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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - Il Foglio Rassegna Stampa
06.03.2008 Il caso Geert Wilders e l'attacco del fondamentalismo islamico alla libertà
le analisi di Magdi Allam e Giulio Meotti

Testata:Corriere della Sera - Il Foglio
Autore: Magdi Allam - Giulio Meotti
Titolo: «Reazioni pretestuose e veri profanatori della religione - Wilders, un uomo invisibile»

Dal CORRIERE della SERA del 6 marzo 2008, un articolo di Magdi Allam:

Siamo proprio certi che sarà il film contro Maometto di Geert Wilders la causa scatenante di dure note di protesta, richiamo di ambasciatori, rotture diplomatiche, sanzioni economiche, aggressioni a persone ed edifici che simboleggiano la cristianità e la civiltà occidentale, fino al più efferato terrorismo che massacra indistintamente i «nemici dell'islam»? Non è forse già accaduto qualcosa di simile dopo la lectio magistralis di Benedetto XVI a Ratisbona il 12 settembre 2006?
Se dunque la reazione al film di Wilders, al discorso del Papa e alla scelta di Israele potrebbero risultare simili, pur trattandosi di eventi sostanzialmente diversi, significa che essi non sono la causa bensì soltanto il pretesto invocato per giustificare e legittimare un'ideologia di odio, intolleranza, violenza e morte. Che esiste a prescindere da questi eventi perché è un dato fisiologico e storico di un islam che non ha mai conosciuto la libertà e la democrazia. Che è pertanto sempre e comunque un fenomeno di natura aggressiva, anche se apparentemente si manifesta all'insorgere di sintomi esteriori.
Ecco perché sbaglia il premier olandese Jan Peter Balkenende quando incolpa sin d'ora Wilders per una guerra del terrorismo preannunciata: «Sanzioni economiche, attacchi, minacce. Chi porterà la responsabilità di tutto questo è lo stesso che ora sta creando le ragioni per tutto questo». Così come sbaglia il segretario generale della Nato, l'olandese Jaap de Hoop Scheffer quando dice: «Mi preoccupa il fatto che le truppe possano trovarsi sotto attacco a causa di un film». Ciò di cui dobbiamo preoccuparci tutti è esattamente l'opposto: la salvaguardia della nostra libertà d'espressione in un mondo globalizzato e la libertà di essere pienamente noi stessi a casa nostra, qui in Europa e in Occidente. Ebbene dobbiamo purtroppo prendere atto che questa nostra libertà è già compromessa, perché non siamo riusciti a sconfiggere il terrorismo dei tagliagola e stiamo subendo il ricatto del terrorismo dei taglialingua. Noi abbiamo il diritto e il dovere di affermare e di difendere una civiltà dove a un film si replica con un film, a un discorso si risponde con un discorso, a un evento culturale si reagisce con un evento culturale. Noi abbiamo il diritto e il dovere di tutelare uno stato di diritto dove al limite si può rappresentare la propria contestazione sporgendo denuncia in tribunale, ma mai e poi mai dichiarando una guerra diplomatica e terroristica.
Perché mai in tutto il mondo sono solo i musulmani che puntualmente reagiscono in modo brutale e violento, per una ragione o per un'altra, quando si sentono offesi? Forse che i musulmani si considerano superiori al resto dell'umanità e ritengono di potersi permettere un comportamento differente dai comuni mortali? Beh, se così fosse, tutti noi dobbiamo opporci con tutti i mezzi. Non possiamo in alcun modo sottometterci all'arbitrio e alle barbarie perché si tradurrebbe nel nostro suicidio come persone fiere e libere e nella morte della nostra nazione e della nostra civiltà. Non lo dobbiamo fare neanche sotto la minaccia pesantissima di un embargo petrolifero con il greggio a oltre 100 dollari a barile o della chiusura di mercati sempre più attraenti.
I veri profanatori dell'islam non sono Wilders, Benedetto XVI o Israele, così come non lo erano Theo van Gogh, Daniel Pearl e Oriana Fallaci. Lo sono invece gli stessi musulmani che disconoscono a tal punto la sacralità della vita da non esitare a massacrare altri musulmani facendosi esplodere anche nelle moschee, a costringere i cristiani a convertirsi con la violenza, a uccidere tutti gli ebrei e gli israeliani perché non avrebbero diritto ad esistere. Eppure l'Occidente continua a dialogare e legittimare i terroristi e i regimi nazi-islamici che li sostengono, al pari degli stati musulmani che boicottano e minacciano pur continuando a professarsi «moderati».
Se l'Occidente ha una colpa, ebbene è che è stato finora fin troppo accondiscendente e remissivo con gli estremisti e i terroristi islamici. Ecco perché dico «sì» al film di Wilders. Diffondiamolo in Internet in tutte le lingue in modo che possa essere visto e compreso da tutti ovunque nel mondo. Ma non auto-censuriamoci addirittura prima ancora che ci minaccino. Non arrendiamoci al diktat dei taglia-lingua prima ancora che facciano la loro comparsa i taglia-gola. Solo se sapremo difendere la nostra dignità come persone, potremo aver salva la nostra libertà come nazione e civiltà.

