Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Hezbollah minaccia Israele e il Libano si divide: una piazza celebra Hariri, l’altra il terrorista Mughniyeh
Testata:Corriere della Sera - L'Opinione Autore: Davide Frattini - Antonio Ferrari - Dimitri Buffa Titolo: «La minaccia di Hezbollah «È guerra aperta a Israele» - I burattinai di Teheran - Libano, niente amore per San Valentino»
Dal CORRIERE della SERA del 15 febbraio 2008, la cronaca di Davide Frattini:
GERUSALEMME — I soldati israeliani tra le montagne a nord, al confine con il Libano, sono in allerta. E con loro i turisti che progettano una vacanza nel Sinai o in Thailandia. Il monito di Hassan Nasrallah riecheggia dagli schermi giganti a Beirut: «È guerra aperta». Tzipi Livni, ministro degli Esteri, scaccia l'intimidazione («viviamo sotto le minacce da sempre »). L'ufficio per il contro terrorismo avverte le ambasciate e chiunque possa andare all'estero: «State lontani dai bersagli o dai gruppi identificati come israeliani». Il governo di Ehud Olmert non ha reagito all'accusa del leader di Hezbollah, la strategia scelta dopo l'eliminazione di Imad Mughniyeh a Damasco è l'ambiguità. Nasrallah non ha dubbi: «Voi avete ucciso Imad fuori dal territorio naturale di guerra, voi avete valicato le frontiere. Il suo sangue contribuirà alla scomparsa dello Stato sionista. Se volete questo tipo di scontro, lo avrete». Il feretro di Mughniyeh è coperto dalla bandiera gialla del movimento sciita. Diecimila persone sono venute a celebrare il «martire». Manucher Mottaki, ministro degli Esteri iraniano, è arrivato con un messaggio del presidente Mahmoud Ahmadinejad, che attacca «le operazioni criminali» di Israele. Chi non può entrare nella grande sala allestita nel sud di Beirut, aspetta fuori sotto la pioggia. Come gli altri manifestanti, che dalla parte opposta della città, hanno ricordato Rafik Hariri, l'ex premier fatto saltare da un camion bomba tre anni fa. Il figlio Saad — guida la maggioranza parlamentare che sostiene il governo di Fuad Siniora — è circondato dai colori della bandiere libanesi. Rosso e bianco si rispecchiano nei copricapi dei leader religiosi drusi. Parla lui e parla Walid Jumblatt. Accusano la Siria di tenere ancora in ostaggio il Paese. «Noi vogliamo un presidente della Repubblica e vi assicuriamo che avremo un presidente», scandisce Hariri. La prossima sessione per eleggere il nuovo capo dello Stato è prevista per il 26 febbraio, dopo 14 rinvii. Michel Suleiman, capo di Stato maggiore e il candidato che potrebbe raccogliere più consensi, esclude che il Paese possa ricadere nella guerra civile. Avverte: «La crisi politica deve essere risolta al più presto, perché la bomba a orologeria continua a ticchettare». Il tic tac è scandito dall'opposizione, da Hezbollah e dagli altri partiti legati a Damasco. Ai funerali di Mughniyeh, Nasrallah ha tralasciato per un giorno il fronte interno. Il bersaglio è Israele. La guerra dell'estate del 2006 — minaccia — «non si è mai interrotta. Noi continuiamo a combattere. Non è in vigore alcun cessate il fuoco nel Sud». I commentatori israeliani hanno bilanciato pro e contro dell'autobomba che martedì ha staccato «la testa del serpente». L'«ingegnere» di Hezbollah era il capo dell'apparato clandestino, super ricercato anche dagli americani che gli avevano messo sulla testa una taglia da 5 milioni di dollari. «È improbabile che il Mossad vada a riscuotere il premio», ironizza un analista. Mughniyeh era l'uomo di collegamento con l'Iran. Che continua a muoversi per confermare il ruolo di potenza regionale. Ahmadinejad ha annunciato la prima visita in Iraq, il 2 di marzo.
Un breve commento di Antonio Ferrari:
Che l'Hezbollah libanese sia furibondo e minacci tremende vendette contro Israele, accusato di aver ucciso Imad Mugniyeh, era scontato. Ma ieri ha colpito la decisione del vertice iraniano di scendere in piazza a Beirut, dimostrando che Hezbollah ha a cuore soprattutto il cordone ombelicale con Teheran. Altrimenti non si spiegherebbe la presenza al funerale del ministro degli Esteri Mottaki. Ma altri manifestanti, riuniti poco lontano per ricordare l'omicidio dell'ex premier Hariri, si sono chiesti se Hezbollah sia ancora libanese o soltanto la testa di ponte iraniana sul Mediterraneo. Prospettiva che alla maggioranza dei libanesi proprio non piace.
