Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Tregua di fatto tra Hamas e Israele ? Di certo c'è solo che la disinformazione continua le cronache di Barbara Uglietti e Michele Giorgio
Testata:Avvenire - Il Manifesto Autore: Barbara Uglietti - Michele Giorgio Titolo: «Abu Mazen: «Sulla tregua intesa tra Israele e Hamas» - Hamas-Israele, scoppia la tregua di»
Apparente calma tra Israele e Hamas, ma, scrive Barbara Uglietti su AVVENIRE dell'11 marzo 2008, "la minima provocazione, dall’una o dall’altra parte, potrebbe, di nuovo, mettere a rischio tutto". "Provocazione" ? "Dall'una o dall'altra parte" ? La realtà, fino ad oggi, è stata ben diversa. Vi sono state le aggressioni di Hamas e le risposte di Israele. non "provocazioni" simmetriche.
Ecco il testo completo:
P er una volta le cose sembrano andare al contrario del solito: tensione a parole, calma di fatto. Da tre giorni non ci sono raid israeliani sulla Striscia e da tre giorni non piovono Qassam su sud dello Stato ebraico. Tre giorni: un tempo lunghissimo in quest’area di crisi, soprattutto dopo i 125 morti palestinesi dell’operazione Inverno caldo e le nove vittime della strage al collegio rabbinico di Gerusalemme Ovest. Un tempo sospeso, frutto di una serie di colloqui che si sono svolti durante il fine settimana in Egitto. Le autorità del Cairo sembrano decise ad assumersi un ruolo di primo piano nella mediazione tra israeliani e palestinesi. Un incarico cui, peraltro, sono costrette dalla delicata questione del valico di Rafah, l’unica “porta”, sul loro confine, tra la Striscia di Gaza controllata da Hamas e il resto del mondo (gli altri terminal sono controllati da Israele). Gli egiziani hanno accettato di aiutare i «fratelli palestinesi» e di contribuire alla soluzione della crisi anche grazie a cospicui fondi forniti dagli Stati Uniti (solo la settimana scorsa il segretario di Stato Usa Condoleezza Rice ha annunciato di aver svincolato 100 milioni di dollari da destinare al Cairo per la lotta contro il traffico di armi che passa per Rafah). Così, hanno predisposto un piano dettagliato, che sarebbe già stato approvato da Usa Ue. Il piano in sostanza prevede un accordo di cessate il fuoco, a Gaza e in Cisgiordania, in cambio della revoca dell’embargo israeliano imposto sulla Striscia. Ma non è una piattaforma esente da rischi, perché considera, tra l’altro, il rientro nella Striscia di funzionari dell’Anp (legati al Fatah, il partito rivale di Hamas) ai quali sarà affidato il controllo del valico. Ma che qualcosa si stia muovendo, e nell’interesse di tutte le parti, è evidente. Ai colloqui del Cairo ha partecipato Amos Gilad, responsabile del Dipartimento politica e sicurezza del ministero della Difesa israeliano, che ha avuto una serie di incontri con i mediatori egiziani. Ma in Egitto c’erano anche delegazioni di Hamas e della Jihad. E se anche non si può certo parlare di negoziati diretti tra Israele e Hamas, il risultato di questo lavoro diplomatico egiziano è tutto nella calma di fatto. Tra l’altro, è stato rimosso anche il blocco imposto da Israele alla Cisgiordania dopo l’attentato alla scuola Merkaz ha-Rav. Ufficialmente, le parti negano qualsiasi accordo. Il premier israeliano Ehud Olmert ha detto che «non c’è nessuna negoziazione, né diretta, né indiretta ». Mentre da Gaza il leader di Hamas, l’ex premier Ismail Haniyeh, con una nota scritta, si è limitato a far sapere che il movimento faciliterà gli sforzi dell’Egitto, auspicando che la «calma» possa allentare l’assedio della Striscia. Qualche ora prima, un suo portavoce, con una dichiarazione speculare a quella rilasciata mercoledì scorso da Olmert, aveva commentato: «Rileviamo che Israele non sta compiendo attacchi e quindi noi non abbiamo motivo di attaccare». Indirettamente sono arrivare anche altre conferme. La portavoce dell’ambasciata israeliana al Cairo, Shani Cooper ha detto che una mediazione sta avvenendo e non con l’Anp «perché con l’Anp già sono in corso contatti diretti». Quindi con Hamas, che pure non ha nominato. L’unico a parlare chiaramente di un accordo di principio tra Israele e Hamas su una tregua è stato Abu Mazen. «Un’intesa di massima c’è – ha assicurato il presidente palestinese – e potrebbe preludere a un accordo». Proprio Abu Mazen, la settimana scorsa, aveva posto la tregua come pregiudiziale per un riavvio dei colloqui. E nei prossimi giorni, hanno annunciato fonti del suo ufficio, i colloqui riprenderanno: il presidente vedrà Olmert a Gerusalemme. Passi nella direzione giusta. Ma sempre su un terreno minato: la minima provocazione, dall’una o dall’altra parte, potrebbe, di nuovo, mettere a rischio tutto.
