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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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L'Unità - L'Opinione Rassegna Stampa
23.02.2008 Due interviste al sindaco di Sderot
quella di Nicola Seu serve a raccontare il dramma della cittadina bersagliata dai kassam, quella di Umberto De Giovannangeli a legittimare Hamas

Testata:L'Unità - L'Opinione
Autore: Umberto De Giovannageli - Nicola Seu
Titolo: «Io sindaco di Sderot dico:per difendere i cittadini tratterei anche con Hamas - Intervista a Eli Moyal / In Israele manca un piano contro il terrorismo»
Intervistando Ely Moyal, sindaco di Sderot, Umberto De Giovannangeli dell'UNITA' voleva sentirsi dire  da lui che sarebbe disposto a trattare con Hamas. Un modo di dare più forza alla tesi per la quale anche il governo israeliano dovrebbe farlo, e di difendere le posizioni della Farnesina, contrarie all'isolamento del gruppo terrorista.

L'intera intervista appare costruita per
ottenere questo scopo. Moyal farà di tutto per tutelare i suoi concittadini,  "Dietro quel «tutto» c’è anche l’apertura di un dialogo con Hamas?", chiede De Giovannangeli, e poi In passato lei ha rivelato di essere stato contattato da un intermediario israeliano allo scopo di ingaggiare negoziati con Hamas e di aver rifiutato. Ed ora?
Si deve notare che le risposte di Moyal sono positive, ma condizionate. E' pronto all'apertura del dialogo con Hamas "se questo può servire a migliorare la vita a Sderot [...]  Voglio dire ad Hamas, date spazio al cessate il fuoco, fermate il lancio dei Qassam per i prossimi dieci anni e vediamo cosa succede": quest'ultima frase coincide grosso modo con quella del governo israeliano: se cessassero i lanci di razzi kassam Hamas sa che cesserebbero immediatamente anche le risposte israeliane.
Si deve anche osservare che Moyal dice chiaramente di non volersi sostituire al governo:  
"È compito del governo mettere a punto un piano, non è certo mia intenzione sostituirmi a Olmert e a Barak…" dichiara chiaramente.
Nonostante questo il titolo «Io sindaco di Sderot dico: per difendere i cittadini
tratterei anche con Hamas» presenta la sua posizione come un appello politico al dialogo con Hamas, in implicita polemica con il governo.
E dire che, tra le parole di Moyal, non ne sarebbero mancate di significative, sulle quali costruire un titolo che inducesse alla riflessione i lettori dell'UNITA'.
Per esempio: 
In questa vicenda, le vittime siamo noi di Sderot, ma questa verità viene troppo spesso negata. Israele ha lasciato Gaza, lì non abbiamo più un insediamento né un soldato, il nostro unico desiderio è vivere in pace, ma la moneta con cui ci ripagano sono i missili sparati dai miliziani palestinesi addestrati dagli Hezbollah e finanziati dall’Iran.
"Le vittime siamo noi di Sderot", dice il sindaco della cittadina martoriata dai razzi kassam: un titolo impossibile da leggere sull'UNITA' ?

Ecco il testo completo:



