Chi sta affamando davvero Gaza Video di Naftali Bennett a cura di Giorgio Pavoncello
Chi sta affamando Gaza? Gli aiuti alimentari da Israele alla popolazione della Striscia sono aumentati ormai del 40% rispetto al periodo pre-bellico. Eppure continuiamo a vedere scene di persone affamate che si accalcano per accaparrarsi il cibo. La realtà è che Hamas usa gli aiuti alimentari come strumento per assoggettare la popolazione. Un video dell'ex premier Naftali Bennett (tradotto con intelligenza artificiale) pieno di dati e prove, ve lo dimostra.
D'Alema è in "buona" compagnia l'incredibile lista di Umberto De Giovannangeli, dimostra solo che l'odio per Israele non è un problema solo italiano
Testata: Autore: Umberto De Giovannangeli Titolo: «Caso Hamas, tutti i big a favore del dialogo con i padroni di Gaza»
Per difendere le dichiarazioni di D'Alema sulla trattativa con Hamas, L'UNITA' del 14 marzo 2008 pubblica un articolo di Umberto De Giovannangeli che fa appello al principio di autorità. Si tratta infatti di un elenco di " tutti i big a favore del dialogo con i padroni di Gaza".
E' il caso di guardare a questo elenco un po' più da vicino. Partiamo dal pezzo forte, ovvero dagli israeliani. Il primo nome è Shlomo Ben Ami. Negoziò a Camp David, ma il fallimento di quell'esperienza con Arafat non sembra averlo portato a prospettive più realistiche. Segue Amy Ayalon, che partecipò alla velleitaria iniziativa di Ginevra, un accordo tra privati che si pretese servisse da modello per un compromesso che la leadership palestinese di allora semplicemente non voleva. Poi c'è Yossi Beilin, dell'estrema sinistra israeliana. Poi Efraim Halevi che "sostiene che cercare di aprire un canale negoziale con Hamas serve anche a fermare una ideologia più radicale, quella di Al Qaeda, che va conquistando sempre più proseliti nei Territori" A noi sembra più plausibile la tesi di Shimon Peres, che a suo tempo si è chiesto quale possa essere per Israele la differenza tra Hamas e Al Qaeda, visto che entrambe perseguono la sua distruzione. Anche ammettendo che il ragionamento di Halevi sia corretto, comunque, resta il fatto che un conto sarebbe un eventuale trattativa tra Israele e Hamas, un conto riconoscimenti internazionali che, saltando a piè pari le condizioni del quartetto ( riconoscimento di Israele, rinuncia al terrorismo , accettazione degli accordi precedenti), non potrebbero che rafforzare l'oltranzismo del gruppo islamista.
Gli altri nomi sembrano una presa in giro, perché allineano tutto il "meglio del meglio" internazionale in fatto di odio per Israele.Senza per altro illustrarne le vere posizioni sul conflitto mediorentale. Ci sono Jimmy Carter, per il quale Israele è uno Stato di apartheid, Kofi Annan, Zbigniew Brzezinski e Brent Scowcroft, difensori dell famigerato "The Israel lobby di Mearsheimer e Walt, Harold Pinter , Eric Hobsbawm, John Dugard, rappresentante delle Nazioni Unite per i diritti umani che, secondo il mandato delle dittature antisioniste, si occupa in modo esclusivo di demonizzare Israele, Karen Abu Zayd, direttrice dell’Unrwa, l’Agenzia dell’Onu per l’assistenza ai rifugiati palestinesi, che un'organizzazione il cui personale esce direttamente dai quadri dei vari gruppi palestinesi.
Ecco il testo completo:
«CHI CI INVITA ad aprire trattative con Hamas in effetti ci invita a negoziare sulle misure delle nostre bare e sul numero dei fiori da mettere nella corona». È, un j’accuse durissimo quello lanciato dall’ambasciatore israeliano a Roma Gideon Meir in risposta alle considerazioni del titolare della Farnesina, Massimo D’Alema. La domanda che viene spontanea è la seguente: la necessità di avviare una qualche forma di negoziato con Hamas, è una fisima del ministro degli Esteri italiano o, come cercheremo di documentare, è invece una necessità avvertita da un arco ampio e variegato di personalità; un campo che annovera al proprio interno ex presidenti Usa, ex segretari generali delle Nazioni Unite, premi Nobel, e che include personalità che hanno rivestito incarichi di grande responsabilità nei governi e nei vertici militari e di intelligence israeliani. Hamas, rileva D’Alema, controlla un pezzo importantissimo del territorio palestinese (Gaza, ndr.) e se si vuole la pace bisogna coinvolgere chi rappresenta una parte importante del popolo palestinese». Una constatazione che ha spinto l’ex presidente Usa Jimmy Carter e l’ex segretario generale delle Nazioni Unite, Kofi Annan: nei giorni scorsi, nel pieno dei combattimenti che hanno insanguinato Gaza e il Sud d’Israele, Carter e Annan si sono detti disponibili a favorire un negoziato tra le parti belligeranti, e cioè Israele e Hamas, per giungere ad una tregua. Una necessità avvertita da altre personalità della politica statunitense. «Crediamo che un dialogo schietto con l’organizzazione sia di gran lunga preferibile al suo isolamento: potrebbe essere condotto, per esempio, dagli inviati dell’Onu e del Quartetto (Usa, Ue, Russia, Onu, ndr.). Promuovere un cessate il fuoco tra Israele e Gaza potrebbe essere un buon punto di partenza»: considerazioni che non sono un parto dalemiano, ma un passaggio, cruciale, di una lettera a George W.Bush e Condoleezza Rice pubblicata l’8 novembre dal New York Times. Tra i firmatari c’erano gli ex consiglieri per la Sicurezza nazionale Zbigniew Brzezinski e Brent Scowcroft. .