Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
La sinistra che non boicotta la Fiera Veltroni e Fassino sono davvero contro l'intolleranza, Bertinotti sarà presente, ma per parlare d'altro, Dario Fo farà propaganda contro Israele
Testata:Corriere della Sera - La Stampa - Il Manifesto Autore: Walter Veltroni - Piero Fassino - Fausto Bertinotti - Tommaso Di Francesco Titolo: «Israele e la libertà dal pregiudizio - Sarò in fiera per affermare la tolleranza»
Dal CORRIERE della SERA, un intervento di Walter Veltroni:
Caro Direttore, «cultura e boicottaggio sono due parole incompatibili fra di loro. L'essenza della cultura è il dialogo ». Così David Grossman, lo scorso febbraio, commentava le polemiche nate dopo l'invito a Israele di partecipare come ospite d'onore al Salone del Libro di Torino, aggiungendo: «La mia impressione è che si veda come illegittima non soltanto la presenza alla Fiera del Libro, ma la stessa esistenza di Israele». Non si può dire che gli avvenimenti degli ultimi giorni, con le critiche rivolte da un noto intellettuale del mondo arabo alla giustissima decisione del presidente Giorgio Napolitano di essere oggi al Lingotto e con le contestazioni culminate il 1˚maggio nelle bandiere israeliane bruciate in piazza, abbiano nel frattempo dato torto alle affermazioni di Grossman. Al contrario. Della prima è evidente l'intima verità: come possa un qualsiasi uomo di cultura che voglia davvero essere tale chiedere di far tacere altri uomini di cultura, negare ascolto alle loro parole è difficile capire. Tanto più quando si tratta di autori che sostengono l'unica possibilità che israeliani e palestinesi hanno di convivere pacificamente: il dialogo, il riconoscimento delle reciproche sofferenze e speranze, il diritto degli uni a vivere in casa propria senza paura e sicuri del proprio futuro, degli altri a vivere in un loro Stato indipendente. Ma qui entra in gioco la seconda affermazione di Grossman, la sua «impressione» che il vero bersaglio sia esattamente lo Stato di Israele, nel sessantesimo anniversario della sua fondazione. E' proprio di questo che pare trattarsi. A preoccupare è un clima, sono posizioni, che nascono da un pregiudizio e che possono condurre a conseguenze pericolose. Il pregiudizio procede lungo un confine sottile, che separa le critiche ragionate e per questo legittime alle politiche dei governi israeliani, da quelle ideologiche, manichee: Israele ha sempre torto, la «colpa» è sempre sua, anche quando il coraggio di chiudere un accordo manca alla controparte o quando magari formazioni arabe fanno fuoco le une contro le altre. Le conseguenze pericolose si annidano nel lato più oscuro di questo fenomeno, nel fatto che oltre alla critica a Israele spesso viene chiamato in causa l'intero popolo ebraico. Forse non apertamente, forse con un «non detto», che però nulla toglie ai rischi di un risorgente antisemitismo, di fenomeni di intolleranza e di discriminazione oggi più evidenti di ieri, purtroppo. A volte questi rischi si nascondono dietro le parole e i termini usati. Un anno fa il presidente Napolitano esortò a combattere «ogni rigurgito di antisemitismo anche quando esso si travesta da antisionismo », perché «antisionismo significa negazione della fonte ispiratrice dello Stato ebraico, delle ragioni della sua nascita, ieri, e della sua sicurezza oggi, al di là dei governi che si alternano alla guida di Israele». Parole coraggiose e nette, che io sono convinto possano essere, per i democratici, la perfetta bussola da seguire. Lo dico con la convinzione di chi, da sindaco di Roma, non incontrò l'allora vice primo ministro iracheno Tariq Aziz, che s'era rifiutato di rispondere a un giornalista solo perché israeliano. E lo dico con la determinazione di chi non ritiene ci sia più posto, tra i riformisti, nell'identità del Pd, per alcuna forma di ostilità e di pregiudizio verso Israele, verso un Paese democratico, civile, ricco di cultura, con una società aperta, plurale e dinamica. Verso un popolo, per dirla sempre con Grossman, che ha diritto ad avere, oltre a una concreta sicurezza, quella «normalità politica universale » che significa riconoscergli laicamente ragioni e torti e che invece gli è sempre stata negata, sostituita dal «trattamento speciale» di cui ha parlato ieri su queste colonne Pierluigi Battista. Il cammino della pace è già abbastanza ricco di ostacoli senza che si aggiunga l'incoraggiamento che viene dato ai nemici della pace da chi dichiara giusto «boicottare» Israele. «So che debellare completamente l'antisemitismo — ha detto Yehoshua — è un obiettivo proibitivo. Ma non lo è combatterlo. L'Europa lo deve combattere con tutta la sua forza. Non per il bene degli ebrei ma per il proprio bene». Attenzione e determinazione non dovranno mai mancare. Anche quando protagoniste di gesti gravissimi come quelli degli ultimi giorni sono poche persone. La migliore risposta, ne sono certo, verrà già dalle prossime giornate torinesi, dalle migliaia di cittadini che affolleranno il Salone del Libro, per leggere e ascoltare le parole degli scrittori della terra d'Israele.
