Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Quando l'antisarkozismo è un alibi per l'antisemitismo un articolo Bernard Henry Lévy
Testata: Corriere della Sera Data: 09 aprile 2008 Pagina: 38 Autore: Bernard Henry Lévy Titolo: ««Süss all'Eliseo», ovvero l'antisarkozismo infame»
Dal CORRIERE della SERA del 9 aprile 2008, un articolo di Bernard Henry Lévy
Breve annuncio sul canale televisivo Lci. Un sottoprefetto del dipartimento Charente-Maritime si è appena dovuto dimettere, su ordine del ministro degli Interni, Michèle Alliot-Marie. Il motivo? Trasgressione al dovere di riserva che devono osservare i servitori dello Stato. Tutto è successo a causa di un «punto di vista» che il sottoprefetto aveva espresso sul giornale online Oumma.com, dove parlava di Israele come dell'unico Stato al mondo in cui i cecchini abbattono le ragazzine all'uscita da scuola e dove i centri di tortura fanno un giorno di riposo, il sabato, a causa dello shabbat. Conosciamo la solfa. Nulla di nuovo sotto il sole dell'insondabile stupidità politica. Solo che il passaggio all'atto è compiuto, ed è la prima volta, da un alto funzionario della Repubblica. E che questi ha scelto, per infrangere il suo dovere di riserva, non un grande quotidiano, una rivista o una radio, ma l'organo ufficioso dei Fratelli musulmani in Francia e, in particolare, di Tariq Ramadan. La notte passa. La vicenda mi ronza nella testa. Infatti non si tratta solo di Oumma. C'è il nome dell'uomo che mi dice qualcosa. Guigue... Sottoprefetto Bruno Guigue... Cerco fra i miei ricordi. Sollecito l'amico Google. Ed ecco che subito mi torna in mente: ma sì, certo! Lo stesso Guigue che, al mio ritorno dal Darfur, aveva dato, sempre a Oumma, un articolo particolarmente ignobile su di me (cosa non troppo grave) e sulla tragedia del popolo del Darfur (cosa, è evidente, più seria). La coincidenza è quasi troppo bella. Perché è la conferma, scientifica, della mia vecchia tesi sull'effetto di cecità che produce, immancabilmente, la monomania antisionista. Perché non sentiamo mai gli avversari di Israele esprimersi sul Tibet? Sulle guerre dimenticate d'Africa? Sulla Bosnia di quindici anni fa? Perché oggi si accaniscono a negare il martirio del Darfur? Ebbene, la risposta ci viene dal caso-Guigue. Un martirio interessa quegli individui soltanto quando c'è di mezzo Israele o — è una citazione — il suo lacchè americano. Un massacro dove né Israele né gli Stati Uniti siano coinvolti ha un'importanza secondaria nella galleria di cliché di cui è fatta la loro visione del mondo. Preso dal mio slancio, navigo da un sito all'altro e piombo su una nebulosa di siti che difendono il «coraggioso» funzionario punito. Non dirò il nome di questi siti. Non voglio far loro pubblicità. Ma quel che scopro — ancora una sorpresa — è che sono molto numerosi; che dal rosso (no global) al bruno (Fronte Nazionale e apparentati) o al verde (islamista radicale) ricoprono la parte essenziale dello spettro del peggio; e che tutti sono d'accordo, in realtà, su una rappresentazione articolata in tre proposizioni deliranti quanto semplici. Israele è uno Stato nazista. Il mondo è organizzato in modo tale da dissimulare questa verità. E il cervello di questo complotto, il suo direttore d'orchestra clandestino, il vero agente dei neri disegni dell'eterna «Internazionale ebraica» si trova qui, a Parigi, proprio al di sopra di Alliot-Marie la quale, con Bernard Kouchner, Jacques Attali e altri nuovi «ebrei Süss» (cito sempre la stessa amena letteratura), non è che un docile strumento nelle sue mani: questo ignobile ebreo, nascosto, canonizzato, ma smascherato, non è altriche...NicolasSarkozy in persona! All'improvviso, mi tornano in mente i siti antisemiti che, durante la campagna elettorale dell'anno scorso, si scatenavano col ritornello «Tutto tranne Sarkozy» e che Liliane Kandel, rappresentante del comitato di redazione di Temps modernes, aveva denunciato. Riprendo un libro, pubblicato invece dopo le elezioni, dove l'autore, il filosofo Alain Badiou, facendosi forte dell'appoggio di Freud (povero Freud!), non chiama più il presidente con il suo nome, ma lo chiama l'homme aux rats, «uomo dei topi», come nei film di propaganda proiettati nei cinema sotto l'Occupazione. Penso a certi segnali, probabilmente minuscoli, irrisori, ma che vanno dagli attacchi ad hominem (in particolare sul fisico) a un tipo di aggressione che nessuno si era permesso nei confronti dei suoi predecessori (dall'sms inviato a Cécilia alla trasmissione tv di marionette— « Les Guignols de l'info »—cheda qualche tempo si diverte — ma se ne rende conto? — a farlo parlare con gli accenti dell'ebreo parigino cui ricorrono gli attori nel film « La vérité si je mens »). Metto in fila tutto questo e mi dico che, lo si voglia o no, sta accadendo qualcosa di sintomatico: non è tanto il nome di Sarkozy che conta, a questo punto, ma il nome che va dato all'antisarkosismo. Dio solo sa se esistono ragioni— buone — di opporsi all'attuale sistema di governo. L'immigrazione. La legge sulla carcerazione di sicurezza. Il discorso di Dakar. Gli scivoloni, a Riad o in Vaticano, sulla pietra angolare della Repubblica che è l'idea di laicità. La parola tradita sui ceceni, i tibetani, la democrazia in Russia, i diritti dell'uomo in generale. Su tutti questi terreni non bisogna cedere di un millimetro. Non bisogna lasciarsi intimidire. Ma è una ragione di più per non tollerare che sia oltrepassata la linea gialla di separazione fra il vero dibattito e l'ingiuria alla persona e al nome. Credo d'essere stato uno dei primi a denunciare, molto prima della campagna elettorale, la demonizzazione di cui cominciava a essere oggetto il futuro candidato. Oggi, allo stesso modo, metto in guardia contro i fetidi miasmi che un odio pavloviano sembra ancora una volta emanare, a destra come a sinistra, verso colui che è ormai capo dello Stato. Traduzione di Daniela Maggioni
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