«Senza dimenticare mai - avverte D’Alema - che Hamas vinse le elezioni...». Cosa che non ha dimenticato Jimmy Carter. «Se uno sponsorizza elezioni o intende promuovere la democrazia e la libertà in tutto il mondo, poi, come è accaduto in Palestina, quando un popolo sceglie liberamente i propri leader, credo che tutti dovrebbero riconoscere il risultato e incalzare, senza demonizzarlo, il governo legittimo che scaturisce dal voto», riflette l’ex presidente Usa. In Inghilterra, personalità di primissimo piano del mondo della cultura, tra cui il Premio Nobel Harold Pinter e lo storico Eric Hobsbawm, hanno pubblicato, a pagamento, sul The Times un appello ad Israele perché ponga termine all’assedio di Gaza. «La punizione collettiva della popolazione di Gaza - c’è scritto nell’appello - è illegale ai sensi del diritto internazionale. Condanniamo tutti gli attacchi contro i civili e conseguentemente i lanci di razzi contro gli abitanti del Sud d’Israele. Chiediamo la fine dell’assedio di Gaza, l’immediato cessate il fuoco, il negoziato con Hamas». Una richiesta fatta propria da responsabili Onu, come il rappresentante delle Nazioni Unite per i diritti umani, John Dugard, e Karen Abu Zayd, direttrice dell’Unrwa, l’Agenzia dell’Onu per l’assistenza ai rifugiati palestinesi. «C’è un solo modo di evitare nuove stragi di innocenti a Gaza e per porre fine al lancio di missili da Gaza contro il Sud d’Israele. Favorire un negoziato tra il governo israeliano, Hamas e l’Anp», afferma Dugard. «Il blocco di Gaza punisce una intera popolazione per ritorsione contro l’azione di pochi. Non è solo profondamente ingiusto, è estremamente pericoloso perché in questo modo si spinge tutto il mondo nelle mani dell’estremismo», rileva a sua volta Karen Abu Zayd. Argomenti che trovano autorevoli sostenitori anche nello Stato ebraico. «Israele non ha il coraggio di fare il primo passo verso Hamas, ma continuo a non capire perché l’Europa non ci aiuti, perché abbia isolato Hamas, seguendo in modo acritico l’iniziativa dell’amministrazione Bush», sostiene Shlomo Ben Ami, ministro degli Esteri del governo Barak durante le trattative di Camp David. «Demonizzare Hamas non è una buona politica e ancora peggio è avere un atteggiamento ostile, punitivo nei confronti della popolazione palestinese, perché ha votato in massa Hamas», sottolineatura importante, tanto più significativa perché a farla è un uomo che ha trascorso larga parte della sua vita a combattere i peggiori nemici di Israele: si tratta di Amy Ayalon, ex capo della marina militare dello Shin Bet (il servizio di sicurezza interno di Israele), oggi parlamentare laburista. Trattare con Hamas per evitare pericoli peggiori, quale la penetrazione di Al Qaeda nei Territori. È la tesi sostenuta da Yossi Beilin, più volte ministro nei governi a guida laburista, leader storico del Meretz, la sinistra pacifista israeliana: «Mettere sullo stesso piano Hamas e Al Qaeda - dice Beilin - è un errore di analisi che porta ad adottare una strategia di contenimento fallimentare. Ricordiamoci il passato: Israele ha eliminato il fondatore di Hamas (sheikh Ahmed Yassin, ndr.) e lo stesso ha fatto con il suo successore (Abdelaziz Rantisi, ndr.). Il risultato è stato opposto alle aspettative: Hamas è cresciuto nei consensi della popolazione palestinese». «Per quanto riguarda l’equiparazione di Hamas con Al Qaeda - prosegue Beilin - il mio pensiero coincide pienamente con quanto affermato da Efraim Halevy (l’ex capo del Mossad, il servizio segreto israeliano, ndr.), uno che di lotta al terrorismo se ne intende come pochi al mondo: Halevy sostiene che cercare di aprire un canale negoziale con Hamas serve anche a fermare una ideologia più radicale, quella di Al Qaeda, che va conquistando sempre più proseliti nei Territori». D’altro canto, e fuori dalle polemiche forzate, tra Israele e Hamas canali di contatto già esistono. Con la mediazione egiziana che punta a un accordo tra le parti ampio, non soltanto a una tregua. A spiegarlo è il ministro degli Esteri egiziano Ahmed Abdul Gheit, un moderato apprezzato nelle cancellerie occidentali: alla fine delle violenze, ha ripetuto nei giorni scorsi Gheit, deve accompagnarsi un allentamento delle restrizioni per gli abitanti di Gaza e possibilmente uno scambio di prigionieri, perché, avverte il ministro egiziano, «se non saremo in grado di far sì che questa situazione finisca, le cose peggioreranno ancora a detrimento sia della popolazione israeliana che palestinese».
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