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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - La Repubblica Rassegna Stampa
20.03.2008 Nel mondo delle ebree ortodosse
due reportage

Testata:La Stampa - La Repubblica
Autore: Francesca Paci - Alberto Stabile
Titolo: «Ortodosse, belle senza peccato - La collina delle ebree velate il burqa non è solo islamico»

La STAMPA e La REPUBBLICA del 20 marzo 2008 pubblicano due interessanti articoli, in qualche modo complementari, sulla società israeliana e in particolare sul quel segmento della società israeliana rappresentato dagli ebrei ortodossi, e, all'interno di quest'ultimo, dalle donne:

L'articolo di Franscsca Paci dal quotidiano torinese:

Rachel cammina svelta, a testa bassa, indistinguibile dalle centinaia di mamme e figlie che nel pomeriggio sciamano per le strade di Mea Sharim, il quartiere ultraortodosso di Gerusalemme. Il volto pallido, incorniciato dalla parrucca che contraddistingue le donne sposate, dimostra trent’anni, la gonna scende informe fino alla caviglia, le calze sono scure, pesanti. Attraversa Strauss Street senza indugiare alle bancarelle zeppe di dolci per il Purim, il carnevale ebraico, s’infila in un vicolo largo un metro e scompare oltre l’androne d’una palazzina scalcinata su cui è affissa una piccola insegna bianca e rosa, «Ye’elat Chen Salon».
L’anonima porta al pianterreno nasconde la caverna di Aladino: mosaici color crema, musica new-age, cesti di frutta e fontanelle d’acqua naturale, il fantastico mondo di Yaffa, che da 24 anni rende belle le religiose di ogni età rispettando la «tzniut», la modestia femminile prescritta dall’«halacha», il codice etico dell’ebraismo.
Yaffa Larry è la titolare. Camice bianco, parrucca impeccabile, 54 anni portati da quarantenne, mostra l’agenda piena fino ad aprile. Anche oggi niente da fare per chi non ha telefonato per tempo. Rachel ha prenotato una settimana fa. Manicure, pedicure, laser, make up, depilazione, una trentina di appuntamenti al giorno, tutto esaurito. Eppure, sembra che non ci sia nessuno. La reception dai vetri opachi introduce a un labirinto di corridoi, pareti ovattate, cabine con due entrate per evitare l’incontro imbarazzante con la vicina di casa, uscite segrete sul retro all'ombra di alberi secolari.
Si fa ma non si dice, ammicca Yaffa: «Le religiose non possono mostrare di tenere al proprio aspetto, sebbene si curino molto. Da noi trovano il massimo della privacy». Lo zoccolo duro della clientela è composto da ortodosse, ma in lista ci sono anche mogli di parlamentari in fuga dai riflettori, palestinesi con il niqab, il velo integrale E Condoleezza Rice che, parola di Yaffa, ordina qui creme e sieri anti-age.
L’aspetto trasandato di Mea Sharim trae facilmente in inganno. Abitazioni fatiscenti, spazzatura abbandonata nei cortili, muri coperti di tazebao con le notizie della giornata, il calendario religioso, l’invito del rabbino di estrema destra Yaakov Yosef a vendicare l’attentato alla yeshiva Mercaz Harav. Per scovare i santuari della bellezza bisogna infilarsi nelle vie secondarie tipo Hagay Street, dribblare le casse di verdura sul marciapiede e bussare alla vetrina, nera come quella di un privé, con la scritta «Different design».
Sarah rifà la piega alla parrucca a caschetto di una giovanissima sposa. Sono capelli veri, spiega destreggiandosi con il phon: «Hanno bisogno d'attenzione, vanno lavati e pettinati almeno una volta al mese». Il trattamento costa ottanta schekel, circa 15 euro, quanto una buona scorta di provviste al supermercato all’angolo. Ma in quattro anni d’attività Sarah non è mai restata con le mani in mano.
«Non c’è limite a quanto le ortodosse possono spendere per la bellezza, ho clienti con 17 figli che risparmiano sulla spesa per un trattamento, il loro rifugio dalla routine», spiega madame Yaffa. Chi cerca marito e chi vuole tenerselo stretto. Il segreto è un bel viso: «Il corpo conta meno, i massaggi non sono molto richiesti. Tutta l’attenzione è concentrata sul volto, guai ad avere un macchia, un pelo, una ruga di troppo». L’ora di punta, in genere, è nel tardo pomeriggio, a ridosso della chiusura: «Le mogli si preparano per il ritorno del marito. La sera in famiglia è il momento più importante della giornata, il make up dev’essere perfetto». Perfetto, ossia naturale.
«La cosmetica ha fatto passi da gigante per soddisfare le esigenze di questo particolare pubblico», nota Sima Salzburg, ricercatrice della Hebrew University alle prese con una tesi di dottorato sull’estetica nella comunità ultraortodossa di Gerusalemme. Lo Ye’elat Chen Salon, per esempio, si è specializzato nel trucco permanente e quasi invisibile, eyeliner e rossetto indelebili come tatuaggi per rispettare l’obbligo del riposo totale nello shabbat, il sabato. Due, tremila shekel e il problema è risolto per un bel po’. «È stata la mia fortuna», ammette Yaffa Larrie, la Ronit Raphael delle haredim. Oggi la invitano a tenere seminari a New York, Londra, Parigi.
Due ragazzine vestite interamente di nero, dalle scarpe al cappello, escono dal retro, sono venute da Yaffa per curare l’acne adolescenziale. Hanno fretta, tra due giorni c’è la festa per il bar-mitzvah di un cugino e non si sa mai. All’angolo con Hoshea Street svoltano in un garage, Larissa Coiffeur. Salutano la titolare come un’amica, da sei anni lava capelli e parrucche a tutte le donne della famiglia. Con discrezione e complicità femminile: Larissa è brava, bella, araba.