In questi anni ha rappresentato il dolore, la rabbia, la speranza degli abitanti di Sderot. Sette anni trascorsi sotto l’incubo dei razzi Qassam palestinesi, oltre 7mila, che hanno bersagliato la città israeliana di cui lui, Ely Moyal, è sindaco. Un sindaco in trincea, e a Sderot non è una metafora. Moyal ha più volte criticato «la mancanza di una strategia da parte del governo nel debellare il terrorismo». Ma oggi dice: «Per me, come persona, la vita è la cosa più importante e sono pronto a fare di tutto per difenderla, anche a parlare con il diavolo. Anche se questo diavolo si chiama Hamas.
Sderot è divenuta il simbolo di un Paese condannato in trincea. Come si vive in questa condizione?
«Si vive con l’angoscia che ti accompagna in ogni attimo della giornata. Si vive con gli occhi rivolti al cielo e le orecchie bene attente a cogliere l’allarme rosso che dà i quindici secondi di tempo per ripararsi prima che il razzo cada su Sderot. Si vive vedendo crescere i propri bambini nel terrore, molti dei quali colpiti da traumi difficili da curare. Questa è la condizione di noi abitanti di Sderot. E all’angoscia si accompagna la frustrazione e la delusione. Frustrazione rispetto a un governo che aveva promesso di debellare il terrorismo, e il lancio dei razzi è invece aumentato, e delusione nel constatare che il mondo è molto attento alla sofferenza della popolazione di Gaza mentre sembra chiudere gli occhi di fronte a quella di oltre ventimila civili israeliani che di certo non hanno manifestato e praticato alcun atto ostile verso i palestinesi di Gaza. In questa vicenda, le vittime siamo noi di Sderot, ma questa verità viene troppo spesso negata. Israele ha lasciato Gaza, lì non abbiamo più un insediamento né un soldato, il nostro unico desiderio è vivere in pace, ma la moneta con cui ci ripagano sono i missili sparati dai miliziani palestinesi addestrati dagli Hezbollah e finanziati dall’Iran».
Come uscire fuori da questa angosciante situazione?
«È compito del governo mettere a punto un piano, non è certo mia intenzione sostituirmi a Olmert e a Barak… Forse un giorno perderemo la pazienza e i nostri valori e ci sarà un’invasione, se 20 bambini venissero uccisi da un razzo in una scuola materna, allora il governo dovrebbe reagire e perdere la sua etica. Se non vi saranno colloqui affonderemo sempre più nella guerra. Se non vi saranno colloqui si dovrà combattere. Ma per fermare i razzi sarebbe necessaria un’escalation militare al prezzo di persone innocenti uccise dalle due parti. Per quanto è nelle mie possibilità, farò di tutto per tutelare tutti i miei concittadini».
Dietro quel «tutto» c’è anche l’apertura di un dialogo con Hamas?
«Se questo può servire a migliorare la vita a Sderot, sì, sono pronto anche a questo. Voglio dire ad Hamas, date spazio al cessate il fuoco, fermate il lancio dei Qassam per i prossimi dieci anni e vediamo cosa succede. Per me la cosa più importante è la vita e sono pronto a fare ogni cosa per tutelarla. Sono pronto anche a negoziare con il diavolo».
Una settimana fa, quando un bambino di Sderot aveva perso una gamba a causa dell’esplosione di un razzo palestinese, lei aveva lanciato un appello per l’assassinio mirato della leadership di Hamas.
«Senta, chi vive ogni giorno con l’incubo di morire o veder morire i propri cari per colpa di quei maledetti razzi, chi è costretto a convivere con il terrore, cerca innanzitutto una via di uscita da questa devastante situazione. E se questa via di uscita necessita di negoziare con Hamas, dico che va praticata. Del resto, pare evidente che l’attuale governo non ha un piano per contrastare il terrorismo, ciò che fa è semplicemente reagire ai continui attacchi, ma questa non mi pare una strategia vincente. Certo non lo è per noi di Sderot».
In passato lei ha rivelato di essere stato contattato da un intermediario israeliano allo scopo di ingaggiare negoziati con Hamas e di aver rifiutato. Ed ora?
«Adesso credo che se me lo chiederanno di nuovo lo farò. Farò tutto quanto in mio potere per ottenere un incontro con Hamas».
Sderot è una cittadina di circa 20.000 abitanti ad una manciata di chilometri dalla striscia di Gaza. Il paesaggio è indubbiamente suggestivo. Campi aperti coltivati, poco traffico, aria pulita e apparente tranquillità. Fu proprio lì che la famiglia dell’ex-sindacalista Amir Peretz si stabilì subito dopo l’immigrazione dal Marocco quando era ancora una piccola città in via di sviluppo come tutto il sud d’Israele. Oggi purtroppo il nome di Sderot in Israele non evoca certo affascinanti panorami né possibilità lavorative. Da circa 7 anni essa è l’obiettivo principale dei lanci di razzi dalla Striscia di Gaza rendendo la vita praticamente impossibile agli abitanti. I morti sono un numero relativamente contenuto se si pensa che il numero il numero dei Qassam ha superato le 5000 unità dall’inizio della seconda Intifada ad oggi. Oramai i media israeliani sorvolano su questo triste fenomeno (a meno che non ci siano vittime) e un razzo che cade su Sderot merita solo un trafiletto sui giornali o poche linee sui quotidiani on-line. Eli Moyal è il sindaco di questa piccola e sfortunata città e, considerate le sue minacce di dimissioni e i continui attriti con il governo, non ha intenzione di sottostare a questo stato di cose. Non è stato semplice contattarlo. In questi giorni si trovava fra Gerusalemme e Tel Aviv oberato di impegni fra i quali, pare di capire, anche alcune riunioni per stanziare fondi per la ricostruzione dei tetti e delle case distrutte o danneggiate dai razzi palestinesi. Ci concede volentieri comunque qualche minuto del suo tempo per una intervista telefonica.