Spudorato Michele Giorgio sul MANIFESTO. Il suo articolo comincia lamentando che Abu Mazen "ora deve ingoiare anche il negoziato indiretto, favorito dall'Egitto, in corso tra Israele e Hamas". Dopo mesi passati a denunciare il rifiuto di Israele di negoziare con Hamas, ora si passa alla denuncia della presunta trattativa indiretta. Giorgio passa poi a chiedersi "Perché Israele accetta solo ora una tregua che pure era stata avanzata da Hamas nelle settimane passate e che, solo in questi ultimi giorni, avrebbe potuto salvare circa 130 vite umane (tutte palestinesi tranne un civile e quattro soldati dello Stato ebraico)?" In realtà, Israele ha sempre detto che avrebbe cessato immediatamente ogni operazione militare, non appena Hamas avesse cessato i lanci di kassam. Il gruppo terrorista fondamentalista lo sapeva benissimo. Perché dunque interrompe solo adesso le sue aggressioni, dopo un crescendo che l'aveva portato a colpire sempre più in profondità il territorio israeliano ? Forse perché la deterrenza ha funzionato, almeno per ora ?
Ecco il testo completo:
Abu Mazen ora deve ingoiare anche il negoziato indiretto, favorito dall'Egitto, in corso tra Israele e Hamas. Il presidente palestinese, al quale Tel Aviv e Washington hanno intimato di non riappacificarsi con il movimento islamico vincitore delle elezioni del 2006 e che dallo scorso giugno controlla totalmente Gaza, ieri da Amman ha affermato che tra Hamas e lo Stato ebraico è in atto una tregua di fatto. «Sono in corso negoziati tra Hamas e israeliani per abbassare la tensione ed evitare nuovi omicidi mirati di esponenti islamici. Hamas - ha proseguito Abu Mazen - ha chiesto a Israele di non uccidere i suoi leader e quelli del Jihad islami». Ehud Olmert naturalmente ha smentito. «Non ci sono accordi né negoziati, diretti o indiretti con Hamas», ha affermato il premier israeliano, sostenuto dal ministro della difesa Ehud Barak. «Non c'è alcun accordo» ha ribadito Barak, aggiungendo però «non ci lamentiamo per ogni giorno di calma in più, ma se avremo necessità di agire, lo faremo». Poco dopo una fonte militare israeliana ha chiarito come stanno effettivamente le cose riferendo che Olmert ha ordinato all'esercito di fermare i raid aerei e le incursioni nella Striscia. Perché Israele accetta solo ora una tregua che pure era stata avanzata da Hamas nelle settimane passate e che, solo in questi ultimi giorni, avrebbe potuto salvare circa 130 vite umane (tutte palestinesi tranne un civile e quattro soldati dello Stato ebraico)? Una domanda alla quale Olmert e Barak non rispondono, trincerandosi dietro l'incerta smentita della trattativa con gli islamisti. Abu Mazen da parte sua non può che fare buon viso a cattivo gioco. Da un lato deve mostrarsi compiaciuto per un cessate il fuoco che, se rispettato, potrebbe ridurre in parte le sofferenze della sua gente a Gaza, dall'altro sa di essere stato bypassato e che la tregua rafforza l'immagine di Hamas tra i palestinesi di Gaza. Un altro boccone amaro. Una settimana fa Abu Mazen era stato messo in forte imbarazzo dall'annuncio fatto dal Segretario di stato Condoleezza Rice della ripresa immediata dei negoziati sospesi dopo i sanguinosi raid israeliani a Gaza. Appena un paio d'ore prima il presidente palestinese aveva confermato con tono perentorio l'interruzione dei colloqui. Difficile dare torto al negoziatore palestinese Yasser Abed Rabbo, che sostiene che «Israele fa del suo meglio per indebolire l'Anp», quando giungono notizie di nuove costruzioni di case per coloni nella Gerusalemme araba (Est) e in Cisgiordania. Lo Stato ebraico infatti ha annunciato l'intenzione di costruire 400 nuove case nell'insediamento colonico di Neve Yaakov, alla periferia di Gerusalemme Est, ricevendo le condanne sia del segretario generale dell'Onu Ban Ki-moon, sia del rappresentante della politica estera dell'Ue Javier Solana. Domenica era stato il ministro per l'edilizia, Zeev Boim, a comunicare che saranno costruiti centinaia di nuovi appartamenti nelle colonie di Givat Zeev e di Pisgat Zeev. Per inviare una e-mail alla redazione dell'Avvenire e del Manifesto cliccare sul link sottostante lettere@avvenire.it redazione@ilmanifesto.it