Come insinuare nei lettori la giustificazione dell'attentato alla scuola rabbinica ?
Per esempio presentandolo come conseguenza della "settimana di sangue a Gaza" (che a sua volta non ha nessun rapporto con i continui lanci di razzi kassam contro le città israeliane).
E' quanto fa Michele Giorgio nella sua cronaca pubblicata dal MANIFESTO:
Anticipato da una settimana di sangue a Gaza, in cui oltre cento palestinesi sono stati uccisi dall'esercito israeliano, l'attentato di ieri sera in un collegio rabbinico di Gerusalemme Ovest, in cui sono rimasti uccisi almeno otto studenti ebrei oltre all'attentatore palestinese, apre con ogni probabilità una nuova pericolosa fase del conflitto israelo-palestinese.
Una notte carica di tensione ha avvolto ieri sera Gerusalemme mentre i vertici politici e militari d'Israele discutevano le mosse da fare dopo l'attentato. Tutto lasciava pensare che l'obiettivo della rappresaglia sarà proprio Gaza e la leadership di Hamas. Proprio a Gaza la notizia dell'attacco armato è stata accolta con giubilo. Centinaia di persone sono scese in strada a festeggiare.
Un portavoce di Hamas, pur senza rivendicare l'attacco, ha detto che «questa è la risposta naturale contro l'aggressione sionista compiuta sul popolo palestinese». In tarda serata è giunta la notizia di un raid aereo nei pressi di Khan Yunis in cui sono stati uccisi quattro militanti del Jihad Islami. Al mattino, sempre a Gaza, era stato ucciso un soldato israeliano in un attacco palestinese.
L'attentato è avvenuto intorno alle 20.30 ora locale. Un palestinese travestito da studente religioso ebreo, si è infiltrato nel collegio rabbinico Merkaz ha- Rav di Kiryat Moshe, un quartiere della zona Ovest della città abitato in prevalenza da ortodossi. Ieri sera non erano note tutte le dinamiche dell'attentato ma secondo testimoni, il palestinese ha cominciato a sparare mentre era in corso una sessione di studio per l'inizio del mese ebraico di Adar. Molti giovani presenti colpiti dalle pallottole si sono accasciati a terra morti o feriti, poco dopo è stato ucciso il palestinese colpito a morte dal fuoco di uno studente armato. La sparatoria però non è terminata perché, stando ad alcune versioni, un secondo palestinese sarebbe riuscito a fuggire aprendosi la strada a colpi d'arma da fuoco e, ieri sera, la polizia era sulle sue tracce. Le scene successive sono state di dolore e sgomento per i familiari, mentre gli scampati all'attentato raccontavano la loro esperienza.
«Quella che si vede all'interno del collegio rabbinico è la scena di un vero e proprio massacro», ha raccontato un testimone oculare, «i muri sono schizzati di sangue, così anche i pavimenti, e i cadaveri sono sparsi nelle stanze e fra i corridoi». L'attacco sarebbe stato concentrato nella sala della biblioteca dove gli studenti sono stati sorpresi mentre leggevano testi sacri. Yitzhak Dadon, che ha aperto il fuoco sul palestinese, ha riferito di aver sparato «due colpi precisi, alla testa dell'attentatore». Per tutta la sera genitori e parenti sono rimasti fuori dal collegio rabbinico sperando di poter rivedere vivi i loro congiunti. Per molti di loro l'attesa si è tramutata in disperazione. In tarda serata un gruppo palestinese, «Brigate degli uomini liberi della Galilea-gruppo Imad Mughnieh», quindi apparentemente legato a Hezbollah, ha rivendicato l'attentato attraverso la televisione del movimento sciita che aveva giurato di vendicare il suo capo militare ucciso, probabilmente da Israele, a il mese scorso a Damasco.
Il commando ha scelto con cura il suo obiettivo, perché il Merkaz ha-Rav è considerato il principale seminario di Gerusalemme che si ispira al sionismo religioso. L'attentatore, un palestinese di Gerusalemme Est, doveva conoscerlo bene. Merkaz ha-Rav venne fondato dal rabbino Avraham Kook che, rompendo con l'ebraismo ortodosso contrario alla creazione dello Stato, aveva aderito al progetto sionista di fondare uno Stato ebraico in Palestina.
Nelle aule di Merkaz ha-Rav si e' forgiata la leadership di Gush Emunim, il movimento ideologico religioso di colonizzazione nei Territori palestinesi occupati nel 1967. In serata il presidente palestinese Abu Mazen ha condannato l'attacco mentre l'ambasciatore israeliano all'Onu ha chiesto la convocazione del Consiglio di Sicurezza. Il portavoce del ministero degli esteri israeliano ha comunicato che i negoziati non si interromperanno.
