Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Una cosa è chiedere un'indagine altro è darne già il risultato
Testata:Ansa - L'Unità Autore: Umberto De Giovannangeli Titolo: «Gaza, «deliberata» l’uccisione del cameraman»
Un lancio ANSA del 20 aprile 2008:
Gaza: morti altri due ragazzi
Erano rimasti colpiti dalla stessa cannonata giovedi'
(ANSA) - TEL AVIV, 20 APR - Sono morti a Gaza due ragazzi palestinesi rimasti feriti dalla cannonata che ha ucciso il cameraman della Reuters e due bambini. Sale cosi' a cinque il numero delle vittime civili dell'incidente sul quale le organizzazioni umanitarie e le associazioni dei giornalisti stanno chiedendo da giorni una inchiesta indipendente. Fedil Shana, 23 anni, e' stato colpito da un carro armato mentre riprendeva una incursione vicino al campo profughi di Al Bureij.
Il titolo ignora il contesto nel quale i due ragazzi che sarebbero morti sono stati colpiti. L'incursione cui si fa riferimento nel testo era naturalmente diretta contro i terroristi, ma il lancio non lo spiega. Le Forze di Difesa israeliane hanno ora aperto un'inchiesta sulla morte del reporter. ANSA ne darà notizia ? Alle 16.41, nella pagina delle notizie dal mondo del 21 aprile 2008, non ce n'è ancora traccia
L' UNITA' pubblica sulla vicenda un articolo di Umberto De Giovannangeli. Le O.N.G. Amnesty International, B’tselem e Human Rights Watch hanno raggiunto una conclusione sulla morte di Fadel Shara Fadel Shara pare essere stato ucciso deliberatamente, sebbene fosse un civile che non stava prendendo parte ad alcun attacco nei confronti delle forze israeliane», afferma Amnesty International. Ad una analoga conclusione giunge B’tselem: «Al momento (dell’uccisione dell’operatore della Reuters) in zona non vi erano combattimenti tra le forze dell’Idf (l’esercito israeliano, ndr.) e miliziani palestinesi». «I soldati israeliani non si erano assicurati di mirare ad un obiettivo militare prima di sparare» Si tratta di conclusioni sorprendenti. Su che cosa si basano ? Ricercatori delle tre O.NG. erano presenti sul posto ? Se no, quali fonti hanno consultato ? Fonti palestinesi ? In questo caso, perché non lo dichiarano ? Come possono giudicare completo il loro lavoro visto che una parte in causa, l'IDF, ha appena avviato un'inchiesta e non ha ancora fornito una versione ufficiale dell'accaduto ? Se non erano in corso "scontri", cosa voleva filmare il cameramen della Reuters ?
Il minimo che si possa dire è che la solerzia delle O.N.G è sospetta e che la pratica di giungere così rapidamente a conclusioni molto gravi è pericolosa. Basti ricordare, per averne conferma, il caso Al Dura. Ricordate il bambino morente sulle ginocchia del padre, all'inizio della "seconda intifada" ? A distanza di otto anni la versione inzialmente accettata è stata completamente smantellata. Certamente il bambino non è stato ucciso dai soldati israeliani. In compenso, il processo svoltosi in Francia a febbraio di quest'anno ha chiarito che molto probabilmente il bambino, nel frattempo sparito nel nulla come il padre, non era affatto morto nella sparatoria.
Verità che hanno avuto una diffusione immensamente minore della menzogna iniziale, che è costata molti morti tra gli israeliani e anche tra i palestinesi, fanatizzati da una propaganda d'odio che si serve senza scrupoli di false immagini emotivamente sconvolgenti per indurre realmente bambini e ragazzi al "martirio".
Pensando a questi precendenti, ci sembra che le conclusioni urlate con tanta fretta dalle O.N.G. ,e da certa stampa, siano, come minimo, imprudenti e pericolose.
Ecco il testo completo dell'articolo di u.d.g.
