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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - La Repubblica - Il Manifesto Rassegna Stampa
14.02.2008 Chi teme le "amare conseguenze" della morte di Mughniye, chi non sa se era un terrorista o un "cavaliere senza macchia"
e chi vorrebbe difenderlo: "veniva accusato di tutto" da israeliani e americani. Rassegna di scorrettezze

Testata:La Stampa - La Repubblica - Il Manifesto
Autore: Mimmo Càndito - Alberto Stabile - Michele Giorgio
Titolo: «Da 30 anni al centro di tutte le trame - Colpo nel cuore di Damasco ucciso un capo degli Hezbollah - Ucciso a Damasco il numero due di Hezbollah Gli sciiti libanesi: è stato il Mossad, reagiremo»

Israele ha negato di essere responsabile dell'uccisione di Imad  Mughniye, ma Mimmo Càndito è in grado di riferire, non si sa basandosi su quale fonte, che

Nelle stanze del Metsada, la Divisione delle operazioni speciali al secondo piano dell’austero edificio che a Tel Aviv ospita il quartier generale del Mossad, l'altra notte si è fatta festa fino a tardi. La conferma che s'aspettava da tanto tempo era arrivata da Damasco, due ore prima, con due parole in codice: «Affare concluso». E allora, via alla festa.

Càndito risulta meno informato circa l'attentato al

 centro israeliano di Buenos Aires, 28 morti

Infatti, in realtà  l'attentato contro l'ambasciata israeliana fece 29 morti, mentre quello contro il centro ebraico di Buenos Aires ne fece 95 ( http://www.ynetnews.com/articles/0,7340,L-3506203,00.html )

L'articolo si conclude con questa considerazione:

Il commento del Dipartimento di stato Usa - «Con la morte di Mughniye il mondo è sicuramente migliore» - racconta solo una parte della realtà: aspettiamoci conseguenze amare.

Sostenere che futuri attentati terroristici di Hezbollah sarebbero "conseguenze" della morte di Mughniye significa dimenticare la guerra terroristica di Hezbollah contro Israele e contro l'Occidente, mai interrotta e motivata da una volontà distruttiva e aggressiva.
Chiunque abbia presente questa realtà, invece, non può che concludere che l'unica conseguenza della morte di Mughniye è proprio quella indicata dal Dipartimento di Stato americano: il mondo è migliore.

Ecco l'articolo completo, da La STAMPA del 14 febbraio 2008



Nelle stanze del Metsada, la Divisione delle operazioni speciali al secondo piano dell’austero edificio che a Tel Aviv ospita il quartier generale del Mossad, l'altra notte si è fatta festa fino a tardi. La conferma che s'aspettava da tanto tempo era arrivata da Damasco, due ore prima, con due parole in codice: «Affare concluso». E allora, via alla festa.
Le guerre silenziose dei servizi segreti si combattono nelle mosse d'una scacchiera segnata da mille intrighi, dove non ci sono mai testimoni né protagonisti; e tutto quel fitto dipanare di attacchi e di attese viene alla luce solo quando l'affare si conclude. Sono guerre lunghe, ci sono affari che richiedono anni di lavoro paziente e continuo, intercettazioni spossanti, appostamenti, talpe, pedinamenti mimetizzati. E non sempre finisce bene.
L'altra sera, invece, la preda inseguita da 15 anni si è infilata nella trappola, e con un clic schiacciato da un'auto parcheggiata vicino all'albergo, in fondo a quella strada dove c'è anche una caserma di polizia e la centrale dei servizi segreti siriani, con quel clic leggero l'affare si è concluso per sempre. Imad Fayez Mughniye, la sua guerra alla fine l'ha persa, ora il Mossad può spedire il suo dossier nella polvere dell'archivio.
In cima all’elenco
Per gli 007 di Tel Aviv è stata una grande vittoria, perché Mughniye era uno dei capofila nella lista dei super ricercati, una ventina, che nella rete mondiale del terrore contano molto. Un elenco condiviso con Cia e Fbi. Di Mughniye tracciava un profilo criminale affollato di accuse, attentati, cospirazioni, pirateria aerea, omicidi, sequestro di ostaggi. Quel profilo si chiudeva con un avvertimento: è pericoloso e armato. E offriva 5 milioni di dollari per ogni informazione che potesse portare alla cattura.
Nessuno sa se quei 5 milioni verranno pagati ma la storia militante di Mughniye li meritava tutti. Tanto che nel giro di quelli che danno la caccia ai boss del terrore c'è chi diceva che contasse più di Bin Laden. Non per il valore simbolico del suo ruolo piuttosto per quello reale, di comandante operativo delle forze militari di Hezbollah, quel Partito di Dio che da quando è nato, foraggiato dagli iraniani (ma paradossalmente sostenuto, agli inizi almeno, da Israele in funzione anti Arafat), ha non soltanto dinamitato il delicato equilibrio di etnie e fazioni religiose del Libano ma, soprattutto, ha inflitto a Israele le due uniche sconfitte della sua lunga guerra vittoriosa col mondo arabo. Quella che ha portato all'abbandono del controllo del Libano del Sud per lo stillicidio continuo di morti che Tzahal doveva subire, 10 anni fa. E due anni fa la sconfitta militare di quella guerra d'invasione lanciata per distruggere la capacità operativa degli hezbollahiyn e risoltasi, invece, con la dimostrazione che il Partito di Dio aveva mantenuto larga parte dei suoi arsenali.
I camion-bomba
La carriera guerrigliera di Mughniye è segnata da azioni militari che hanno avuto conseguenze politiche rilevanti. È attribuita a lui la responsabilità dell'attentato contro l'ambasciata Usa a Beirut nell'82 (60 morti) e del camion-bomba che ancora a Beirut squarciò nell’83 la difesa delle caserme delle forze Usa e francesi, uccidendo 300 soldati (dopo questi attentati gli americani si ritirarono dal Libano). Fa capo a lui l'attentato contro il centro israeliano di Buenos Aires, 28 morti e un immediato irrigidimento delle relazioni con l'Iran; fanno ancora capo a lui uno dei dossier che portano all'11 settembre e il sequestro dei due soldati israeliani nell'estate 2006, che scatenò l'invasione del Libano.
Il risultato letale della guerra silenziosa del Mossad ora apre prospettive destinate a insanguinare non solo la guerra non guerreggiata tra Israele e l'Iran ma anche il difficile equilibrio di un Libano incapace di trovarsi un presidente. Il commento del Dipartimento di stato Usa - «Con la morte di Mughniye il mondo è sicuramente migliore» - racconta solo una parte della realtà: aspettiamoci conseguenze amare.

