Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Barghouti il pacifista e la pacifica Siria e a Israele, ovviamente, il ruolo del "cattivo"
Testata:Il Manifesto - Il Messaggero Autore: Michele Giorgio - la redazione Titolo: ««Pronti alla pace», e Tel Aviv applaude Barghouti - Ingresso vietato per l'inviato dell'Onu - Guerra simulata in Israele, la Siria protesta»
Il MANIFESTO rilancia le "proposte di pace di Marwan Barghouti. in realtà Barghouti rimane un leader oltranzista disposto aminacciare l'uso della violenza e del terrore:
Finché Israele non ci lascerà creare uno Stato indipendente con capitale Gerusalemme Est lungo i confini del '67, finché non garantirà il diritto al ritorno dei rifugiati e la libertà agli 11 mila prigionieri palestinesi non ci sarà pace né sicurezza per nessuno
ha recentemente dichiarato in un'intervista a Francesca Paci. Il "ritorno dei rifugiati" notoriamente significherebbe la fine di Israele come Stato degli ebrei.
«La maggior parte della popolazione palestinese, me compreso, è pronta per una storica riconciliazione basata sulle risoluzioni internazionali che prevedano la creazione di due Stati, uno palestinese e uno israeliano, che possano esistere uno al fianco dell'altro in pace e in sicurezza». Erano più o meno le 7 quando ieri sera Qaddura Fares ha letto queste frasi del messaggio inviato dal leader di Fatah Marwan Barghouti e l'applauso della folla riunita in Piazza Rabin a Tel Aviv per i 30 anni di Peace Now, è scattato immediato. Il comandante dell'Intifada, che da sei anni è in carcere in Israele dove deve scontare cinque ergastoli per «terrorismo», continua a suscitare consensi nei settori più progressisti (ma minoritari) della società israeliana che, evidentemente, lo ritiene in grado di imprimere quella svolta che il governo di occupazione di Ehud Olmert e la debole e sottomessa Autorità palestinese di Abu Mazen non lasciano intravedere in alcun modo. Ma Barghouti è un uomo politico di cui sentono la mancanza soprattutto i palestinesi. «Siamo pronti per una riconciliazione che garantisca a nostri e ai vostri figli una vita priva di minacce di guerra e di spargimenti di sangue», ha scritto Barghouti. I palestinesi, ha ribadito, «desiderano che si realizzi il loro sogno di libertà, indipendenza e pace». Per raggiungere questo obiettivo, ha proseguito, «la costruzione degli insediamenti e la confisca di terre deve cessare immediatamente, devono essere riaperte le istituzioni palestinesi a Gerusalemme, devono essere rimosse le centinaia di posti di blocco che hanno trasformato i Territori palestinesi in un inferno e che hanno distrutto l'economia palestinese e bisogna porre fine alla politica di arresti e uccisioni, così come deve finire l'assedio a Gaza». Barghouti non ha dimenticato le migliaia di palestinesi che, come lui, sono in prigione in Israele. «Vi sto scrivendo dalla mia piccola e buia cella in un carcere israeliano, dove vengo trattenuto insieme ad altri 11mila prigionieri palestinesi, comprese donne e bambini». Riferendosi infine al «Documento dei prigionieri», di cui è stato uno degli autori, ha ricordato che obiettivo del piano «è mettere fine all'occupazione delle terre conquistate da Israele nel 1967 e creare uno Stato con Gerusalemme Est come capitale...e propone una soluzione per il problema dei profughi sulla base delle risoluzioni internazionali». Quanto queste posizioni fossero condivise ieri dai partecipanti all'anniversario di Peace Now è difficile valutarlo, alla luce delle non poche ambiguità che segnano il percorso del movimento pacifista israeliano vicino al partito laburista e al Meretz. Certo è che Barghouti sa di trovare ascolto anche in Israele e, soprattutto, sa che la sua gente lo vorrebbe vedere libero e pronto a prendere il posto di uno spento Abu Mazen. D'Altronde il leader di Fatah nelle interviste che ha rilasciato nelle ultime settimane non ha certo nascosto la volontà di tornare a giocare un ruolo da protagonista nella politica palestinese e di candidarsi alle prossime presidenziali con l'intenzione di vincerle. Una mossa che rischia di mettere nell'angolo la vecchia guardia di Fatah, aggrappata al controllo del Comitato centrale del partito e che sta cercando di svuotare della sua funzione rinnovatrice il Congresso che dovrebbe tenersi nei prossimi mesi. Da parte del governo israeliano non ci sono state reazioni al messaggio di Barghouti. Per Olmert hanno parlato le sue decisioni, come quella di far chiudere la stazione radio pacifista, «RAM FM», accusata di trasmettere senza licenza. Intanto a Gaza sotto assedio gli automobilisti sono tornati in fila alle stazioni di rifornimento. In tutta la Striscia è riesplosa l'emergenza carburante con il rischio che nei prossimi giorni possano rimanere fermi anche i mezzi di soccorso. Israele garantisce a Gaza, settimanalmente, 70mila litri di benzina sugli 800mila necessari e meno di 1/3 del fabbisogno di 2 milioni di litri di gasolio. Hamas attraverso un suo portavoce, Khalil al-Haya, ha messo in guardia che i suoi uomini sono pronti ad aprire nuove brecce nella barriera di confine con l'Egitto come avvenuto lo scorso gennaio a Rafah, quando migliaia di palestinesi entrarono in territorio egiziano per rifornirsi di alimenti e medicinali.
Il divieto di ingresso in Israele all'inviato dell'Onuper i diritti umani, che ha paragonato Israele al nazismo, e la richiesta il Consiglio per i diritti umani si occupi di difendere i diritti umani, da chiunque siano violati, e non dell'obiettivo totalmente politico di demonizzare Israele stupiscono e indignano il quotidano comunista:
Il ministro degli esteri Tzipi Livni ha dichiarato ieri che vieterà l'ingresso in Israele a Richard Falk, inviato delle Nazioni Unite per i diritti umani, che ha paragonato i metodi usati da Israele contro i palestinesi nella Striscia di Gaza a quelli utilizzati dai nazisti contro gli ebrei. In un'intervista di ieri alla Bbc Falk ha ribadito le accuse, pronunciate per la prima volta l'estate scorsa, e dichiarato che Israele è ingiustamente a riparo da critiche da parte della Comunità internazionale. Tel Aviv mira ora ad ottenere la trasformazione del mandato del Consiglio per i diritti umani, da organo che indaga sulle violazioni contro i palestinesi a uno che si occupi anche delle «violazioni dei palestinesi
Anche Il MESSAGGERO rilancia l'appello del pacifista Barghouti, che oppone alle manovre militari israeliane contro le quali ha protestato la pacifica Siria.
Pwe inviare una e-mail alla redazione del Manifesto e del Messaggero cliccare sul link sottostante