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15.02.2008
No alla sharia in Gran Bretagna
un articolo di Christopher Hitchens
Testata : Corriere della Sera
Data : 15 febbraio 2008
Pagina : 52
Autore : Christopher Hitchens
Titolo : «Quando si cede all'Islam uccidendo secoli di civiltà»
Dal CORRIERE della SERA del 15 febbraio 2008: N el dicembre del 1931, George Orwell si fece arrestare nei quartieri malfamati dell'Est londinese per scoprire quali fossero le condizioni «dietro le sbarre», e successivamente scrisse un saggio sulla gente conosciuta durante la detenzione. Tra costoro c'era il dipendente di un macellaio kasher che aveva intascato i soldi del padrone. Con grande sorpresa dello scrittore, l'uomo rivelò «che il suo datore di lavoro avrebbe avuto grane in sinagoga per averlo denunciato. Gli ebrei, a quanto pare, hanno i loro tribunali e a un ebreo non è consentito far causa a un correligionario, perlomeno in un caso di abuso di fiducia come questo, senza aver prima sottoposto la questione alla loro corte arbitrale ». Si potrebbe immaginare che tali residui del ghetto medievale, e dell'autorità rabbinica che governava la vita della comunità ebraica, fossero pressoché scomparsi nell'Inghilterra del ventunesimo secolo. E nella maggior parte dei casi difatti è così. Ma esiste ancora una «Beth Din», o tribunale religioso, nel ricco sobborgo di Finchley a nord di Londra, al quale gli ultra ortodossi sottopongono le loro dispute più cavillose. (Questo piccolo mondo è descritto con fine umorismo da Naomi Alderman nel suo curioso romanzo Disobedience). In termini generali, tuttavia, in Gran Bretagna gli ebrei si considerano, e vengono considerati, uguali a tutti gli altri cittadini davanti alla legge. Occorre ricordare solo alcune delle molteplici ragioni per cui si scatenerebbe un vero vespaio se questo concetto non fosse più valido? Di recente, però, l'arcivescovo di Canterbury, Rowan Williams, ha menzionato il Beth Din per giustificare la sua convinzione che la sharia, o legge islamica, può e deve entrare a far parte di quella che egli definisce la «giurisdizione pluralistica » della Gran Bretagna. Il suo ragionamento, se così si può definire, è chiaro: altre fedi hanno già le loro proprie autorità legali, allora perché negarle ai musulmani? Che cosa potrebbe esserci di più tollerante e favorevole alla diversità? Questo stesso argomento è già stato usato, e lo sarà ancora, per invocare che le leggi contro il «vilipendio della religione», all'origine emesse per proteggere la sensibilità dei cristiani, oggi vengano emendate, secondo criteri antidiscriminatori, per tutelare anche i musulmani. L'alternativa — eliminare cioè del tutto questo reato e lasciare che la sensibilità di ogni fede venga pure urtata, così come viene regolarmente offesa la sensibilità dei laici dalle intromissioni della religione — non è nemmeno passata per la mente all'arcivescovo e a quanti la pensano come lui. In un'intervista alla BBC, Williams ha sostenuto che un' apertura alla sharia servirebbe a incoraggiare «la coesione sociale». Se questa frase avesse un qualche barlume di senso, dovrebbe significare che una simile concessione scoraggerebbe il ricorso alla violenza da parte dei musulmani. Ma una proposta talmente aberrante non è l'unica definizione di coesione sociale a nostra disposizione. Per una incredibile coincidenza, un «pensatoio» londinese chiamato per l'appunto «Centro per la coesione sociale» ha pubblicato uno studio solo pochi giorni prima della capitolazione all'Islam da parte del leader mondiale della Chiesa anglicana ed episcopale. Con il titolo «Crimini della comunità: i delitti d'onore nel Regno Unito», e redatto da James Brandon e Salam Hafez, il documento rivela l'impressionante diffusione del crimine teocratico. Le voci principali riguardano i maltrattamenti e l'omicidio delle donne, la mutilazione genitale delle bambine, i matrimoni forzati, e le vessazioni utilizzate contro coloro che non si adeguano. La quarta voce dovrebbe causare le maggiori preoccupazioni, visto che quotidianamente vengono alla luce nuovi casi riguardanti le prime tre. Immaginate la vita di una ragazza di lingua urdu, proveniente dal Pakistan, che viene richiamata nello Yorkshire per andare in sposa a un uomo — molto probabilmente un cugino di primo grado — che non ha mai visto prima. L'uomo si impossessa della sua dote, la maltratta e maltratta i figli che la costringe ad avere. La giovane non può uscire di casa se non in compagnia di un parente maschio e se non coperta dalla testa ai piedi. Immaginate che questa ragazza sia in grado di contattare uno dei rarissimi gruppi di sostegno che oggi esistono in Gran Bretagna per le tante donne che condividono il medesimo destino. La donna dovrebbe poter dire, «Chiamate la polizia, fate rispettare la legge ». Ma spesso si sente rispondere: «Il tuo problema verrà risolto nel modo migliore all'interno della tua comunità». E pensare che quelle parole, quasi una condanna a morte, oggi sono state condivise e appoggiate — e persino invocate — dalla massima autorità spirituale ufficiale del Paese. Potreste ribattere che sto descrivendo un caso estremo (anche se, ahimé, assai comune), ma è il principio di uguaglianza davanti alla legge quello che più conta. E guardate con quanta leggerezza questo prete inglese dalla faccia di pecora butta al macero secoli interi di civiltà: «Un approccio alla legge che dice semplicemente esiste una legge che è valida per tutti, punto e basta, e qualunque altra vostra autorità morale o spirituale è completamente irrilevante davanti al tribunale, ecco, per me questo costituisce un pericolo ». Nel mezzo di tante sciocchezze ed eufemismi, la semplice affermazione — «esiste una legge che è valida per tutti, punto e basta» — brilla come un diamante su un mucchio di letame. Brilla appunto perché afferma con semplicità estrema la sua essenza e perché la sua grandezza è comprensibile a tutti. I suoi principi dovrebbero essere altrettanto comprensibili e accessibili anche a coloro che non conoscono ancora la lingua inglese, allo stesso modo in cui il grande Lord Mansfield decretò che nessun individuo poteva essere ridotto in schiavitù dal momento in cui posava piede sul suolo britannico, qualunque fosse la sua origine o condizione sociale. Più semplice di così… Per le donne, che sono le principali vittime del sistema della sharia, spesso l'inizio del calvario coincide con l'arrivo in Gran Bretagna. Questo dramma moderno oggi è stato aggravato e propagandato da un prete sciagurato il quale, a capo di una chiesa sempre più esangue, scismatica e irrilevante, continua a sostenere caparbio che è sempre meglio avere una fede qualunque che non averne nessuna. © Christopher Hitchens, distribuito da The New York Times Syndicate Traduzione di Rita BaldassarrePer inviare una e-mail alla redazione del Corriere della Sera cliccare sul link sottostante
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