Alberto Stabile su La REPUBBLICA  è neutrale tra due punti di vista su Mughniyeh

quello che per i suoi seguaci era un cavaliere senza macchia e senza paura impegnato da oltre vent'anni in una guerra impari contro Stati Uniti e Israele, ma che per questi ultimi era invece l'arciterrorista, l'esemplificazione a livello individuale dell'"asse del male"

I due attentati del 1994 all'ambasciata israeliana a Buenos Aires e all'AMIA (Asociación Mutual Israelita Argentina) diventano nell'articolo di Stabile un unico attentato a un  "Centro Argentina-Israele" (per cercare di mascherare con l'alibi dell'antisionismo il carattere chiaramente antisemita di una strage rivolta contro gli ebrei ?).

Ecco l'articolo completo:

BEIRUT - La notte di Beirut risuona di esplosioni. Gli Hezbollah piangono il loro comandante militare, Imad Mughniyeh, e ne esaltano il "martirio" sparando in aria raffiche di mitra. Il corpo di quello che per i suoi seguaci era un cavaliere senza macchia e senza paura impegnato da oltre vent´anni in una guerra impari contro Stati Uniti e Israele, ma che per quest´ultimi era invece l´arci-terrorista, l´esemplificazione a livello individuale dell´ "asse del male", è stato portato di gran carriera a Beirut dall´affollato quartiere di Damasco dove la sera di martedì è stato ridotto a brandelli da una bomba piazzata sotto il sedile della sua Toyota. Ed ora è qui, rinchiuso in una cassa di legno grezzo, coperta dal drappo giallo dell´Hezbollah, in una moschea-centro culturale di Dahyeh, il suburbio dove regnano gli sciiti, in attesa di essere trasferito a piazza dei Martiri dove, si prevede, riceverà oggi l´omaggio di una folla oceanica.
Per tutto il giorno la macchina propagandistica dell´Hezbollah ha macinato retorica e avvertimenti. Agli occhi del movimento che ha santificato il sacrificio personale facendone un fine politico in sé e un arma offensiva nella lotta senza quartiere contro «il nemico sionista», Imad ha raggiunto la vetta. Ha combattuto, ha lottato, ha ucciso ed ora «si è unito alla divine legioni d´onore dei martiri», dice la tv Al Manar, portavoce del Partito di Dio. Non per sua volontà, certo, ma su chi ha premuto il bottone, qui nessuno ha dei dubbi. La smentita ufficiale dell´ufficio del primo ministro israeliano, Ehud Olmert, che respinge i tentativi di «alcuni gruppi terroristici di attribuire ad Israele un coinvolgimento» nell´attentato, non viene neanche presa in considerazione. Invece, a domanda, il deputato membro del partito, Ismail Sukeyr taglia corto avvertendo che «il partito ha il diritto di vendicarsi ovunque nel mondo e nella maniera più opportuna».
Non c´è retorica, tuttavia, che possa attutire il colpo. Imad Mughniyeh, 45 anni secondo alcune fonti, 48 secondo altre, era il più capace, spietato, temerario ingegno del terrore di cui disponessero gli Hezbollah. La sua carriera di capo militare coincide con le operazioni più sanguinose mai compiute contro quello che il fronte islamico intransigente considera il mostro bicefalo, Stati Uniti e Israele. Dal sequestro, con successiva uccisione, del capo-stazione della Cia a Beirut, William Burckley, primi anni 80, all´attentato alla caserma dei marines (250 morti) nel 1983, alle bombe che hanno distrutto l´ambasciata israeliana a Buenos Aires e il centro Argentina-Israele (oltre 120 persone uccise) nel 1992 e nel 1994, all´incursione in territorio israeliano, culminata con il rapimento di due soldati di Tsahal e l´uccisione di altri tre, da cui è scaturita la guerra del luglio-agosto del 2006.