Da L'OPINIONE, un articolo di Dimitri Buffa:
La giornata di San Valentino del 2008 verrà ricordata a lungo a Beirut. Metà paese commemorava, infatti, l’assassinio dell’ex premier Rafiq Hariri avvenuto proprio tre anni fa in questa stessa data. Ma l’altra metà celebrava a modo suo la figura di un capo terrorista come Imad Mughniyeh, ucciso martedì notte da un’autobomba a Damasco, a due passi dall’ambasciata iraniana e dalla sede del temibile Mukhabarat, il servizio segreto del regime di Assad. Sono i due volti del Libano odierno: metà con voglia di normalità e di trovare una pace con Israele, per adoperare le parole usate mercoledì pomeriggio dal leader druso Walid Jumblatt in un’intervista ad Al Jazeera, l’altra metà con il desiderio di continuare la guerra allo Stato ebraico in nome e per conto di Teheran attraverso la longa manus dei terroristi sciiti Hezbollah.
Uno scenario da guerra civile nel quale, ieri, centinaia di migliaia di persone sono scese in piazze potenzialmente contrapposte se non ostili. Così, in una Beirut superpresidiata, folle oceaniche si sono radunate a Piazza dei Martiri, nel centro della capitale, vicino al palazzo delle Nazioni Unite e sotto al Gran Serraglio, la sede del governo, per ricordare il terzo anniversario dall’uccisione dell’ex premier Rafiq Hariri, ucciso in un attentato a Beirut il 14 febbraio del 2005 insieme ad altre 22 persone. Sempre a Beirut, nella periferia sud, roccaforte di Hezbollah, molte altre migliaia di persone hanno sfilato per i funerali solenni del responsabile militare del Partito di Dio Imad Mughniyeh, ucciso nella notte di martedì a Damasco. Le misure di sicurezza per tutto il giorno sono state ai massimi livelli a Beirut e intorno alla città, con i soldati e i carri armati a presidiare ogni angolo della capitale. Scuole e università sono rimaste chiuse, così come molti negozi. La giornata di ieri , inoltre, è stata dichiarata festa nazionale dal governo, appunto per ricordare l’anniversario dall’assassinio di Hariri.
La maggior parte della gente ha in realtà preso parte al comizio di Saad Hariri, il figlio dell’ex premier assassinato. Che ha esordito dicendo che ci sono “entità ostili al Libano che lo vogliono uccidere”. Il giovane leader della corrente “al-Mustaqbal” (cioè “il futuro”) è stato accolto dalla piazza con un’ovazione. “Siete qui per chiedere la verità e la giustizia ed è giunto il tribunale internazionale che sta indagando - ha affermato Hariri junior - siete qui per dire ad alta voce: vogliamo un presidente per la repubblica e noi vi diciamo che ci sarà un presidente col permesso di Dio, lo avremo e non ci sarà nessun altro vertice arabo senza il presidente del Libano”. Hariri ha poi accusato l’opposizione e la Siria di aver tentato di assassinare i membri del governo e delle istituzioni, e ha ribadito la necessità di eleggere il capo dell’esercito, Michel Suleiman, alla presidenza della Repubblica. La gente, secondo l’agenzia AdnKronos, avrebbe invece fischiato quando Hariri, rivolgendosi ai militanti dell’opposizione, ha anche ricordato la figura di Imad Mughniyeh, definito “capo della resistenza ucciso dalla Siria”.
Anche in questo caso il messaggio di distensione verso Israele è apparso tanto chiaro quanto implicito. Così come quello mandato mercoledì da Walid Jumblatt tramite al Jazeera. A fare il gioco dell’Iran però c’è sempre il “lato B” del Libano, quello in mano a Nasrallah e agli Hezbollah, che ieri sono tornati a minacciare una nuova guerra contro Israele (“Il sangue di Imad Mughniyeh sarà la strada per eliminare Israele”). In effetti a volere credere che ad uccidere Mughniyeh sia stato il Mossad ci sono soprattutto quelli dell’altra piazza, che piangono il capo terrorista morto. Ma la logica milita contro i loro desiderata: per quanto abili i servizi israeliani possano essere, sembra molto difficile che un agente straniero sia riuscito a mettere una bomba dentro un’auto parcheggiata a metà strada tra l’ambasciata iraniana e la sede dei servizi segreti a Damasco. Più facile pensare all’ennesimo episodio di una faida tutta interna alla Siria e allo stesso Iran, in cui gli Hezbollah stanno recitando la parte del vaso di coccio in mezzo a quelli di ferro.
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