Un altro modo di sviare il lettore è presentare un centro di studi religiosi come il centro di un disegno politico fondamentalista, collegandolo all'"occupazione".
E' quanto fa Alberto Stabile su REPUBBLICA .
Nel sottotitolo scelto dalla redazione si legge anche "Il palestinese freddato dopo l'attacco".
Invece, come si legge nell'articolo, il terrorista è stato ucciso durante l'attacco. In questo modo è stato fermato e molte vite di innocenti sono state salvate.
Ecco il testo completo:
Hanno colpito il cuore del sionismo religioso, la fucina politica e spirituale da dove è scaturito il Movimento dei coloni. Un solo terrorista, originario dei quartieri arabi di Gerusalemme est, e a quanto pare già conosciuto dalla polizia, è riuscito a penetrare nella Yeshiva, o collegio rabbinico, Merkaz Harav, all?ingresso della città, e a fare una strage sparando raffiche di mitra sugli allievi dell?accademia talmudica. Prima di essere a sua volta ucciso da uno dei presenti, l?assalitore è riuscito a falciare otto studenti e a ferirne altri sette, alcuni in maniera grave.
In serata la televisione degli Hezbollah, da Beirut, ha attribuito la strage ad una sigla finora sconosciuta: le «Brigate degli uomini liberi della Galilea», gruppo di fuoco «Martire Imad Mughniyeh e martiri di Gaza». Al Manar non ha aggiunto alcun dettaglio sul profilo politico di questa fantomatica organizzazione né ha precisato le circostanze della rivendicazione.
Non è stato un assalto alla cieca culminato in una strage per caso, come talvolta è successo nella storia del conflitto. Chi ha pianificato quest?ennesimo bagno di sangue ha avuto ben presente il valore altamente simbolico della Yeshiva Merkaz Harav, quello che ha rappresentato e quello che rappresenta nella storia politica d?Israele, e ha sicuramente messo nel conto gli effetti che potranno derivare da una provocazione così sanguinosa.
Fondata dal rabbino Avraham Yitzhak HaCoen Kook nei primi anni 20 del secolo scorso, la Yeshiva Merkaz Harav è stata ed è non soltanto il punto di congiunzione tra nazionalismo e religione ma anche il crogiuolo da cui è nato il movimento del Gush Emunim, il «Blocco dei fedeli» che, a partire dalla guerra del 1967, ha guidato la colonizzazione dei Territori occupati. Tutti i più importanti dirigenti del movimento, i suoi leader politici e spirituali, hanno frequentato le aule di quest?accademia.
L?obiettivo, dunque, era la più prestigiosa istituzione dei coloni. Può sorprendere la facilità con cui il terrorista ? secondo la versione fornita dalla polizia ad agire è stato un solo assalitore, mentre un secondo potrebbe essere fuggito ? sia riuscito a penetrare in una delle Yeshiva più vigilate di Gerusalemme. Ma bisogna anche aggiungere che Merkaz Harav non è un luogo di clausura. Vi sono studenti che dormono nel Collegio ed altri che vanno soltanto per le sedute di lezione o per incontri, dibattiti, discussioni. Giovani che entrano e giovani che escono.
Ieri poi, era il primo giorno del mese ebraico di Adar, il mese di Purim, la festa più spensierata del calendario. Confuso in quel via vai, l?assassino è entrato attraverso l?ingresso principale riuscendo a passare inosservato sotto gli occhi della vigilanza. Non aveva bisogno di grandi travestimenti, perché i giovani di Merkaz Harav, e anche questo è un segno dell?innovazione introdotta da Rav Kook, rispetto ai più rigidi criteri dell?ebraismo ultraortodosso, vestono come vestono i giovani d?oggi e, unico segno di distinzione, sulla testa portano una kippà colorata e ricamata all?uncinetto.
Erano più o meno le otto di sera quando nel grande edificio di Kiryat Moshè, un quartiere religioso alle porte di Gerusalemme, sono risuonati gli spari. In quel momento, secondo la testimonianza di Yitzhak Dadon, lo studente che avrebbe poi sparato due colpi alla testa dell?assalitore, all?interno del collegio talmudico Si trovavano una settantina di studenti divisi tra l?aula principale (una cinquantina) e la biblioteca (una ventina). Chi studiava, chi parlava, chi pregava. Il terrorista non ha esitato, come qualche volta succede. Ha imbracciato il fucile mitragliatore e ha cominciato a sparare. «Ha sparato per dieci minuti, ha scaricato e caricato il mitra diverse volte. Centinaia di colpi», ha detto alla televisione israeliana Michael, un altro degli studenti presenti.
