Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Memoria della Shoah la proposta di Sarkozy, il commento di Gad Lerner, il confronto con le altre tragedie della storia
Testata:La Stampa - La Repubblica - Avvenire Autore: Domenico Quirico - Gad Lerner - Dino Boffo Titolo: «Sarkozy: ogni scolaro adotti un bimbo morto nella Shoah - La Shoah a scuola - Sono tanti gli stermini di cui fare memoria»
Da La STAMPA del 15 febbraio 2008:
Il presentimento al presidente l’ha dato certamente una canzone. Di Jean-Jacques Goldman, uno dei cantanti che ama di più, che con Carla Bruni ha tenuto regolari concerti per scopi benefici (e che della Première Dame è stato uno degli amori ufficiali). Il brano si intitola «Comme toi»; dà voce a un padre che racconta alla figlia la storia di una bambina come lei, inghiottita nei gironi infernali dell’Olocausto: «…si chiamava Sarah aveva appena otto anni / la sua vita era gioia sogni e nubi bianche / ma altri hanno deciso diversamente…». Così Sarkozy, ospite del Consiglio rappresentativo delle istituzioni ebraiche di Francia, ha annunciato un altro imperioso «desiderio»: «Ho chiesto al governo e al ministro dell’Educazione che, a partire dalla riapertura scolastica il prossimo autunno, a ciascun allievo della quarta elementare sia affidata la memoria di uno degli undicimila bambini francesi vittime della Shoah». Sarkozy ha poi fornito la spiegazione pedagogica: «Non c’è nulla di più intimo e di più emozionante per un bambino che la storia di un altro bambino della sua età». Nella sala dove era riunito il Crfi il presidente ha raccolto fitti e convinti applausi. Il presidente Richard Prasquier ha confermato: «Una decisione che risponde alla nostra preoccupazione di agire il più presto possibile sull’emergere di comportamenti antisemiti». Anche quest’anno in aumento allarmante. Sarkozy cercava consenso nella comunità ebraica, visto che si sono appannati gli entusiasmi che raccoglieva come candidato o ministro degli Interni. Li hanno svenati la visita di Gheddafi e le offerte nucleari fatte a molti Paesi arabi. Oltre che le manifestazioni di cattolicesimo e i progetti di modificare la legge sulla laicità del 1905 a cui la comunità è molto affezionata. L’annuncio ha fatto bufera tra i politici: ai consensi si sono opposte perplessità e critiche severe a tutte le latitudini, dall’ex premier Villepin ad alcuni socialisti. Fiutano in lui «atteggiamenti di predicatore e ora anche di istitutore, che si arroga il diritto di decidere che cosa è buono e qual è il modo di formare i bambini». Ma è tra gli insegnanti che il dovere della memoria riportato alle elementari crea seri biasimi. Sono già in freddo con lui per un’altra iniziativa clamorosa: la lettura obbligatoria nei licei della lettera alla madre del martire comunista della resistenza Guy Moquet, giudicata una «intrusione», un tentativo pericoloso di imporre e proporre una storia di Stato. Questa volta si domandano polemicamente se sia valutato l’impatto psicologico: «C’è il rischio che l’allievo ne ricavi un sentimento di colpevolezza per la sorte di un bambino di cui lui non è assolutamente responsabile», denuncia il sindacato maggioritario nella scuola elementare. Si critica anche che il presidente si ponga di nuovo sul terreno dell’emotività dopo l’episodio Guy Moquet: «Ogni volta che un avvenimento colpisce la attenzione di un uomo politico ci si sente autorizzati a rinviarlo alla scuola. Non sarebbe ora che si lasciasse fare agli insegnanti?». Il brontolio è arrivato al ministro dell’Educazione Darcos. Ha dettagliato la richiesta di Sarkozy: «Gli allievi dovranno condurre ciascuno una piccola inchiesta sulla famiglia, il contesto e le circostanze in cui il bambino ebreo è scomparso». Poi ha promesso: «L’idea forse è un po’ normativa, prometto di non mettere un poliziotto in ogni classe». Sullo sfondo ci sono i malumori per il ruolo che Sarkozy sembra assegnare alla religione, alle «radici cristiane», insomma per il presidente «crociato» dei discorsi in Vaticano e in Arabia Saudita. Davanti alla comunità ebraica lui non si è tirato indietro: «Nessuno vuole rimettere in gioco la laicità. Ma i nostri figli hanno il diritto di incontrare a un momento della loro formazione intellettuale ed umana religiosi che schiudano loro la spiritualità».