E' interessante confrontare l'uso strumentale fatta dall'UNITA' dell'intervista a Moyal con un'intervista corretta, quella di Nicola Seu, pubblicata da L'OPINIONE del 22 febbraio 2008:

Signor Sindaco, sono passati più di 2 anni e mezzo dal ritiro da Gaza. Quali erano le vostre aspettative prima del ritiro?
Noi eravamo contro il ritiro senza alcun dubbio. Verso aprile del 2005 (quando il piano per il ritiro era già stato approvato dalla Knesset) il primo ministro Sharon tentò di convincermi e mi promise addirittura che un ritiro da Gaza avrebbe fatto cessare il terrorismo islamico. E’ chiaro invece che la situazione è gravemente peggiorata. Il lancio di Qassam è aumentato dopo il ritiro e Hamas ha preso il potere. E’ stata una inutile e nociva operazione, questa è la nostra opinione su quanto il governo fece nell’agosto del 2005.

Quindi per la vostra città e stata una sciagura. Quale è lo stato d’animo attuale degli abitanti di Sderot?
Gli abitanti della nostra città si sentono meno sicuri, frustrati e delusi. Come ho detto prima il lancio di razzi è tutt’altro che diminuito e ciò ci frustra maggiormente perché abbiamo pagato un prezzo altissimo per niente. Subito dopo il ritiro dei nostri soldati e concittadini i palestinesi hanno distrutto i nostri templi, profanato i nostri cimiteri e il terrorismo continua ad essere un problema ancor più grave di quanto non lo fosse prima. Quando l’ex-capo del governo decise di lasciare Gaza gli dissi che si trattava di un errore clamoroso e benché aggiunsi che speravo di sbagliarmi ero ben poco fiducioso. Purtroppo i fatti mi hanno dato ragione.

Lei, tre mesi fa, si dimise per poi tornare in carica pochi giorni dopo a seguito di un colloquio con Olmert. Quali sono i rapporti fra lei e il governo?
Non possiamo certo dirci soddisfatti della sua politica. Il governo non fa quello che ci aspettiamo. E’ compito suo proteggerci e al momento non vediamo alcun miglioramento della nostra situazione, semmai le cose stanno peggiorando.

Il 17 gennaio il ministro della difesa Barack ha dato inizio ad una politica di forza piuttosto pesante per tentare di stroncare il lancio di razzi sul sud d’Israele. Ha avuto qualche effetto?
Come ho già detto non vediamo cambiamenti. Quello che sta facendo Barack non è parte di un disegno per combattere il terrorismo ma è semplicemente una reazione ai continui attacchi dei terroristi. Il problema è proprio questo. Quello che manca al governo israeliano è un piano, una strategia chiara per debellare il terrorismo internazionale, ci sembra che ancora non vogliano decidere di combattere il terrorismo in maniera risoluta. Vorrei specificare che non abbiamo nulla contro i Palestinesi, abbiamo lasciato Gaza, nessun civile o militare si trova nella striscia e non pensiamo di ritornarci. Abbiamo solo intenzione di vivere in pace ma non possiamo rimanere con le mani in mano di fronte alle aggressioni di Hamas e degli altri gruppi del terrorismo internazionale finanziati da Iran e Hezbollah.

Parliamo del futuro Quale deve essere secondo lei la ricetta da attuare per poter dare o restituire normalità alla vostra città?
Non posso consigliare il governo, non è il mio lavoro. Ciò che devo fare è chiedere aiuto e protezione dal governo e loro ci devono aiutare, devono trovare una soluzione. Stiamo aspettando da più di sette anni (inizio della secondo Intifada) e non scorgiamo vie d’uscita. E’ da troppo tempo che soffriamo in questa situazione e ci preoccupa constatare che il governo non abbia ancora un progetto chiaro e ben definito.

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