario Fo è lo stesso di chi brucia le bandiere non sottovalutiamo né l'uno né l'altro
Testata:Corriere della Sera - La Stampa Autore: Dino Messina - Marco Imarisio - Giovanna Favro Titolo: ««Vi spiego perché ho bruciato le bandiere» - Torino, centri sociali in piazza - “Una bandiera bruciata è solo un pezzo di stoffa»
Marco Imarisio del CORRIERE della SERAha intervistato uno dei "contestatori" antisraeliani di Torino, che rivendica il rogo della bandiera d'Israele ed esprime il suo odio per "il male assoluto" rappresentato dallo Stato ebraico e dell'America. Come inevitabile premessa, nega di essere un antisemita.
Ecco il testo:
TORINO — Ce n'era anche una americana, misteriosamente sfuggita al conteggio. Al corteo del Primo maggio, Fabio B. ha tenuto il conto della bandiere bruciate da lui e dai suoi amici, e il giorno dopo, quando ha letto i giornali, si è stupito. Tre con la stella di David, giusto. Ma quella a stelle e strisce non l'ha vista nessuno? «In pochi. Evidentemente, per i media in quel momento contava soltanto quella di Israele. Ogni anno, in quel giorno, bruciamo le bandiere, e ogni anno voi ci cascate». Era tutto nel conto, tutto previsto. Dietro alle immagini che inevitabilmente fanno sempre il giro di mezzo mondo, molto spesso non c'è una rabbia vera, ma un calcolo preciso. «Con un accendino e qualche bandiera ottieni un effetto mediatico che non avresti in nessun altro modo». Questa volta, poi, è andata alla grandissima. Un successo di pubblico e critica che ha superato ogni più rosea aspettativa. «È stato una specie di G8 mediatico. Ci avete dato un sacco di attenzione. Non mi aspettavo una cosa così massiccia. Ci hanno accusato di antisemitismo, e non fa mai piacere. Però siamo riusciti a portare l'attenzione del mondo intero sui resistenti palestinesi. Missione compiuta». A questo punto, la manifestazione di oggi potrebbe essere soltanto un orpello podistico. Il più è fatto. «Bruciarne qualche altra? Lo abbiamo già fatto. Comunque può succedere, se si fa avanti qualcuno che vuol dare fuoco ad una bandiera israeliana di sicuro non lo fermiamo, ci mancherebbe altro. Nient'altro, però. La nostra provocazione deve essere gestita bene politicamente. Gli scontri non aiuterebbero nessuno». Fabio ha un curioso ciuffo da rockabilly che gli scende sugli occhi, una felpa nera con scritta minacciosa — un Kalashnikov sormontata dalla scritta «il miglior suono della rivoluzione » — stampata, prodotta e venduta dal suo Collettivo universitario. Lui ci tiene a precisare che si tratta di un paradosso, buono per essere stampato su una maglietta. È un ragazzo di 23 anni che sorride molto, capace di ironizzare anche su se stesso. Siede al bar di fronte a Palazzo Nuovo, sede delle facoltà umanistiche, con l'aria appagata di chi ha quasi finito un lavoro. Genitori di sinistra, non entusiasti della sua militanza attiva, così lui la definisce. Gioca in casa, non disdegna le trasferte. Quando non è la facoltà di storia sono i centri sociali torinesi, e poi c'è Free Palestine, la Val Susa, il G8 di Rostock, le proteste a Parigi contro il Cpe di Chirac. Praticamente un lavoro a tempo pieno, che gli vale anche l'attenzione della Digos cittadina. «L'esperienza più bella è stata la Valsusa. Una vera lotta popolare, noi studenti, gli abitanti, tutti insieme con un unico obiettivo da raggiungere, attraverso la pratica del conflitto. Bello, davvero bello». Il suo entusiasmo si mischia ad un linguaggio protomarxista che ogni tanto si fa difficile, ma comunque rivela cultura, libri letti, voglia di capire il mondo. «Cerchiamo di fare una analisi del presente, per capire quali sono i nodi da affrontare in un discorso di critica e contrapposizione che può anche esulare dalla legalità». Si può non condividere, è certamente un po' contorto, ma fino a qui tutto tutto normale, o quasi. Persino la strategia mediatica della bandiera bruciata ha un suo senso, visti gli innegabili risultati. «È la società dello spettacolo, no? Contano le immagini più dei contenuti». Ma quando si parla di Israele, e di Stati Uniti è come agitare un drappo rosso davanti a un toro. Il linguaggio cambia, si fa molto più diretto e brutale di quanto non lo sia nei volantini, già piuttosto espliciti. Premesso che lui e i suoi compagni