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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Repubblica - Corriere della Sera - L'Unità Rassegna Stampa
13.03.2008 "Negoziare con Hamas è negoziare sulla misura della bara e sul numero dei fiori da mettere sulla corona": la risposta dell'ambasciatore d'Israele a D'Alema
rassegna di quotidiani

Testata:La Repubblica - Corriere della Sera - L'Unità
Autore: Vincenzo Nigro - Maurizio Caprara - Umberto De Giovannangeli
Titolo: «Hamas, Israele attacca D'Alema - Vernetti: «Sono estremisti che cercano vie militari - «Una trattativa per arginare l'Iran» E sul dialogo riscoppia la polemica tra Israele e D’Alema»
La REPUBBLICA del 13 marzo 2008 presenta in modo sorprendente le dichiarazioni di D'Alema sulla necessità del "dialogo" con Hamas e la risposta dell'ambasciatore di Israele.
Invece di concentrarsi sul merito, Vincenzo Nigro parte dalla "promessa non mantenuta" dall'ambasciatore Meir "non polemizzerò mai in pubblico con il Governo italiano".
Si poteva almeno cogliere l'occasione per notare che, se Meir alla fine ha dovuto parlare, D'Alema deve davvero aver passato il segno.
Le sue parole sono uno schiaffo per Israele, e la danneggiano nella sua lotta contro il terrorismo.
Sorprende, dunque, anche il titolo di REPUBBLICA, che ribalta i termini della questione: "Hamas, Israele attacca D'Alema"

Ecco l'articolo completo:

ROMA - Aveva promesso: non polemizzerò mai in pubblico con il Governo italiano, con i suoi ministri, proveremo sempre a dirci le cose in faccia, ma in maniera riservata. Era la politica scelta da Gideon Meir, nuovo ambasciatore israeliano a Roma, inviato alla fine del 2006 in Italia per sostituire Ehud Gol, il "carro armato" che aveva diretto l´ambasciata di via Mercati negli anni di Berlusconi. Evitare gli attacchi in pubblico: una scelta concordata col ministro Tzipi Livni, per facilitare la vita al governo di centrosinistra di Romano Prodi. Ma ieri sera Gideon Meir, la colomba, il super-diplomatico, ha fatto un bel passo in avanti: «Chi ci invita a negoziare con Hamas ci invita semplicemente a negoziare sulla misura della bara e sul numero dei fiori da mettere sulla corona: Hamas vuole soltanto la distruzione di Israele».
Ma chi, ieri mattina, aveva invitato per l´ennesima volta Israele a trattare con Hamas? Era stato proprio Massimo D´Alema: con una battuta al tg di Sky, il ministro degli Esteri tornava a suggerire il negoziato, «perché Hamas controlla un pezzo importantissimo del territorio palestinese e se si vuole la pace bisogna coinvolgere chi rappresenta una parte importante del popolo palestinese. E poi, non dimentichiamoci mai che Hamas vinse le elezioni...».
Parole diverse da quelle degli altri leader Ue, che ancora una volta non erano sfuggite al primo ministro di Hamas, Ismail Haniyeh, che proprio ieri ha ringraziato il governo italiano per la sua posizione.
Queste parole di Haniyeh, assieme a un retroscena, spiegano perché l´ambasciatore Meir abbia deciso di varcare il suo Rubicone: quando la settimana scorsa D´Alema, a poche ore dall´attacco terroristico alla scuola rabbinica di Gerusalemme, aveva ripetuto lo stesso concetto, Meir aveva chiesto un appuntamento all´ambasciatore Cesare Ragaglini, direttore generale per il Medio Oriente. La sostanza della conversazione era stata questa: noi non capiamo più perché D´Alema, con tutti i problemi del governo Prodi, anche in campagna elettorale continui a insistere pubblicamente su Hamas, danneggiando le scelte politiche di Israele ma anche lo stesso Abu Mazen. Per Israele ogni dichiarazione a favore di Hamas rafforza una dirigenza «che per noi è estremista e non vuole nessun vero negoziato con Israele. Non capiamo perché D´Alema lo faccia, ma adesso inizia a crearci problemi e saremo costretti a reagire».
Ieri, dopo il ringraziamento di Haniyeh, l´ambasciatore Meir non si è consultato neppure con il suo ministero, ma ha alzato il telefono per parlare con una redattrice dell´Ansa. Dice Meir che «il fatto che il leader di quest´organizzazione terroristica (Haniyeh, ndr) si congratuli per queste posizioni (di D´Alema, ndr) non depone a favore di chi le sostiene. La pace si fa sì con il nemico, ma con un nemico che desidera la pace e la convivenza dell´uno accanto all´altro. La posizione di Hamas è nota e non è cambiata. Non sono disposti a riconoscere il diritto di Israele ad esistere e non sono neanche disposti a parlarci. I loro leader continuano ad invocare la distruzione dello Stato di Israele».
Alle parole di Meir ieri sera la Farnesina ha scelto di non reagire: l´ambasciatore Ragaglini è in missione in Marocco, D´Alema si è consultato con il suo staff e ha scelto di mantenere un basso profilo. Fonti della Farnesina precisano solo che di recente, prima della conferenza di Annapolis, anche ex consiglieri per la sicurezza Usa come Brezinzski e Scowcroft hanno suggerito a Israele di trattare con Hamas.