Da La STAMPA, una lettera di Piero Fassino
Caro direttore,
questa mattina sarò anch’io alla Fiera del Libro che si inaugurerà al Lingotto con la significativa e autorevole presenza del Presidente Napolitano. Ci sarò in primo luogo come parlamentare della Repubblica italiana, fondata su una Costituzione che all'articolo 11 ripudia la guerra come mezzo di risoluzione dei conflitti. E chi vuole che il Medio Oriente non sia incendiato da altre guerre e si batte per una pace giusta per ebrei e palestinesi, non può che respingere ogni forma di negazione di Israele. Sì perché non bisogna stancarsi di ripetere che in Medio Oriente sono in conflitto non un torto (la pretesa di Israele a esistere) e una ragione (l'aspirazione palestinese ad uno Stato), ma due ragioni entrambe legittime: il diritto di Israele a vivere sicuro di sé e senza paura dei propri vicini; il diritto dei palestinesi ad una patria indipendente. Due diritti che potranno realizzarsi solo se li si riconosce entrambi e se ciascuno dei protagonisti è consapevole che il diritto dell'altro è legittimo come il proprio e il diritto proprio potrà essere riconosciuto e realizzato in quanto coesiste con il diritto altrui. E tutto ciò potrà vedere la luce solo se il riconoscimento prevarrà sulla negazione, il diritto sul sopruso, la parola sulla violenza. E a chi alla presenza di Israele alla Fiera del Libro contrappone una manifestazione per la «Palestina libera», occorre replicare con chiarezza che uno Stato palestinese libero e indipendente non ci sarà negando Israele, ma solo riconoscendone l'esistenza e i diritti. Non è davvero scontato questo approccio alla questione mediorientale. Anzi, è proprio la dialettica dura, e spesso sanguinosa, apertasi nel campo palestinese tra Abu Mazen - che vuole la pace con Israele - e Hamas - che nega a Israele non solo la pace, ma il diritto stesso ad esistere - a dirci quanto sia essenziale riaffermare le ragioni dello Stato ebraico perché una pace giusta e durevole possa esserci davvero. Al Lingotto ci sarò anche come cittadino democratico che rifiuta ogni forma di intimidazione, di intolleranza, di violenza anche solo verbale. Se bruciare le bandiere dello Stato ebraico è un gesto ignobile, non meno scellerato è contestare la presenza di Israele ad una iniziativa culturale fondata sul libro. Il libro è stato per secoli lo strumento principale di conoscenza, di trasmissione del sapere e di confronto a cui nazioni, popoli e l'umanità intera hanno affidato i loro percorsi di libertà e di emancipazione. E attraverso i libri che ogni civiltà ha elaborato e trasmesso la propria identità e ha conosciuto e riconosciuto le identità diverse da sé. Tant'è che ogni volta che si è voluto reprimere un popolo o una cultura o una religione, se ne sono mandati al rogo i libri. Negando il libro si nega il valore del sapere, del pensiero, delle idee. E nessuna società sarà più libera, più giusta, più civile, più democratica se fondata sul conformismo, sulla censura, sull'oppressione culturale, sulla negazione dell'intelligenza e delle identità. E, infine, sarò oggi alla Fiera del Libro come uomo di sinistra, per ribadire il nesso inscindibile che nella storia si è cementato tra sinistra ed ebraismo. Non solo perché la cultura ebraica è una delle radici della civiltà europea - si pensi a Praga! - ma perché lungo più di un secolo il socialismo come movimento di liberazione sociale e il sionismo come movimento di liberazione nazionale sono nati e cresciuti insieme, in un percorso di storia e sofferenze comuni, a partire dalla comune lotta contro il fascismo e il nazismo. Riconoscere Israele, difenderne l'esistenza e i diritti significa riaffermare l'inalienabilità di valori di libertà, di emancipazione, di pluralismo per cui la sinistra è nata e continua a vivere. Insomma di fronte a chi vuole negare a Israele il diritto ad esistere, ogni democratico non può che dirsi «israeliano». E tanto più lo deve dire chi vuole che in Medio Oriente ci sia una pace giusta anche per i palestinesi. Così come lo deve dire chi vuole vivere in un mondo libero da fanatismi, integralismi, oppressioni di ogni tipo e colore. Perché la libertà - delle persone, dei popoli, delle nazioni - è un valore inalienabile, indivisibile, incomprimibile.
