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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera Rassegna Stampa
03.03.2008 Una cronaca corretta su Gaza
Davide Frattini spiega l'escalation terroristica di Hamas

Testata: Corriere della Sera
Data: 03 marzo 2008
Pagina: 5
Autore: Davide Frattini
Titolo: «Razzi iraniani , bunker Hezbollah. Le nuove armi dei miliziani»
GAZA — Sono arrivati in due, hanno cominciato a scavare tra gli ulivi e gli alberi d'arancio. M. li ha osservati dalla finestra. Due buche profonde, nel suo campo. M. ha capito e ha deciso di non intervenire. Sei mesi fa suo fratello è stato ammazzato dagli israeliani, la vendetta per lui sarebbe arrivata dagli «agricoltori » di Hamas. «Sono due bunker — spiega —, due mini-stanze protette da un tetto di metallo o di legno. Uno ha un'apertura automatica, che funziona con il timer e un comando a distanza ». Dentro ci sono i frutti su cui il movimento fondamentalista ha investito tutti gli sforzi per far crescere il suo arsenale: razzi. Adesso i droni israeliani controllano quello che si muove tra le vie strette di Gaza e i bunker vengono riforniti meno spesso. Sono nel centro della città, tra i palazzi senza intonaco e le strade che ormai sono state riconquistate dalla sabbia. «I miliziani di Hamas — continua M. — comprano i piccoli campi in mezzo alle case o chiedono il permesso ai proprietari. Sanno che si potevano fidare di me, non ho voluto soldi». È la tecnica che i comandanti militari hanno imparato da Hezbollah. Import della guerriglia. I lancia-razzi possono essere attivati anche con un telefonino, la botola si apre, il cellulare squilla ed è come premere sul grilletto.
Ahmed Said Jaabari è considerato il capo di Stato maggiore delle forze palestinesi. È lui che ha studiato le lezioni della guerra in Libano di un anno e mezzo fa, è lui che ha spinto perché i missili diventassero la nuova arma strategica di Hamas. Come i Grad che hanno colpito Ahskelon. Hanno un raggio di 18 chilometri e sono più potenti dei Qassam, quelli che Riad Al Malki, ministro degli Esteri a Ramallah, ha chiamato con disprezzo «fuochi d'artificio». Un razzo Qassam contiene dai 5 ai 7 chili di esplosivo, gli «ingegneri» delle milizie hanno lavorato per produrre testate da venti. L'obiettivo è mettere sotto la minaccia dei bombardamenti città più a nord, Ashdod, Kiryat Gat, Kiryat Malakhi, a 30 chilometri dal centro della Striscia, ma anche Beer Sheva, nel Negev.
Il Grad che ha colpito Ashkelon all'inizio di gennaio — spiegano gli analisti israeliani — sarebbe un nuovo modello prodotto dall'Iran. Un missile-Lego che viene smontato in quattro pezzi, facile da contrabbandare attraverso i tunnel scavati sotto la sabbia del deserto di Rafah, al confine con l'Egitto.
Jaabari, 48 anni, è in cima alla lista dei ricercati. Riceverebbe istruzioni da Khaled Meshal, dirigente di Hamas che vive a Damasco, e risponderebbe solo a lui. Lo chiamano «il sovrano di Gaza», nessuno sa dove si nasconda. Ha tre mogli, una di loro è la figlia di Abdul Aziz Rantisi, il successore dello sceicco Yassin, tutt'e due uccisi dagli israeliani nel 2004. Il suo primogenito è sposato con la figlia di Salah Shehade, il fondatore delle Brigate Ezzedin Al Qassam. Un circolo ristretto di legami di sangue che in questi anni lo Shin Bet non è riuscito a penetrare.
Si nasconde lui e si nascondono i leader politici. Ismail Haniyeh, premier deposto da Abu Mazen, ha tenuto un discorso venerdì in moschea. Chi c'era racconta di averlo visto arrivare e risparire, senza capire da dove. Le guardie proteggono la casa nel campo rifugiati di Shati, come se dentro ci fosse qualcuno. I capi dell'organizzazione vogliono mostrare che il loro potere esiste ancora. Sul tetto del palazzo dove abita Mahmoud Zahar sventolano le bandiere verdi del movimento. Attorno è deserto. Le stesse bandiere accompagnano le decine di funerali che si muovono verso il cimitero centrale. Per la prima volta da mesi, mischiate con il giallo del Fatah: le fazioni rivali hanno ritrovato l'unità nello scontro con gli israeliani

lettere@corriere.it

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