Dal CORRIERE della SERA, un'intervista a Gianni Vernetti

ROMA — «Non mi pare che Hamas oggi abbia voglia di dialogare. Persegue una soluzione militare del conflitto », dice Gianni Vernetti, sottosegretario agli Esteri. Adesso questo ex senatore della Margherita, attento da anni alle istanze di Israele, milita nello stesso partito di Massimo D'Alema, il titolare della Farnesina in genere più bendisposto verso quelle del mondo arabo, proveniente dai Democratici di sinistra. La constatazione è priva di accenti taglienti, non è un attacco personale. Ma sull'idea che il movimento fondamentalista islamico Hamas sia un interlocutore pronto per un negoziato neanche l'avvicinarsi del voto in Italia, e la comune appartenenza al Partito democratico, inducono Vernetti a rinunciare a valutazioni diverse da quelle del titolare della Farnesina.
Ismail Haniyeh, che da Gaza si definisce tuttora primo ministro palestinese nel governo di Hamas, ha apprezzato «particolarmente» le affermazioni del ministro D'Alema sulla necessità di negoziare con la sua formazione. Lei, da sottosegretario, si sente gratificato?
«Con Hamas, come con qualunque organizzazione che oggi è terroristica, non si può escludere in futuro di trattare», risponde Vernetti al
Corriere. Poi aggiunge: «Ma ovviamente ci sono tre condizioni che la comunità internazionale, l'Unione europea, l'Autorità nazionale palestinese (Anp) pongono ad Hamas ».
Può ricordarle?
«Riconoscere lo Stato di Israele, rinunciare al terrorismo, riconoscere gli accordi di Oslo siglati dall'Anp. Quando Hamas avrà accettato queste tre condizioni, allora si potrà parlare. Però ne aggiungerei una quarta».
Quale sarebbe l'altra condizione?
«Hamas attualmente detiene il giovanissimo caporale Gilad Shalit, rapito e sequestrato da un suo commando nel 2006. Lo liberi. Dopodiché si discute, non c'è dubbio. Questa è anche la posizione di Abu Mazen. Non mi pare che Hamas oggi abbia voglia di dialogare. Persegue una soluzione militare del conflitto».
D'Alema sostiene che il movimento fondamentalista islamico «controlla un pezzo importantissimo del territorio palestinese e se si vuole la pace bisogna coinvolgere chi rappresenta una parte importante del popolo palestinese». Non le sembra che il ministro pensi a tempi diversi da quelli dei quali parla lei?
«La penso come Abu Mazen e Salam Fayyad, presidente e primo ministro dell'Anp, i cui uomini sono stati torturati, uccisi e cacciati da Gaza dalle milizie di Hamas. Sono i primi a denunciare l'uso sproporzionato della forza di cui Hamas ha dato prova contro i loro dirigenti».
Nel rispondere a D'Alema, l'ambasciatore Gideon Meir, da rappresentante dei cittadini di Israele, ha detto che «chi invita a trattare con Hamas invita a negoziare sulle misure della nostra bara e sul numero di fiori da mettere nella corona. Quale effetto le fanno parole così?
«Credo che il rappresentante di un Paese democratico e amico, come è Israele, vada sempre ascoltato con grande attenzione».