sono contro ogni razzismo, quindi anche contro l'antisemitismo, detto questo si comincia: «Israele e America sono i peggio criminali che esistono. Sono imbevuti di ideologie e culture sbagliate, che corrompono chiunque. Uccidono, bruciano, distruggono, umiliano. Non solo i palestinesi, ma anche gli afgani e gli iracheni, i popoli africani, tutti. Sono il male assoluto». Beninteso, aggiunge Fabio al termine della tirata, si parla dei governanti, e non delle rispettive popolazioni, «criticare è un diritto». Certo, si capisce. Ma non ti sembra di esagerare, che ci siano delle sfumature? «No». I suoi compagni lo chiamano, sta per cominciare il seminario sulla Palestina. Dalle 15 alle 21, sei interventi, dibattito, workshop. «Una mattonata» dice. «Utile però a ribadire i crimini di Israele. Cercherò di non addormentarmi ». Cosa non si fa per la causa.
Sostegno agli odiatori di Israele e propaganda, con la ripetizione della menzogna che vuole "Israele stato di apartheid" , da parte di Dario Fo, all'interno della Fiera:
TORINO — Attenzione, oggi va di scena la politica. Come se si fosse parlato d'altro nei primi due giorni della XXI Fiera internazionale del libro dedicata alla bellezza. Due palcoscenici per uno stesso discorso: la scelta di invitare come Paese ospite Israele nel sessantesimo della sua fondazione. Questa mattina è atteso in Fiera il neopresidente del Senato, Renato Schifani, verso mezzogiorno arriverà il nuovo ministro dei Beni culturali, Sandro Bondi. Nel pomeriggio Fausto Bertinotti parlerà della crisi della sinistra. Ma i riflettori si saranno già spostati sull'altra scena, quella del corteo organizzato da Free Palestine e Forum Palestina, sostenitori del boicottaggio della Fiera che partirà alle 15 da corso Marconi per arrivare dopo una marcia di circa quattro chilometri intorno alle 17 davanti ai cancelli del Lingotto dove si svolge la Fiera. All'interno le bandiere israeliane, sventolate dalle comunità ebraiche che verranno a dar man forte a quella torinese, fuori le bandiere della Palestina. «Lotta dura», minaccia Alternativa comunista: «Sarà una giornata contro il genocidio dei palestinesi. Cercheremo di entrare al Lingotto». La questura, che ha a disposizione circa mille uomini, stima che alla manifestazione di Free Palestine parteciperanno 2500 persone, dei centri sociali torinesi ma anche delegazioni di Bologna, Firenze della Lombardia. Tra i partiti ufficiali hanno aderito una parte dei Comunisti italiani, la Sinistra critica di Turigliatto e i comunisti di Marco Ferrando. Un inatteso appoggio ai manifestanti è venuto ieri pomeriggio da Dario Fo, che durante l'incontro programmato in Fiera ha voluto elogiare «questi ragazzi che hanno suscitato il problema dell'assenza della questione palestinese dalla Fiera del libro, anche perché con la loro protesta hanno creato un'attenzione come mai si era vista attorno all'evento». Dario Fo, che ha detto di non poter partecipare alla manifestazione perché si deve ricoverare, ha rinunciato a parlare del suo nuovo libro, «L' Apocalisse rimandata», edito da Guanda, per illustrare il dramma palestinese. Il premio Nobel ha rimproverato gli organizzatori della Fiera di non aver saputo fare uno sforzo di fantasia per invitare contemporaneamente, dando loro pari dignità, gli scrittori israeliani e quelli palestinesi. A conclusione dell'incontro Franca Rame ha letto una lettera di Nelson Mandela al giornalista americano Thomas Friedman in cui il leader sudafricano denuncia «l'apartheid di Israele ». Metà evento culturale metà kermesse, ieri dopo uno scambio di cortesie nell'incontro tra Afef e lo scrittore Pietrangelo Buttafuoco, e mentre lo storico Benny Morris tacciava di poca serietà il suo collega israeliano Ilan Pappe, autore de «La pulizia etnica della Palestina », c'è stato un momento di tensione quando è entrato in scena Graziano Cecchini. Il performer romano che ha colorato la fontana di Trevi, definitosi uomo di destra vicino alla cultura israeliana, ha installato in uno spazio della Fiera sessanta cannoncini che hanno sparato stelle filanti. L'obiettivo era di ridicolizzare quanti hanno parlato di «Fiera blindata». Il risultato è stato di mandare su tutte le furie alcuni espositori che hanno minacciato di abbandonare il Lingotto.
