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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - Il Giornale Rassegna Stampa
26.03.2008 Minacciato perché omosessuale, palestinese ottiene il permesso di vivere in Israele
due cronache

Testata:Corriere della Sera - Il Giornale
Autore: Davide Frattini - Massimo M. Veronese
Titolo: «Gay palestinese minacciato: ottiene di vivere a Tel Aviv - Israele apre ai palestinesi, ma solo se gay»
Dal CORRIERE della SERA del 26 marzo 2008, una cronaca di Davide Frattini:

GERUSALEMME — Un mese lontano dalla paura, poi si vedrà. Sono cinque anni che A., palestinese di Jenin, cerca di ottenere il permesso di vivere in Israele. Lontano dalla paura e lontano dalla famiglia. I parenti lo minacciano da quando hanno scoperto che è omosessuale e, ancora più grave per loro, che da otto anni è il compagno di un israeliano.
Adesso l'esercito gli ha concesso di lasciare la Cisgiordania. Il generale Yosef Mishlav, che guida l'amministrazione dei Territori, ha dato il via libera alla residenza temporanea. Trenta giorni, che potranno essere rinnovati. «L'avvocato ha spiegato che la vita dell'uomo era in pericolo a causa del suo orientamento sessuale. Consideriamo questa autorizzazione un caso eccezionale», commenta un portavoce. Lo Shin Bet ha fatto le sue verifiche. «I servizi segreti mi hanno interrogato, non hanno trovato niente su di me — racconta A., 33 anni —. L'unica cosa che voglio è stare vicino al mio partner». Che è un ingegnere informatico quarantenne e soffre di cuore, ha bisogno di assistenza.
In Israele vivono almeno 300 omosessuali palestinesi. Raccontano di essere scappati per evitare persecuzioni e torture, hanno imparato l'ebraico in fretta per nascondere l'accento arabo e per nascondersi dagli agenti in borghese che li rispedirebbero in Cisgiordania. Sono qui come illegali. Unica protezione per alcuni di loro è la tessera con il simbolo arcobaleno che l'associazione gay Aguda distribuisce. «Sono riuscito a ottenere un accordo non ufficiale con la polizia — spiega Shaul Gonen, tra i leader dell'organizzazione — perché non espella i giovani nella mia lista. Questo è l'unico Paese del Medio Oriente dove possono venire, la nostra società è aperta verso i diritti degli omosessuali ».
Per loro resta molto difficile ottenere lo status di rifugiati. La convenzione Onu del 1951, firmata anche da Israele, garantisce il diritto d'asilo a chi è perseguitato a causa dell'orientamento sessuale. Il destino dei gay palestinesi è legato a quello dei rapporti tra lo Stato ebraico e l'Autorità di Ramallah. Al Arabiya, canale satellitare che trasmette da Dubai, ha ironizzato sul permesso concesso ad A.: «Non è vero che Israele non sia favorevole al diritto al ritorno per i palestinesi».
Il rischio per chi resta in Cisgiordania è di venire accusato di essere un collaborazionista. «Anche perché in passato i servizi segreti israeliani — continua Gonen — avrebbero fatto pressioni sui gay per usarli come informatori». Arrivati in Israele, preferiscono cambiare nome, dimenticare e farsi dimenticare. «Qualcuno potrebbe sempre riconoscerli», spiega Hanin Maikey, direttrice dell'organizzazione Al Qaws (Arcobaleno), che riunisce gli omosessuali arabi. «Molti membri della nostra comunità denunciano una doppia esclusione. Come gay e lesbiche sono emarginati dalla società palestinese, in quanto arabi da quella israeliana». Le riunificazioni familiari tra palestinesi e cittadini israeliani sono state congelate da una legge agli inizi della seconda Intifada. A. dovrà presentarsi ogni mese per rinnovare il permesso, mentre il suo avvocato continuerà a tentare di fargli avere la residenza permanente. Con il compagno, vive a Tel Aviv, la città che il mensile americano Out ha lanciato come la nuova frontiera internazionale per gli omosessuali, definendola «la futura Miami». Tel Aviv non è Gerusalemme, dove l'anno scorso gli ebrei ultraortodossi sono in scesi in strada contro la Gay Parade.