Maurizio Caprara ipotizza un retroscena delle dichiarazioni di D'Alema. L'insistenza sul "dialogo" con Hamas risponderebbe a sollecitazioni egiziane.
Il Cairo vorrebbe ridurre l'influenza iraniana sulla Striscia. Ma come l'apertura di credito a un gruppo legato a doppio filo con Teheran, con cui condivide la medesima ideologia di odio verso Israele e di negazione del suo diritto all'esistenza, contribuirebbe a questo obiettivo,  non è dato capirlo
Ecco il testo:



ROMA — Invece di ricorrere a una delle abituali note ufficiose, definizione che scivola senza lasciar traccia sul grande pubblico e che tuttavia ha un peso per gli addetti ai lavori, la Farnesina ieri sera ha evitato di ribattere colpo su colpo, a voce alta, all'ambasciatore di Israele Gideon Meir. Non era facile, a caldo, rispondere in una maniera ufficiale che non peggiorasse i rapporti alla sua tesi secondo la quale negoziare con Hamas, come suggerisce il ministro degli Esteri Massimo D'Alema, equivale a trattare sulle misure delle bare e sui fiori da mettere nella corona per gli israeliani. Almeno nelle prime ore, nelle conversazioni informali con chi avesse chiesto delucidazioni senza timbri e sigilli D'Alema ha preferito far ricordare dalla diplomazia italiana una lettera a George W. Bush e a Condoleezza Rice pubblicata l'8 novembre dal New York Times.
Su Hamas, gli autori della lettera avevano scritto: «Crediamo che un dialogo schietto con l'organizzazione sia di gran lunga preferibile al suo isolamento: potrebbe essere condotto, per esempio, dagli inviati dell'Onu e del Quartetto sul Medio Oriente (Usa, Ue, Russia, Onu, ndr). Promuovere un cessate il fuoco tra Israele e Gaza potrebbe essere un buon punto di partenza».
Tra i firmatari c'era Brent Scowcroft, già consigliere per la sicurezza nazionale ai tempi di Bush padre presidente. Come a dire: a pensarla in maniera simile al ministro ci sono stati personaggi che hanno avuto un ruolo nelle politiche dell'Occidente, e non marginale.
Fonti della diplomazia italiana hanno sostenuto che l'idea di contatti con Hamas starebbe spuntando anche da parte di Israele. Tutto questo potrà dar vita a seguiti del contrasto, puntualizzazioni e anche note. Ma per capire come mai D'Alema dal 3 marzo davanti alla stampa estera sia tornato a ribadire la sua linea sull'esigenza di negoziare con Hamas, nonostante gli sia costata contrasti con Israele nel luglio 2007, conviene tener d'occhio che cosa si muove tra gli arabi, soprattutto in Egitto, o come certe affermazioni vengono interpretate alla Farnesina.
È dal Cairo che ai diplomatici italiani pare vengano sollecitazioni a favorire un dialogo con Hamas. La sensazione è che l'Iran stia cercando di aumentare la propria influenza su Gaza e che quindi vadano cercate strade adatte a produrre effetti diversi. Nei giorni scorsi al Cairo c'è stato Bobo Craxi, uno dei sottosegretari agli Esteri.
Nel portare una lettera di Giorgio Napolitano al presidente Hosni Mubarak a favore della scelta di Milano come sede per l'Expo 2015, Craxi ha parlato con il ministro degli Esteri Aboul Gheit, lo stesso che ieri si è prefisso pubblicamente una «tregua» tra Israele e palestinesi con «scambio di prigionieri» e «fine delle restrizioni ai valichi tra Israele e Gaza». «"Stiamo lavorando per riagguantare l'unità del mondo arabo", mi ha detto Gheit», riferisce Bobo Craxi. «Il dialogo è l'unico modo per staccare una Hamas buona da una cattiva, ammesso che una buona esista», aggiunge.