L'articolo di Alberto Stabile, da REPUBBLICA, è corretto. Il titolo ("La collina delle ebree velate il burqa non è solo islamico"), no. Infatti dall'articolo risulta chiaramente  che nell'ambiente ebraico ortodosso il velo è stato introdotto da alcune donne, per loro libera scelta. Non si tratta di un'imposizione di un potere fondamentalista maschile volta a ribadire la loro subordinazione.

Ecco il testo:

In giro si vedono poco, perché la loro regola prescrive, tra l´altro, di uscire di casa il meno possibile. Ma se decidono di avventurarsi per le strade lo fanno coprendosi dalla testa ai piedi, mani e viso inclusi, con un velo pericolosamente simile a un chador o con un soprabito che potrebbe benissimo essere scambiato per un burqa. Queste però non sono donne iraniane, saudite o afgane soggette alla legge religiosa islamica, ma israelianissime ebree ultra-ortodosse che hanno deciso di portare il precetto della zniuth (modestia) femminile, a nuovi ed estremi livelli, spesso in contrasto con il volere delle famiglie e quasi sempre contro l´opinione dei rabbini.
Il fenomeno ha cominciato a manifestarsi a Beit Shemesh, una delle "capitali" dell´ortodossia arroccata sulle colline della Giudea, tra Gerusalemme e Tel Aviv, dove in un appartamento spoglio, a due piani, sotto il livello della strada, vive la rabbanit (titolo che tradizionalmente serviva ad indicare la moglie del rabbino ma che in questo caso lascia intendere molto di più) Bruria Keren, esperta di medicina alternativa, madre di dieci figli e sacerdotessa della nuova tendenza. Alla base della quale s´intravede un´ideologia che combina l´osservanza più stretta con una forma di femminismo estremo, per cui il corpo di una donna non può essere oggetto di godimento da parte di un uomo, se non per specifica scelta della donna stessa: quindi, in pratica, solo il marito è autorizzato a vedere il volto, o udire la voce, della moglie.
La caratteristica più evidente di questa nuova interpretazione della modestia è ovviamente l´abbigliamento: strati e strati di gonne, fazzoletti, scialli, mantelli e veli, che lasciano scoperti, quando va bene, soltanto gli occhi, per cancellare quanto più possibile il contorno del corpo. Il palmo della mano è coperto fino alla radice delle dita, le calze sono di cotone spesso e le scarpe hanno una suola anti-rumore, perché possano muoversi senza essere udite. Secondo una descrizione comparsa su Ma´ariv, la rabbanit Keren veste dieci gonne di tessuto spesso, sette lunghi mantelli, cinque fazzoletti annodati sotto il mento e tre dietro la nuca ed ha il volto coperto da una pezza di stoffa, da cui sbucano gli occhi. Tutta questa montagna di vestiti è a sua volta coperta da alcuni veli più leggeri, che le scendono dalla cima della testa fino ai piedi.
Naturalmente le regole autoimposte non riguardano soltanto il vestiario: parlare poco (e mai con uomini) e pregare molto (soprattutto, recitare i salmi), uscire il meno possibile di casa, evitare i trasporti pubblici e viaggiare in taxi solo se l´autista è una donna e infine mangiare sano, preferibilmente macrobiotico.