Da Il FOGLIO, un articolo di Giulio Meotti:

La paura. Come nel caso della giovane artista iraniana Sooreh Hera,
costretta a non esporre le proprie fotografie scandalose al Museo dell’Aia.
Come nel ritiro preventivo dell’opera teatrale “Aisha”, colpevole di
mostrare una delle mogli del Profeta. La paura, come nel caso del
cabarettista Ewout Jansen, colpito da un editto dei proconsoli del
fondamentalismo islamico. Come per il pittore musulmano Rachid Ben Ali, che
ha dovuto abbandonare di notte il proprio letto e riparare in albergo a
causa di gravi minacce di morte. Come quella che ha sfregiato il volto della
femminista Ebru Umar, secolarista di origine turca, aggredita vicino a casa
dopo che aveva rilevato la rubrica di Theo van Gogh sul quotidiano Metro. La
paura. La paura che ha costretto Ayaan Hirsi Ali a pubblicare “Infidel”
senza il nome del traduttore. La paura che insegue da tre anni il politico
olandese Geert Wilders, per ucciderlo.
E’ la paura che ha convinto il premier Jan Peter Balkenende a chiedere il
ritiro del film di Wilders sull’islam, “Fitna”, una parola araba vicina alla
nostra “sedizione”. Lo ha fatto sotto il peso di sanzioni economiche,
attacchi ad personam e minacce ai soldati olandesi impegnati in Afghanistan
e alle hostess della Klm che oggi temono di volare verso le città musulmane.
“Il governo può piegarsi e inchinarsi davanti all’islam, io non capitolerò”
ha detto Wilders, il leader del Partito per la Libertà che conta nove seggi
parlamentari, ma che potrebbe conquistarne almeno 15 se si votasse oggi
secondo recenti sondaggi. Anche le tre organizzazioni industriali olandesi
hanno chiesto che Wilders rinunci a diffondere il suo film. “Comporta grandi
rischi per le imprese olandesi e i loro dipendenti in un certo numero di
paesi”, hanno motivato.
La storia è questa. Un cortometraggio di quindici minuti non ancora
trasmesso, provocatorio nello stile e nel contenuto antislamista, ha
travolto la patria delle libertà con un’ondata di terrore e di
intimidazioni. E’ stata persino annullata la missione in Somalia del
ministro per lo sviluppo olandese Bert Koenders, dopo aver ricevuto “minacce
dirette” legate all’uscita del film di Wilders, minacciato di morte anche su
un sito Internet direttamente collegato ad al Qaida. La compagnia aerea
olandese Klm ha rifiutato d’imbarcare Wilders su un volo per Mosca, a causa
di non specificati “problemi di sicurezza”. Intanto 215 deputati iraniani
hanno approvato una risoluzione che afferma che “i mezzi d’informazione
danesi e olandesi sono sotto l’influenza dei sionisti usurpatori”.
Geert Wilders è l’uomo meno libero d’Olanda. E’ vivo soltanto grazie alla
protezione di sei guardie del corpo, è un fuggiasco condannato a morte dagli
islamisti e perseguitato sotto la brace della pax olandese. Wilders è
abituato a vivere alle pendici di un vulcano, la sua esistenza è
ritualizzata dall’ecatombe quotidiana della libertà. Il suo nome era in cima
alla lista di morte compilata da Mohammed Bouyeri prima che recidesse la
carotide di Theo van Gogh nel novembre 2004. Ex collega di Ayaan Hirsi Ali
nella formazione liberale, Wilders ha visto ceri votivi con sue foto deposti
sotto alcuni alberi in Olanda. La sua vita è segnata. Dopo la scoperta della
lettera di Bouyeri fu portato in una caserma militare. Il suo nome è stato
trovato fra alcune carte a Hebron e in Iraq. I siti islamisti offrono laute
ricompense, fra cui 72 vergini, a chi riuscirà a ucciderlo, meglio se
decapitato.
Il Parlamento lo ha persino ricollocato in una zona non visibile al pubblico
e un anno fa gli islamisti hanno tentato di assaltare l’edificio con bombe e
mitra. L’obiettivo è sempre lui. Il livello più atroce di quest’esistenza in
esilio Wilders lo ha toccato quando è stato costretto a vivere per molti
mesi nella prigione Kamp Zeist, nella cella accanto a quella dei terroristi