L'articolo di Umberto De Giovannengeli sui commenti dell'ambasciatore di Israele, è in realtà una lunga difesa di D'Alema.
Ecco il etsto:


«Chi ci invita ad aprire trattative con Hamas in effetti ci invita a negoziare sulle misure della nostra bara e sul numero dei fiori da mettere nella corona». Così l'ambasciatore israeliano a Roma Gideon Meir commenta l'invito del ministro degli Esteri Massimo D'Alema a coinvolgere Hamas nel negoziato per la pace in Medio Oriente. La polemica si fa rovente. «La pace - prosegue il diplomatico israeliano - si fa sì con il nemico, ma con un nemico che desidera la pace e la convivenza dell'uno accanto all'altro. La posizione di Hamas è nota e non è cambiata. Non sono disposti a riconoscere il diritto di Israele ad esistere e non sono neanche disposti a parlarci. I loro leader continuano ad invocare la distruzione dello Stato di Israele». «Gli inviti per un cessate il fuoco - dice ancora l'ambasciatore Meir - sono solo una fase del piano per completare il sogno di Hamas di distruggere lo Stato di Israele e di fondare uno Stato religioso fondamentalista musulmano tra il fiume Giordano e il Mediterraneo». «È un peccato - si è rammaricato l'ambasciatore - che durante il giorno di lutto per gli otto ragazzi che sono stati uccisi nella scuola rabbinica in Gerusalemme c'è chi invita ad un negoziato con barbari e assassini».
L’ambasciatore israeliano fa riferimento alle considerazioni formulate dal titolare della Farnesina in una intervista a SkyTG24: «Hamas controlla un pezzo importantissimo del territorio palestinese e se si vuole la pace bisogna coinvolgere chi rappresenta una parte importante del popolo palestinese. E poi, non dimentichiamoci mai che Hamas vinse le elezioni...», rileva D’Alema. D'altra parte, osserva ancora il vice premier, «con chi si negozia la pace? Con i nemici, con gli amici non c'è bisogno di negoziare». «Hamas - rimarca il capo della diplomazia italiana - non riconosce lo Stato d'Israele, tuttavia ha accettato l'iniziativa di pace araba che prevede che nel momento in cui si fa la pace con Israele, tutti gli arabi riconosceranno Israele». Alla domanda se c'è ancora speranza nel processo di pace avviatosi con la conferenza di Annapolis del novembre scorso, D'Alema risponde così: «La speranza ha sempre senso. Credo che la politica debba alimentarsi di speranze, di aspirazioni anche quando la situazione è difficile. I tempi che erano stati proposti ad Annapolis, cioè arrivare ad uno Stato palestinese prima della conclusione del mandato del presidente Bush, mi sembrano francamente non realistici, ma anche ad Annapolis non mi parevano realistici». Resta il fatto, annotano fonti della Farnesina, che da giorni autorevoli personalità politiche occidentali, in sintonia con quanto auspicato dal presidente dell’Anp, il moderato Abu Mazen, avevano sollecitato l’apertura di una trattativa, coinvolgente Hamas, per giungere ad un cessate-il-fuoco a Gaza e nel sud di Israele. Sollecitazioni tradotte in azione diplomatica «sotterranea» dallo stesso Dipartimento di Stato Usa; azione che non ha incontrato l’ostilità riservata invece alle parole di D’Alema

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