Stranamente Il GIORNALE intitola la cronaca di Massimo M. Veronese "Israele apre ai palestinesi, ma solo se gay". Sembra un modo di mescolare impropriamente una vicenda che è soprattutto indicativa della differenza che separa le due parti del conflitto israelo-palestinese in tema di diritti umani e civili e nozioni alquanto vaghe e imprecise su  quello stesso conflitto, tra le quali si colloca evidentemente il pregiudizio della "chiusura" politica e diplomatica di Israele verso i palestinesi.
Strana anche, nel testo dell'articolo,  la frase : "Non che in Israele gli omosessuali siano molto ben visti, lo scorso novembre per esempio il Gay Pride in Israele scatenò la rivolta degli ultra-ortodossi, che si scontrarono con la polizia, lanciano pietre e bruciando cassonetti per protestare contro una manifestazione considerata blasfema.". Vero che subito dopo viene precisato che
 "i diritti dei gay in Israele restano più che tutelati.", ma resta l'errore di attribuire l'atteggiamento di una parte importante, ma non certo maggioritaria, della società israeliana come quella ortodossa all'intero Israele.

Ecco il testo:

«Il mio ragazzo è malato di cuore e ha bisogno che io gli sia vicino». Fin qui niente di male. «Chiedo perciò il Vostro permesso di poterlo raggiungere per vivere accanto a lui». E anche qui poco da dire. Permesso accordato, venga pure senza problemi e si fermi quanto le pare. Sembrerebbe una storia come tante, anche se sullo scenario di una guerra senza fine. Invece è una specie di piccolo miracolo. Perché il ragazzo che ha spedito la struggente richiesta scritta è un palestinese di 33 anni che vive nel campo profughi di Jenin, una delle zone più infuocate della Cisgiordania. Perché l’uomo che doveva decidere del suo futuro è nientemeno che il generale Yosef Mishlav, coordinatore delle attività del governo israeliano nei Territori, un pezzo grosso, un uomo tutto d’un pezzo. E perché il suo fidanzato da otto anni è un ingegnere di 40 anni, israeliano, che vive a Tel Aviv. Cioè un amore gay.
Non era mai successa una cosa del genere. E cioè che un gay palestinese fosse autorizzato dalle autorità militari israeliane a trasferirsi a Tel Aviv per poter restare vicino al suo compagno israeliano. Un permesso speciale, spiegano i militari, rilasciato solo ed esclusivamente «per ragioni umanitarie». La domanda a dire la verità non è nuova, erano almeno cinque anni che i due chiedevano con insistenza il ricongiungimento, ma la risposta era sempre stata negativa. Fino a ieri. Non che in Israele gli omosessuali siano molto ben visti, lo scorso novembre per esempio il Gay Pride in Israele scatenò la rivolta degli ultra-ortodossi, che si scontrarono con la polizia, lanciano pietre e bruciando cassonetti per protestare contro una manifestazione considerata blasfema. Ma i diritti dei gay in Israele restano più che tutelati. Non altrettanto si può dire per la Cisgiordania dove l’omosessualità è considerata peccato mortale dalla maggioranza musulmana che non ha mai risparmiato violenze, come denuncia Rauda Morcos, attivista palestinese per i diritti umani, a gay e lesbiche solo per essere quello che sono. Ed è questa la ragione per cui il generale Mishlav, confortato dal ministero dell’Interno israeliano, ha concesso un’autorizzazione quasi impossibile da ottenere per un palestinese: «A Jenin riceve continue minacce di morte solo perché ama un cittadino israeliano». Ora sono finalmente insieme. A volte Romeo e Giulietta hanno un viso che non ti aspetti.

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