Bertinotti sarà alla Fiera per discutere di Costituzione italiana Una lettera inviata a La STAMPA:
L’articolo di ieri sulla Stampa sulle possibili contestazioni alla Fiera del libro, in poche righe conclusive riusciva nell’impresa di dire una cosa falsa, di ricavare da essa un’immagine degradata della sinistra e di manifestare un atteggiamento offensivo nei confronti di una persona. Bertinotti non può rischiare «una dura contestazione, sabato» semplicemente perché non è vero che sarà alla Fiera del libro per l’iniziativa di cui si parla nell’articolo, iniziativa che non c’è. Sarò alla Fiera invece domenica a parlare del lavoro nella Costituzione italiana ed a incontrare poi Paco Ignacio Taibo II. Il Berty-nights di Dagospia alla cui immagine l’articolo della Stampa aderisce parlando di una partecipazione ad un’iniziativa che non c’è, è, in realtà, il Bertinotti che ha fatto per 35 anni il sindacalista, per un lungo periodo anche a Torino e in Piemonte, che ha fatto per 12 anni il Segretario di Rifondazione comunista, per qualche anno il Presidente del Partito della Sinistra europea, e infine il Presidente della Camera dei deputati. Credo che così si sia meritato, come del resto spesso è riconosciuto, almeno un qualche rispetto anche al di là delle possibili diverse opinioni politiche e dei risultati elettorali. O mi sbaglio?
Dario Fo andrà alla Fiera Torino per meglio fare propaganda antisraeliana. Dal MANIFESTO
Sulla Fiera del Libro di Torino abbiamo rivolto alcune domande al premio Nobel per la letteratura Dario Fo. «Avrei dovuto presentare domani nella Sala Gialla della Fiera - ci dice - il mio libro appena pubblicato da Guanda, L'apocalisse rimandata, sul disastro ambientale. Invece ho scelto di parlare di Palestina». Perché hai preso questa decisione così difficile e impegnativa? Ho voluto affrontare un «tabù». Perché trovo incredibile che, nel contesto della Fiera del libro ci sia un unico interlocutore presente, il governo e lo stato d'Israele, ma non si faccia mai cenno all'altra parte, al popolo palestinese. Invece bisognava invitare tutte e due le parti, proprio perché il problema non può essere isolato. Dal momento che c'è una guerra in atto, si massacrano, si sparano, si uccidono; in particolare quello che spara di più è quello che ha i mezzi migliori e che naturalmente ha un esercito di livello internazionale maggiore tra tutti gli eserciti che si conoscono oggi al mondo. E ora a Gaza c'è la fame nera, tagliano elettricità, acqua, riserve alimentari, e non si permette che arrivino aiuti dall'estero. Tutto è bloccato, è una trappola immensa con questi muri che impediscono di muoversi. Diventa difficile anche per gli stessi israeliani i quali, naturalmente, si lamentano di questa condizione. È una trappola per tutti e due i popoli che non possono più comunicare, tra loro e al loro interno. Come giudichi l'inaugurazione del presidente Giorgio Napolitano? Che ci sia il presidente della repubblica è un fatto legato agli Stati. Dimostra che non è - come cercano di far passare - una mostra letteraria, perché è diventata politica. Dedicata com'è alla fondazione di uno Stato, non alla letteratura, all'intelligenza, alla cultura di questo Stato, ma allo Stato, fondato sessanta anni fa. Ma c'è anche un altro stato, che non è neanche uno Stato, che non ha mai potuto esserlo, che è stato smantellato, gli hanno portato via le terre, hanno cacciato gli abitanti. Parlo della Palestina e dei palestinesi, profughi nella loro