Un mattatoio. «Il sangue era sui muri e sul pavimento, per terra i feriti e i moribondi. Urla di dolore e di paura». Ma non solo. Molti studenti sionisti religiosi, specialmente quelli che vivono negli insediamenti, girano armati. Ne è seguita una sparatoria che è andata avanti per parecchi minuti, alla quale, oltre a Yitzhak Dadon, hanno partecipato anche un ufficiale dei paracadutisti che vive non lontano dalla Yeshiva e due poliziotti.
La notizia si sparge in un attimo. In un attimo la città ripiomba nell?atmosfera angosciosa della Seconda Intifada. Le sirene, i lampeggianti blu della polizia e quelli rossi delle ambulanze riempiono il buio. Un esercito sembra dirigersi verso Kiryat Moshè. Ma anche decine di genitori che vogliono sapere dei figli e centinaia di militanti religiosi che vogliono testimoniare la loro solidarietà. Fuori dai cancelli della Yeshiva c'è grande tensione. La polizia ha il suo bel da fare per respingere la ressa. Dolore e rabbia.
«Morte agli arabi», grida la folla. Più o meno negli stessi istanti a Gaza, la notizia della strage provoca una reazione esattamente opposta. Centinaia scendono in strada a festeggiare sparando raffiche di mitra in aria. «Il portavoce di Hamas elogia «l?eroica operazione», giustificandola come una risposta «al massacro sionista», presumibilmente l?operazione «inverno caldo» contro il nord della Striscia costata la vita a 116 palestinesi tra cui molti civili. Operazione lanciata per cercare di fermare i lanci di missili Kassam contro le città del Negev.
Un coro di condanne si leva dall?Occidente. Anche il presidente palestinese Abu Mazen si associa. Il governo israeliano fa sapere che i colloqui di pace scaturiti dalla Conferenza di Annapolis proseguiranno. Resta l?enigma della rivendicazione che sembra suggerire l'ipotesi di una vendetta degli Hezbollah. All?indomani dell?attentato a Mughniyeh, il leader politico del movimento sciita libanese, Sayyed Hassan Nasrallah ha accusato del delitto Israele ed ha minacciato una vendetta a tutto campo. Ma potrebbe anche trattarsi di un depistaggio. La polizia israeliana sta controllando l'autenticità della rivendicazione.
Le due tecniche ( presentare l'attentato come una "vendetta" per Gaza e come un attacco ai "coloni") sono unificate nell'editoriale di Vittorio Dell'Uva pubblicato dal MATTINO
Non ci sono muri che tengano quando il terrorismo chiama i suoi militanti a inseguire la vendetta. Gerusalemme ripiomba, a sera, nella cupa atmosfera dei primi quattro anni del terzo Millennio che costringeva a guardarsi alle spalle se si prendeva posto a bordo di un autobus o si frequentavano i fast-food dei giovani. Le «milizie di Allah» tornano nei luoghi da cui erano state tenute lontane e non soltanto per il ferreo controllo che Israele ha creduto per molti mesi di poter e sapere esercitare erigendo barriere. Il sangue che imbratta le mura del collegio rabbinico di Kyriat Moshe, alle porte di Gerusalemme, indica la fine di una tregua che nei fatti durava senza la stampella di esplicite formalizzazioni. Ma anche che il tiro si è fatto, d’improvviso, più alto. La violenza che, dopo più tentativi a raggiera, colpisce una istituzione religiosa ebraica e indirettamente l’emisfero dei coloni che la sostiene, non si affida soltanto al «martirio» del singolo mimetizzato tra la folla. È attraverso una tecnica militare, prerogativa del nemico israeliano che, piuttosto, si esprime. Da decenni non c’è nulla che in Medio Oriente accade per caso in una incontrollabile reazione a catena. Giorni fa Israele ha ritenuto, penetrando per alcuni chilometri nella striscia di Gaza, di poter neutralizzare le postazioni missilistiche con cui l’estremismo palestinese ha portato, con qualche intensità, la minaccia alle sue città di confine. L’operazione di «bonifica» non ha tardato ad assumere i connotati di una piccola guerra con 125 morti, centinaia di feriti e di molti già dimenticati senzatetto nel cuore di campi profughi dove già la sopravvivenza è un problema.