Il suo nome è Fadel Shana. Aveva 23 anni. Fadel amava il suo lavoro di cameraman che svolgeva con passione e capacità nell’inferno di Gaza per conto dell’agenzia britannica Reuters. Quell’inferno ha inghiottito Fadel. Colpito a morte dalle schegge di un proiettile esploso da un tank israeliano che l’operatore palestinese stava filmando, a bordo di un veicolo che riportava chiaramente la scritta «Tv-Press». I suoi colleghi chiedono che sia fatta chiarezza sulla morte di Fadel Shana. E chiarezza hanno cercato di fare, con tre inchieste separate, tre importanti associazioni che operano in difesa dei diritti umani: l’americana Human Rights Watch, Amnesty International, l’israeliana B’tselem. Tre inchieste separate che giungono ad una stessa conclusione. Agghiacciante. «Fadel Shara pare essere stato ucciso deliberatamente, sebbene fosse un civile che non stava prendendo parte ad alcun attacco nei confronti delle forze israeliane», afferma Amnesty International. Ad una analoga conclusione giunge B’tselem: «Al momento (dell’uccisione dell’operatore della Reuters) in zona non vi erano combattimenti tra le forze dell’Idf (l’esercito israeliano, ndr.) e miliziani palestinesi». «I soldati israeliani non si erano assicurati di mirare ad un obiettivo militare prima di sparare», aggiunge Joe Stork, dirigente di Human Rights Watch. L’esercito israeliano ha aperto un’inchiesta, dalla quale è già emerso che il cameraman palestinese è stato ucciso dalle freccette metalliche di un proiettile sparato da un tank israeliano. B’tselem ha chiesto di sospendere l’uso di queste micidiali munizioni, che esplodono in un arco di trecento metri di lunghezza e 90 metri di larghezza, colpendo facilmente civili innocenti come è avvenuto in passato. Israele è stato aspramente criticato, sul piano internazionale, per l’utilizzo di questi proiettili (che continua ad usare). Alla base della dinamica dell’uccisione di Fadel Shara, c’è, secondo Amnesty International, «quella cultura dell’impunità presente all’interno delle forze armate israeliane che contribuisce al costante ricorso all’uso sconsiderato e sproporzionato della forza». L’organizzazione per i diritti umani ha peraltro ripetutamente condannato gli attacchi con razzi e ulteriori mezzi compiuti dai gruppi armati palestinesi contro civili israeliani, chiedendo la fine immediata di queste azioni e la consegna dei responsabili alla giustizia. «Condanniamo ogni attacco nei confronti della popolazione civile, compreso quello portato a termine il 9 aprile al terminal di Nahal Oz da parte della Jihad islamica, che ha ucciso due civili israeliani. Il perdurante conflitto tra le forze israeliane e quelle palestinesi sta avendo un impatto sproporzionato e inaccettabile sui civili, in particolare sui palestinesi della Striscia di Gaza», conclude Amnesty International. E quell’impatto «sproporzionato e inaccettabile» è costato la vita al giovane cameraman della Reuters. Accanto a lui, c’era Wafa Abu Mizyed, vent’anni, di professione fonico. Wafa conferma che sul Suv dove viaggiava assieme a Fadel c’erano, bene in mostra, i cartelli con la scritta «Tv» e «Press»: «In quel momento - racconta il giovane fonico - non c’erano combattimenti attorno a noi. Chi ha sparato non poteva non vedere quei cartelli…». Così come non poteva non aver visto il giubbotto anti-proiettile indossato dal cameraman su cui spuntava la scritta fluorescente «stampa». «I segnali sul veicolo di Fadel Shana mostrano inequivocabilmente che si trattava di un giornalista al lavoro», insiste David Schlesingerl, capo della Reuters che torna a chiedere che «sia fatta piena luce sulla morte di Fadel». Due altri civili palestinesi feriti nella stessa circostanza sono morti ieri. Un portavoce di Tsahal ha espresso rammarico per l’uccisione del cameraman, ma ha sottolineato che «la zona dove è stato colpito è un’area di combattimento dove operano terroristi armati estremamente pericolosi. La presenza di fotografi in quelle zone pone le loro vite in pericolo». Con la morte di Shana, il numero dei giornalisti uccisi nei territori palestinesi sale a nove dal 2000. Così si muore nella Striscia, tra gli «ingabbiati di Gaza». Non solo Fadel. Dallo scorso giugno 138 persone sono decedute per l’impossibilità a curarle delle strutture di Gaza e il divieto di trasferirle in ospedali più attrezzati in Cisgiordania o in Giordania. Molti di quei 138 erano donne, anziani, bambini. La loro morte, come quella di Fadel Shana, non può, non deve essere liquidata come «danno collaterale» di una guerra al terrorismo.
Circa quest'ultimo passaggio, ci chiediamo da dove provenga il dato citato dau.d.g. e come sia stato ottenuto. Ricordiamo che le autorità israeliane
finora hanno approvato più del 90% delle richieste di visita o ricovero in ospedali israeliani. Nel 2007 sono stati rilasciati 7.226 permessi, pari a un aumento del 50% rispetto ai 4.754 permessi rilasciati nel 2006. Dall’inizio di quest’anno, già 2.317 pazienti palestinesi hanno potuto farsi curare in ospedali israeliani. Tutti coloro che ottengono il permesso possono essere accompagnati in Israele da un famigliare. A quel 10% di respinti per ragioni di sicurezza, viene comunque offerta la possibilità di essere trasportati da un veicolo israeliano fino al Ponte di Allenby attraverso il quale possono passare in Giordania, oppure a un passaggio di frontiera verso l’Egitto (fonte israele.net)
Questo in un contesto nel quale il terroristi continuano a bersagliare i valichi di confine attraverso cui passano i malati palestinesi di Gaza per essere curati in Israele, in Cisgiordania o in paesi arabi vicini. E nel quale le richieste vere o false cure mediche vengono anche utilizzate per infiltrare terroristi. E' già stato dimenticato l'episodio del maggio 2007, quandodue donne palestinesi che erano state curate in Israele, vennero scoperte mentre si preparavano a compiere attentati suicidi a Tel Aviv e a Netanya approfittando dei permessi d’ingresso sanitari. (fonte israele.net)
De Giovannangeli, comunque, su un punto ha ragione. Se davvero qualche palestinese è stato respinto al confine con Israele, ed' morto a Gaza per mancanza di cure adeguate, non può essere consideratto "un «danno collaterale» di una guerra al terrorismo". E' piuttosto un "danno collaterale" del terrorismo, e anche della propaganda che copre e alimenta i crimini e il cinismo del terrorismo.