terra e in tutto il Medio Oriente proprio a partire dalla fondazione d'Israele. E questo non si può dimenticare. Tu lamenti l'ingerenza dei governi e denunci che l'evento avrebbe potuto essere gestito in modo culturale e letterario da scrittori israeliani e palestinesi... La cosa incredibile è che ti tacciano di fare della politica dal momento che ricordi che esiste anche la Palestina. Tu dici: c'è anche la Palestina in questa situazione. Allora o fai della politica oppure sei antisemita. E' il discorso di metterti subito una bella etichetta per poterti tirar fuori da ogni dialogo, da ogni discorso: è così palese che è vergognoso. Come l'ipocrisia della parola «cultura»: ma quando mai la cultura è stata qualche cosa a sé, astratta, metafisica, al di sopra di tutto e di tutti? La cultura è sempre stata un atto importante della politica, perché la politica assorbe in sé libertà, dignità dei popoli, giustizia delle leggi, pace. Si dice la politica di pace, no? La pace vista come atto politico dei popoli. E di colpo invece no! Si prende tutto quello che è cultura e si mette da parte come un fatto intoccabile, bisogna entrare a piedi giunti, «togliti le scarpe infangate perché qui sei nel limbo».... Adesso poi ci troviamo di fronte a fascisti riciclati, missini, post-fascisti e post-neofascisti, già razzisti e antisemiti, che si dichiarano filo-israeliani... Una cosa terrificante. E si viene pure a dire che bruciare una bandiera, cioè un simbolo, è molto più criminale che uccidere un uomo. Io ho sempre saputo che la vita è la cosa più importante e sacra del mondo, dell'umanità: la vita. No, invece adesso sono i simboli. Questo è fascismo, proprio questo di scegliere il simbolo come l'atto massimo e più grave è proprio un atteggiamento culturale fascista, perché il fascismo ha sempre tenuto ai simboli sopra ad ogni cosa. Ricordando la posizione di Moni Ovadia, Amos Gitai, david Grossman, del grande Daniel Barenboim, dici che quest'anno a Torino avrebbe dovuto svolgersi la Fiera dei due popoli: di Israele e Palestina insieme. Che segno è invece averli separati ancora una volta? È la sconfitta della speranza. Ma la cosa terrificante è ancora un'altra: il fatto che si è spinto verso questo conflitto, inorridendo e dicendo «no, non si può pretendere di sospendere un incontro di questo genere per il valore che ha...». Tutto questo è passato senza mai considerare il discorso della fame, della disperazione in Palestina, dell'angoscia, dell'ingiustizia, delle carceri piene. Così tutto questo viene coperto, mascherato con un gesto di ipocrisia infinita. Tu hai scelto questo tipo di posizione interna, se così si può dire, diversa dall'aperto boicottaggio dall'esterno. Il boicottaggio è un errore. Sbagliano anche i rappresentanti della sinistra israeliana da sempre invisa al potere, perché il potere israeliano non ha mai ascoltato la parte colta della sua popolazione, coloro che sono considerati la forza intellettuale del mondo ebraico viene ignorata. Che avrebbe voluto invitare il mondo palestinese e arabo a questa festa della cultura, in uno dei momenti in cui si possono trovare degli spazi. Poi però l'arrivo della celebrazione ha traformato la Fiera in un fatto di stato. E questo alla fine ha diviso. Già. Perché Israele può celebrare la sua fondazione, ma dire che i palestinesi devono venire a battere le mani forse è un po' troppo. Questo è il punto. E questa è un'idea giustissima.
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