Nella mappa dell´organizzazione sciita, il cuore occulto, insondabile, misterioso è costituito dall´ala militare e l´uomo che ne dirigeva le azioni era Imad Mughniyeh. Parallelamente alla sua fama di terrorista imprendibile, cresceva la sua influenza politica. Mughnyeh viveva tra Beirut, Damasco e Teheran ovviamente circondato da un anello di sicurezza che per anni è risultato impenetrabile. Pare fosse direttamente in contatto con la guida suprema iraniana, l´ayatollah Khamenei, ma questo non deve stupire perché gli Hezbollah dipendono direttamente dalla vertice della gerarchia sciita. La sua uccisione non è dunque soltanto una sconfitta per gli Hezbollah ( i cui leader sono stati nel tempo sistematicamente eliminati dai servizi di sicurezza israeliani) ma anche un motivo d´imbarazzo per la Siria che l´ospitava e l´Iran che lo sosteneva. E da qui anche la condanna dell´attentato venuta da Damasco e le accuse di Teheran a Israele.
L´unico posto in cui Mughniyeh non si sentiva perfettamente a suo agio era la palude libanese, pullulante di agenti provocatori, di spie a doppio e triplo servizio. Per questo, dicono, si era sottoposto ad una plastica facciale, anche se il viso imbolsito e incorniciato in una barba sale e pepe che appare nella foto trasmessa da Al Manar non sembra davvero uscito dalle mani di un chirurgo. Eppure, due anni fa, nella sorpresa generale, era comparso a Tayr Debba, il villaggio quasi al confine con Israele da cui era partito 25 anni fa per arruolarsi nelle milizie del Fatah. Ma l´occasione era di quelle irrinunciabili: la morte della madre.
«In un modo o nell´altro è stata fatta giustizia», ha detto il portavoce del Dipartimento di Stato, McCormack. Ma senza volere sopravvalutare la personalità di Mughniyeh, è assai improbabile che l´attentato di Damasco rimanga un fatto a se stante. Oggi, in una Beirut dilaniata dalla mattanza dei suoi capi politici e militari e minata dal vuoto istituzionale, due folle tese, diffidenti, sospettose l´una dell´altra si affiancheranno a poca distanza: la folla degli Hezbollah, degli intransigenti, dei forzati della resistenza che si oppone alla maggioranza parlamentare del premier Fuad Siniora e quella del "futuro", della rivoluzione democratica, della patria ritrovata se mai è esistita che, dopo il sacrificio di Rafik Hariri, ha imposto la cacciata dei soldati siriani. Un´operazione mirata come quella contro il capo militare dell´Hezbollah, potrebbe scatenare un´onda d´urto potente. «Oggi siamo tutti Imad Mughnyeh», gridava ieri sera un giovane di Dahyeh, prima di cominciare ad arrampicarsi su un palo della luce per appendervi una bandiera a lutto.