Molto è stato fatto pagare ai civili, bambini compresi fino ad evocare, da parte di un ministro israeliano, l’ipotesi di una Shoah di ritorno. Che una risposta sarebbe arrivata era fatale tra il riemergere, anche megli ambienti più moderati, di nostalgie per la vecchia intifada. Ai miliziani di Hamas e della Jihad che non trovano ragioni per imboccare la via del dialogo, era stata data una nuova ragione per morire. Sembrano infinitamente lontani in giorni in cui ad Annapolis, il presidente americano Gerorge W. Bush, ha cercato di darsi una mano di crema su molte crepe politiche, facendo intendere che entro la fine del 2008 la Terrasanta avrebbe finalmente ospitato due Stati sovrani. L’attivismo dei protagonisti «consacrati» alla pace e internazionalmente riconosciuti che avrebbe dovuto far marciare il volano del negoziato si è perduto nel limbo dei deboli, popolato dal premier israeliano Ehud Olmert e da Abu Mazen il presidente palestinese che sul territorio esercita un potere dimezzato. Per mesi, tra la moderata indignazione degli eredi di Arafat insediati a Ramallah e la incrollabile fede nella forza della leadership israeliana si è provato a ricondurre all’obbedienza la Striscia di Gaza calpestando più di un diritto con frontiere sbarrate e cibo, energia e medicinali negati. Quasi fosse possibile porre in un angolo l’estremismo attraverso la rivolta generata dalla disperazione dei poveri. Ma l’insurrezione, che pure c’è stata, non è apparsa del segno sperato. Anzi è stata guidata da Hamas che ha sottratto Gaza all’assedio facendo saltare la barriera di confine con l’Egitto riaprendo, tra ritrovati consensi, le vie del grano, della benzina e dei traffici senza i quali una società che non vive nelle caverne, non riesce più a sopravvivere. Nè è da escludere che attraverso quei varchi siano passate anche le armi e soprattutto qualche piccolo razzo di nuova generazione. Scandalizzano, nel giorno in cui la morte è stata riportata a Gerusalemme con un’azione terrorista, i fuochi di artificio che nei campi profughi di Gaza, hanno celebrato l’evento. Ma l’indignazione non deve fare da scudo ad una analisi cui Israele è chiamato: i cingoli dei carri armati raramente spianano le vie della pace.
Minimizzazione e disinformazione anche sui siti internet. Sul CORRIERE.IT alle 23.49, si poteva leggere di un attentato compiuto da un
estremista palestinese
"Estremista", non terrorista
Sempre sul CORRIERE.IT leggiamo:
Nelle strade vicine si sono assiepate migliaia di persone. Assenti invece il primo ministro Ehud Olmert e gli altri più importanti rappresentanti del governo, odiati per il dialogo con i palestinesi specialmente da questa parte più integralista del sionismo religioso che l'attentatore ha deciso deliberatamente di colpire"
Come faccia il CORRIERE a conoscere i motivi dell'assenza di Olmert non lo sappiamo. Da parte nostra riteniamo comunque che sarebbe stato più serio limitarsi a dare la notizia, senza un'interpretazione che è sicuramente dubbia.
Un lancio ANSA:
2008-03-06 21:35 |
Attentato a Gerusalemme, 10 i morti |
Immediato raid aereo su Gaza, uccisi 4 miliziani palestinesi |
In realtà il raid si è svolto separatamente, , contro terroristi palestinesi che lanciavano missili ,contro mentre a Gerusalemme i terroristi hanno colpito di sera. Meglio però contrapporre subito all'attentato la notizia della "rappresaglia" israeliana, anche ignorando i fatti e la loro sequenza temporale.
L' UNITA'.IT ha titolato
"Gerusalemme, blitz nel colleggio rabbinico: 10 morti"
Avremmo voluto leggere che l'attacco è stato una strage terroristica.
Un' altra modalità di disinformazione, ai limiti dello sberleffo, consiste nel presentare come "presunto" attentatore il palestinese che è morto mentre mentre ancora stava falciando con il kalashnikov gli alievi della scuola rabbinica.
In un articolo di REPUBBLICA a questo link:
http://www.repubblica.it/2008/01/sezioni/esteri/medio-oriente-39/arresti-e-funerali/arresti-e-funerali.html
possiamo leggere che l'attentatore era:
Ala Hisham Abu Dheim risiedeva a Gerusalemme est e dunque disponeva di una carta di identità israeliana che gli consentiva piena libertà di spostamento all'interno di tutto il territorio, senza doversi sottoporre a controlli di alcun genere.
Anche di fronte a questo fatto certo, però, REPUBBLICA è riuscita nella didascalia sotto la foto all'interno dell'articolo a scrivere:
Una foto di Ala Abu Dhein, il presunto autore dell'attentato alla scuola rabbinica
Presunto?
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