Un articolo di Gad Lerner da La REPUBBLICA :
La suggestiva, dolorosa adozione a distanza di ciascuno degli undicimila bambini ebrei francesi uccisi nella Shoah, raccomandata dal presidente Sarkozy a tutti gli alunni dell´ultimo anno di scuola primaria – a perpetuarne il nome e la tragedia – rivela quanto difficile sia la pedagogia della memoria. Pare quasi che nel mondo contemporaneo, per risvegliare i nostri sensi assopiti, dobbiamo andare in cerca dell´elettroshock. Un elettroshock garantito solo dalla personalizzazione, moltiplicando undicimila volte Anna Frank. O addirittura un milione e mezzo di volte, perché tanti furono i bambini sterminati in Europa dalla furia nazifascista. L´intento è nobile. Il presidente francese che già nel giorno del suo insediamento all´Eliseo rivolse il suo primo pensiero a Guy Moquet, giovane partigiano comunista condannato a morte, autore di una splendida lettera di commiato, sente il dovere di rappresentare una cultura patriottica fondata sui valori della Resistenza. Che differenza fra l´orgogliosa eredità gollista e il revisionismo minimizzatore della destra italiana! Eppure avvertiamo un senso di inadeguatezza in questa relazione con la memoria così personalizzata. Non tanto per gli effetti traumatici paventati dagli insegnanti. C´è dell´altro. La Shoah divenuta oggetto di fiction, messa al centro di innumerevoli opere narrative, viene scrutata sempre più da vicino nel tentativo di venire a capo del suo mistero che resta indecifrabile. Com´è potuto accadere un evento così mostruoso, enorme non solo per il numero delle vittime ma anche per la quantità di colpevoli, di complici, di indifferenti? Probabilmente non troveremo mai una risposta soddisfacente. E allora il bisogno di capire ci conduce dalla storia alla microstoria, degenerando perfino in una sorta di pornografia della Shoah. La Francia che propone ai suoi bambini l´adozione dei coetanei sterminati è il Paese che ha osannato come evento letterario un libro morboso come Le benevole di Jonathan Littell. Biografia incestuosa di un carnefice omosessuale, novecento pagine zeppe di ogni liquido e di ogni fetore, fantasie maniacali fin nel recondito delle fosse comuni e delle camere a gas. Avvertiamo il gusto del proibito. Una distanza abissale rispetto alla sobrietà del racconto di Primo Levi, elaborato come faticosa conquista di razionalità, trattenuto come forma di pudore. Sia detto per inciso: dubito che l´Einaudi di Primo Levi avrebbe pubblicato la traduzione italiana di Littell. Il rischio è la distorsione dell´effetto desiderato. Addirittura si instilla il dubbio di un privilegio castale, e questa sarebbe l´ennesima ingiustizia somministrata alle vittime. Ce ne siamo accorti anche con la pubblicazione online della lista di docenti ebrei e con il boicottaggio proposto alla letteratura israeliana. Serpeggia l´insinuazione della Shoah deformata come una sorta di ideologia privilegiata. Negli stessi giorni in cui la Torino democratica, giustamente, difendeva la scelta di invitare Israele alla Fiera del Libro, non è stata prestata l´attenzione dovuta alla spedizione punitiva contro un gruppo di cittadini rumeni. Col pericolo di instaurare una sproporzione fra memoria delle atrocità del passato e insensibilità per la xenofobia contemporanea. Quando vado nelle scuole a parlare in occasione della Giornata della Memoria, ripeto sempre che la lezione della storia deve tradursi in un interrogativo attuale: saremmo disposti a sopportare di nuovo la discriminazione e l´esclusione del diverso, prima ridotto a ospite ingrato e poi destinato all´eliminazione? La pedagogia della Shoah rappresenta uno strumento prezioso che deve adeguarsi alla novità del contesto multietnico. Suscitare interrogativi, promuovere comportamenti, indurre a mettersi sempre nei panni dell´altro. Altrimenti gli ottimi propositi di immedesimazione nella tragedia ebraica possono risultare controproducenti.