Erri De Luca, che su Israele ha spesso preso posizioni intelligenti e coraggiose, sembra non capire la reale portata dei roghi di bandiere: "bruciare due pezzi di stoffa: è un’espressione minima di dissenso", dichiara a La STAMPA. Forse farebbe bene a leggersi le "espressioni minime di dissenso di uno degli incendiari,quel Fabio B. intervistato da CORRIERE : "Israele e America sono i peggio criminali che esistono. Sono imbevuti di ideologie e culture sbagliate, che corrompono chiunque. Uccidono, bruciano, distruggono, umiliano. Non solo i palestinesi, ma anche gli afgani e gli iracheni, i popoli africani, tutti. Sono il male assoluto"
Ecco il testo:
Erri De Luca è alla Fiera del Libro di Torino per parlare delle sue traduzioni della Bibbia. E l’applaudono a lungo, nella Sala gialla del Lingotto in cui siedono molti ebrei, quando spiega «leggo ogni mattina l’ebraico antico, che accompagna il mio risveglio». De Luca, cosa pensa degli autori che boicottano la Fiera? «Non si boicottano i libri. I libri sono la parola, e chi nega il diritto di parola a qualcuno, può togliergli qualunque altra cosa. Questo diritto non è trattabile, non si discute, è inviolabile: va garantito persino a chi ha commesso delitti di lotta armata e ha pagato i propri debiti, figuriamoci agli scrittori. Chi vuol far tacere i libri, vuol mettere un silenziatore: un oggetto che s’avvita sulla canna delle pistole prima di sparare. Comunque il libro israeliano per eccellenza è la Bibbia, che è difficile da boicottare». E’ stato un errore invitare Israele? «Perché mai? La Fiera non deve occuparsi né preoccuparsi di nulla se non di libri. Israele festeggia i 60 anni dello Stato a casa sua, qui si parla di letteratura». Molti hanno alzato la voce, però. «Trova? A me non pare ci sia questa grande levata di voci». Hanno bruciato le bandiere israeliane. «Non mi pare granché, bruciare due pezzi di stoffa: è un’espressione minima di dissenso». C’è chi dice: chi brucia le bandiere brucia i popoli che rappresentano. «Chi dà fuoco a una bandiera brucia un pezzo di stoffa e in genere salva pure l’asta. Non facciamola troppo grossa». C’è un certo allarme per il corteo di filopalestinesi e centri sociali: lo condivide? «Tutti hanno diritto di manifestare il proprio pensiero, e un corteo è fatto per questo». Evocando la zona rossa da violare, gli organizzatori agitano lo spettro del G8. «A Torino non ho respirato questo clima. Spero sia enfasi retorica per sottolineare che non amano i divieti. Anch’io non li amo». Alla Fiera si danno appuntamento molti esponenti di partiti a sinistra del Pd. E’ un male, che non siano più in Parlamento? «La vera sinistra del Paese non è in Parlamento da tempo. Parlo di quella che detesta i Cpt o che vorrebbe il ritiro dei soldati italiani da certe missioni: non c’era nemmeno prima». Per questo la sinistra ha perso? «Ha perso perché c’è un’oligarchia che non permette d’essere messa in discussione: gruppi chiusi che non consentono ricambio dal basso. Pagano una politica di compromesso sui temi principali, che sono anche i più vulnerabili. Ora avranno tempo per riflettere».
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