del Lockerbie. Di solito le minacce di morte arrivano via e-mail, altre dai
portali Internet, altre via video. Come questo: “E’ un nemico dell’islam,
deve essere decapitato”. E ancora: “Rinomineremo la Euromast (torre di
Rotterdam, ndr) nell’edificio per le esecuzioni con il sangue di Wilders”.
Oppure: “Hai cercato di disperdere l’islam, le spade sono affilate”.
La polizia ha arrestato un uomo in possesso di una bomba carica di chiodi,
diretta a Wilders, che ha lavorato come speechwriter per l’eurocommissario
Frits Bolkenstein prima di diventare il più scortato nemico dei “thugs
islamo-fascisti”, contro cui ha invocato un “jihad liberale”, compreso il
bando totale del burqa. Quando il livello d’allerta sale, Wilders non sa
dove passa la notte. Non usa telefono personale e per mesi ha visto la
moglie due volte alla settimana, in un appartamento sicuro del governo,
quando lo decideva sempre la polizia. Anche le penne vengono setacciate, in
cerca di ordigni, prima che varchino la porta dell’ufficio. A volte si
trovano biglietti come questo: “Nome: Wilders. Peccato: derisione dell’islam.
Punizione: decapitazione. Ricompensa: paradiso”. C’è chi lo ha ribattezzato
“l’uomo invisibile”. Molto prima della morte di Theo van Gogh, avvenuta il 2
novembre 2004, Wilders aveva ricevuto un video: l’invocazione ad Allah, un
mappamondo coperto da un Corano su cui si alzano un kalashnikov e un braccio
teso. “Colpevoli perché nemici dell’islam – recita una scritta in olandese –
Condannati alla decapitazione. Chi eseguirà la pena salirà in paradiso”. E
il suo nome.
La stampa europea lo liquida come un “nazionalista di estrema destra”,
persino un “fascista”. Tutt’altro, lui infatti querela se lo paragonano a
Jean Marie le Pen o Jorg Haider, “io sono un conservatore toquevilliano”
dice, Wilders è un misto eclettico di atlantismo reaganiano, libertarismo,
conservatorismo religioso, euroscetticismo e populismo. E’ molto più simile
a Pim Fortuyn, il politico omosessuale ucciso da un animalista. Nel 2007 gli
olandesi hanno scelto Wilders come “politico dell’anno”. Lui ha parlato
anche all’American Enterprise Institute, lo stesso pensatoio per il quale
lavora la dissidente somala Ayaan Hirsi Ali. E alla benemerita Freedom
House, non certo un’alcova per xenofobi e fanatici di destra. Cattolico
ammiratore di Israele, Wilders ama definirsi “liberal”, non ha niente a che
fare con “i fascisti”. E’ nato a sinistra Wilders, come lo era Theo van
Gogh, che in famiglia vantava dei Wilbaut, fra i fondatori del socialismo
olandese e della Resistenza antinazista. Uno zio di Van Gogh, anche lui di
nome Theo, era stato un dirigente della fraternità studentesca che si
rifiutò di aderire al nazismo. Aiutò molti ebrei a fuggire dal paese e fu
fucilato nel 1945 nelle dune del Mare del Nord.
“Sono felice di lavorare in Parlamento, ma quando lascio l’edificio non
posso andarmene a casa, non posso vedere gli amici e apparire in pubblico”
aveva detto al Foglio un anno fa. Una delle ultima minacce diceva: “Oh
infedele! Non pensare di essere al sicuro. Il tuo sangue scorrerà sulle
strade olandesi”. Quando va al cinema con la moglie, entrano da una porta
secondaria e prendono posto in sala quando il film è già iniziato. Poco
prima che riaccendano le luci se ne vanno. “Da quando i nostri Padri
fondatori trasformarono questa palude in un’oasi di tolleranza, con una
bandiera che in tutto il mondo rappresenta la libertà, quello stendardo
merita di essere librato in aria e in libertà”.
Sotto la testa in bronzo di Pim Fortuyn, a Rotterdam, sta scritto “loquendi
libertatem custodiamus”. La libertà di espressione per la quale è morto quel
bracconiere iconoclasta di Theo van Gogh e per cui sta rischiando ogni
giorno la vita un ariete libertario come Geert Wilders.

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