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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Riformista - La Repubblica Rassegna Stampa
25.04.2008 Il 25 aprile, al di là della retorica e delle strumentalizzazioni
un articolo di "mambo" e un'intervista ad Alberto Cavaglion

Testata:Il Riformista - La Repubblica
Autore: mambo - Massimo Novelli
Titolo: «In Israele la liberazione è più bella -»

Da Il RIFORMISTA del 25 aprile 2008:

È il mio primo 25 aprile in Israele. So che molti di sinistra-sinistra non la pensano così, ma non c'è posto migliore per festeggiare la Liberazione. Non avrò pace fino a quando questa separazione fra Israele e sinistra non sarà ricomposta. Tel Aviv è piena di sorprese. È una città piccola e recente. Il prossimo 2009 compirà cent'anni. Al confine con il quartiere yemenita c'è il suk HaCarmel. È la fine del pomeriggio di una giornata di quaranta gradi, con 6% di umidità, e le bancarelle della frutta e delle spezie, che danno l'odore caratteristico al Carmelo, stanno chiudendo. Il mercato è affollato, anche qui ragazze e ragazzi. Non deve sorprendere. Ho letto una statistica: più del 36% della popolazione ha un'età compresa tra i 25 e 44 anni. Sono tante le coppie giovani e giovanissime, spesso con due o tre bambini. Le stesse statistiche dicono che diminuisce la popolazione anziana. Se venite a Tel Aviv (a proposito, andate dappertutto, perché non venite a Tel Aviv in vacanza?), non potete mancare quella delizia mediorientale che è il quartiere di Neve Tzedek pieno di ristorantini, atelier di artisti, negozi eleganti sistemati in casette fine Ottocento di un piano, massimo due. In un angolo vedo un chiosco pieno di libri e un amico mi spiega che lì si lasciano i libri che hai letto, e vuoi far leggere, e, in cambio, prendi quelli che ti incuriosiscono. Se vuoi, in una piccola cassetta puoi mettere qualche moneta. È tutto libero, nessuno ti guarda.

Da La REPUBBLICA, un'intervista ad Alberto Cavaglion:

È ricercatore presso l´Istituto piemontese della Resistenza, sta dalla parte di chi si batté per la libertà. Eppure il suo libro «La Resistenza spiegata a mia figlia», pubblicato da L´Ancora del Mediterraneo in una nuova edizione, non era stato accolto bene dagli studiosi. Per quali ragioni? Lo domandiamo ad Alberto Cavaglion, l´autore di questo saggio morale per i giovani, in cui, oltre a sostenere che va riconosciuta dignità storica, non la ragione, agli sconfitti del 1945, racconta quel periodo da una particolare angolatura: quella dei libri scritti allora.
«Probabilmente la mia ricostruzione delle vicende resistenziali ha un po´ spiazzato gli studiosi e i lettori di una certa età, mentre nelle scuole, tra i ragazzi, ha avuto una grande circolazione e una buona accoglienza. Ho cercato di evitare una storia rancorosa, celebrativa, fatta solo di morti, di sangue».
Il suo volume doveva essere pubblicato dall´Einaudi nel 2005. Alla fine, però, la casa editrice lo rifiutò. Perché?
«Non ho mai capito il perché. Dopo avere proposto di fare alcuni tagli al testo, a una settimana dall´andata in tipografia mi dissero che il libro non rientrava nei parametri della collana in cui doveva apparire. Uscì grazie all´Ancora del Mediterraneo, ed ebbe successo».
Che cosa è stata la Resistenza dei libri?
«Nessuno si era accorto che le Alpi, in quegli anni, sono state sì un luogo di lotta, ma pure un laboratorio di idee. Penso ai libri che si scrissero fra la fine del 1943 e la Liberazione alla macchia, nelle baite, sfuggendo ai rastrellamenti, e che venivano stampati dalle tipografie nelle città francesi, svizzere e italiane dell´arco alpino, da Pinerolo ad Aosta. Lì, in montagna, nelle bande partigiane, furono realizzate opere quali la «Storia della politica estera italiana dal 1870 al 1914» di Federico Chabod o la «Breve storia della musica» di Massimo Mila. Libri stampati, ma anche carte perdute come quelle di Walter Benjamin, che scomparvero a San Remo. Anche i libri hanno subito violenza, come gli uomini, e come loro hanno resistito. Credo che la Resistenza nasca con il gesto dei custodi del deposito di San Paolo Belsito, a Napoli, che tentano di salvare dalla distruzione tedesca i fondi dell´Archivio di Stato».
Qualche affermazione contenuta nel suo libro, come quella relativa alla dignità storica che va data ai «ragazzi di Salò», le è costata un´accusa di revisionismo?
«Nessuno mi ha dato del revisionista, c´è stato solo un senso di distacco verso il mio libretto. Avrei preferito avere delle stroncature».
Qual è la maggiore bugia che emerge dalla strumentalizzazione della Resistenza, da molti saggi e studi sull´argomento?
«La vera bugia è di non avere spiegato il fascismo nella sua complessità. Ci hanno voluto dare l´illusione che il fascismo si esaurisse nella Repubblica di Salò, invece fu un sistema di potere che coinvolse l´intero Paese, una intera generazione».
Ha ancora senso festeggiare il 25 aprile?
«Ha sicuramente senso se le varie iniziative sono fatte in maniera non celebrativa. Devono essere l´occasione di discutere, di fare circolare libri illuminanti come il diario di Emanuele Artom, la cui edizione integrale è in uscita da Bollati Boringhieri. Ho citato, nel mio lavoro, un frammento del diario, in cui Artom, a proposito di alcune violenze commesse dai partigiani, le descrive e annota che "la vita di una banda è molto complicata e succedono infiniti incidenti", e che "gli uomini sono uomini". Se fosse stato preso in parola, tutto sarebbe stato meno complicato e non si sarebbe arrivati ai libri di Pansa. La cosa peggiore è la strumentalità del ricordo. Se si deve spiegare, bisogna dare conto pure delle ragioni degli altri. In questo modo si ha una crescita generale».

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