La rabbanit stessa che a detta delle sue seguaci possiede una personalità magnetica e un marito-ombra, non esce quasi mai di casa. Occupandosi professionalmente di medicina alternativa, non ha bisogno di uscire per lavorare e riceve le sue pazienti in casa. In casa dà pure un´unica lezione settimanale alle sue fedeli e per il resto cerca di non parlare più di quattro ore alla settimana, comunicando, quando è necessario, per mezzo di bigliettini o con le mani. La maggioranza della giornata la passa in «digiuno della parola» e in preghiera. Le sue fedeli dicono che in queste ore la rabbanit «acchiappa gli angeli».
Inizialmente, a seguire l´esempio di Bruria erano state soltanto poche giovani donne fra i 20 e i 30 anni, ma presto la nuova maniera d´intendere la decenza femminile, o forse soltanto l´illusione di potersi nascondere al mondo, ha cominciato a diffondersi in maniera sorprendentemente veloce, valicando i confini di Beit Shemesh per manifestarsi nei maggiori centri ultraortodossi del paese, inclusa la storica roccaforte degli haredim, il quartiere di Meah Sharim, a Gerusalemme. Motivo per cui non è più raro incontrare una donna ultraortodossa che, anziché indossare la parrucca, la gonna nera fino alle caviglie e le pesanti calzamaglie, ma a viso scoperto, vada in giro avvolta in una specie di chador che tiene fermo con una mano per coprirsi la faccia mentre con l´altra spinge un passeggino.
Molte di loro vivono della vendita di prodotti naturali e macrobiotici, perché - come spiega una delle allieve di Bruria Keren - «la correlazione fra alimentazione sana e modestia è molto stretta e più che ovvia: le donne modeste sono pulite dentro e fuori. Le figlie d´Israele sono figlie di re, e non è opportuno che vengano osservate. Non sono un pomodoro marcio, che chiunque passa per strada è autorizzato a guardare che cosa abbia o che cosa non abbia».
Di tutto questo, probabilmente, non si sarebbe mai parlato se non ci fosse stata una causa di divorzio, intentata da un marito molto insoddisfatto dell´andamento della famiglia, dopo che la moglie era diventata una delle seguaci della rabbanit: la casa a catafascio, i dieci figli abbandonati a loro stessi perché la mamma era occupata a pregare e non comunicava più con loro, le figlie tenute a casa da scuola per svolgere tutte quelle funzione che la madre non svolgeva, non volendo più uscire di casa. Alla fine, la donna si è presentata davanti al tribunale rabbinico completamente coperta da un velo nero, e guidata per mano da una delle figlie. Avendo risposto con un rifiuto alla richiesta della corte di togliersi il velo («Solo mio marito può vedermi in faccia»), il tribunale rabbinico alla fine ha disposto per il divorzio e le ha sottratto la custodia dei figli minori. La donna ha fatto ricorso alla Corte Suprema (laica: ed così che la cosa si è saputa) che ha confermato la sentenza del tribunale rabbinico.
Nel frattempo però la donna è scomparsa con i figli più piccoli, trovando probabilmente rifugio in una qualche comunità ultra-ortodossa.

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