Una lettera ad AVVENIRE e la risposta del direttore.
Caro Direttore, sono d’accordo sul fatto che la shoah sia stata un grande dramma dell’umanità. Sono cattolico e amo i miei 'cugini' nella fede, gli ebrei. Però sono stanco di sentir parlare solo ed esclusivamente della shoa, come se la schiavitù dei negri d’Africa con le migliaia e migliaia di morti, non solo quelle fisiche, non sia stato un grande dramma dell’umanità. Sappiamo bene tutti che ha lasciato una danno quasi indelebile nelle società che l’hanno vissuto e non solo in queste. Penso per esempio alla prepotenza degli europei verso i pellerossa, i veri americani, con centinaia di villaggi saccheggiati e bruciati, e l’incalcolabile numero di indigeni morti per difendere la propria terra, la propria identità, la propria cultura, la propria famiglia. Sì, famiglia, perché la famiglia, manifestazione della tenerezza di Dio, cellula della società, non ha colore, razza e tempo. Penso, per esempio, anche all’apartheid in Sudafrica che è storia recente. Io leggo Avvenire sempre e mi piacerebbe che questi temi, e anche tanti altri, possano trovare il giusto spazio nella nostra vita, non per il gusto dell’orrore, ma per implorare da Dio, attraverso l’intercessione della Madonna, un tempo di pace per questo mondo che ha avuto una storia travagliata. E pace vera, non la mancanza di guerre. Giorgio Guizzi Brescia Spero lei potrà dare atto ad Avvenire, caro Guizzi, di prestare un’attenzione vigile a tutte le tragedie del nostro tempo. Siamo – e lo affermo senza tema di smentita – il quotidiano che più spesso di ogni altro 'apre' il giornale con le notizie che provengono da quell’Africa dove ancora si consumano genocidi e violenze efferate. Raccontiamo quanto succede, ne analizziamo le cause, cerchiamo di delineare gli scenari evolutivi. Per questo mi riesce difficile accettare, per quanto riguarda Avvenire, il rilievo di «parlare solo ed esclusivamente di Shoah». Non è davvero così. Detto questo mi pare del tutto ragionevole che, soprattutto a distanza di tempo, si mantenga un’attenzione maggiore per le vicende in cui il nostro coinvolgimento è maggiore, per la prossimità geografica o per le implicazioni religiose, politiche, culturali. Ed è indubitabile che tra tutte le tragedie che hanno colpito l’Europa, quella della persecuzione ebraica ad opera del nazismo, sia stata la più rilevante. Senza con ciò ridurre neppure di un’entità infinitesimale la gravità dei crimini del comunismo – staliniano e anche titino – o lo strazio del popolo armeno, lo sterminio ebraico ha colpito anche italiani che vivevano in ogni regione del nostro Paese, coinvolgendo e lacerando comunità. Ovunque si conservano memorie di eroismi e drammi, di persone deportate, di famiglie divise, di solidarietà coraggiose. Ma oltre a tutto ciò, dobbiamo continuare a farci interrogare da quell’'unicità' che si condensa nella scientificità della pianificazione e nello scrupolo tecnologico con cui lo sterminio è stato compiuto, un metodo che ha reso il male 'banale' per chi lo compiva (resta esemplare il racconto di Hannah Arendt del processo Eichmann). L’uomo, quello tedesco, erede della cultura umanistica più raffinata, è stato capace di una perversione tanto sconvolgente: la guardia va tenuta alta. Aiutandoci così a rimanere vigili anche in tutte le altre direzioni.