Il povero "Mughniyeh veniva accusato di tutto da israeliani e americani"  scrive Michele Giorgio sul MANIFESTO : "del dirottamento del volo Twa Atene-Roma nel 1985, di rapimenti, dell'organizzazione dell'attentato del 1994 in un centro israeliano a Buenos Aires e persino degli attacchi dell'11 settembre."
"Per molti libanesi invece" prosegue il giornalista del quotidiano comunista,  Mughniyeh, "nato 46 anni fa nei pressi di Sidone, era un eroe della resistenza".
E che cosa è mai la "resistenza" di Hezbollah se non l'organizzazione di attentati terroristici contro Israele, contro gli ebrei e contro le democrazie occidentali ?
Ecco il testo completo:

Un nuovo preciso segnale dell'escalation militare che si annuncia in Medio Oriente è arrivato martedì sera a Damasco, dove un'autobomba ha ucciso Imad Mughniyeh, «capo di stato maggiore» di Hezbollah e, quindi, artefice del fallimento dell'offensiva militare israeliana nel Libano del sud nell'estate del 2006. Israele ieri ha negato un suo coinvolgimento - un'ammissione peraltro avrebbe automaticamente legittimato una ritorsione di Hezbollah - ma la logica porta a bussare all'uscio dello Stato ebraico. L'ipotesi più concreta, di fatto quasi l'unica, è proprio quella di un'operazione del Mossad, il servizio segreto israeliano, che eliminando il comandante militare del movimento sciita ha voluto ricomporre l'orgoglio nazionale caduto in frantumi durante l'offensiva del 2006. Ora anche Ehud Olmert potrà lucidare la sua immagine scolorita di leader senza consenso. Ma i segnali di guerra si fanno sempre più visibili e li hanno colti non solo i leader di Hezbollah, ma anche quelli di Siria e Iran che hanno immediatamente reagito lanciando ammonimenti a Tel Aviv. Contro Israele hanno puntato l'indice anche Hamas e le Brigate di al-Aqsa, il braccio armato di Fatah, il partito del presidente palestinese Abu Mazen. La soddisfazione era alle stelle ieri in Israele. Un ex capo del Mossad, Danny Yatom, ora deputato laburista, ha detto che Mughniyeh era un «terrorista pericoloso quanto Osama bin Laden» e che la sua uscita di scena «rappresenta un grande successo di intelligence». Il ministro Gideon Ezra, anch'egli ex comandante dei servizi di sicurezza, ha ricordato che Israele aveva «pagato a caro prezzo» le presunte attività di Mughniyeh e ha sottolineato che i suoi connazionali «sono felici per la scomparsa del terrorista». Silenzio invece da parte di Meir Dagan ma il capo del Mossad deve aver festeggiato alla grande una operazione compiuta ancora una volta nel cuore della Siria, già colta di sorpresa lo scorso settembre quando gli aerei israeliani colpirono un obiettivo rimasto misterioso ma descritto da Washington e Tel Aviv come una centrale nucleare siriana in costruzione. Non è escluso che all'organizzazione dell'autobomba che ha ucciso Mughniyeh abbiamo preso parte anche i servizi Usa. Il capo militare di Hezbollah infatti era ricercato da anni dagli americani che lo ritenevano coinvolto nell'attentato del 1982 contro la loro ambasciata a Beirut e in quelli del 1983 contro le caserme delle forze Usa e francesi nella capitale libanese in cui morirono oltre 300 soldati. Gli Stati Uniti perciò hanno salutato la morte di Imad Mughniyeh. «Il mondo è un posto migliore senza quest'uomo», ha commentato un portavoce del Dipartimento di Stato. Mughniyeh veniva accusato di tutto da israeliani e americani: del dirottamento del volo Twa Atene-Roma nel 1985, di rapimenti, dell'organizzazione dell'attentato del 1994 in un centro israeliano a Buenos Aires e persino degli attacchi dell'11 settembre. Per molti libanesi invece Mughniyeh, nato 46 anni fa nei pressi di Sidone, era un eroe della resistenza e ieri nei villaggi del sud del Libano migliaia di abitanti sono scesi in strada per protestare contro il suo assassinio e per chiedere vendetta. I suoi funerali si svolgeranno questo pomeriggio a Dahiyeh, la periferia sud di Beirut roccaforte di Hezbollah, ridotta in macerie in molti punti dai bombardamenti israeliani del 2006. Si prevede una partecipazione di decine di migliaia di libanesi tra cui, forse, anche il leader di Hezbollah, Hassan Nasrallah. Nelle stesse ore si terrà un'altra manifestazione organizzata nel centro di Beirut dalla maggioranza parlamentare filo-Usa, in occasione del terzo anniversario dell'attentato in cui rimase ucciso dell'ex premier Rafiq Hariri. La tensione nella capitale ieri era molto alta e le misure di sicurezza molto rigide, ma se i responsabili dell'uccisione di Mughniyeh credevano con la loro autobomba di poter far saltare, assieme al capo militare di Hezbollah, anche il coperchio della crisi interna libanese, allora hanno fallito il loro obiettivo. «L'assassinio di Mughniyeh è fatto gravissimo ma non acuirà il clima di scontro che si vive nel paese - ha detto al manifesto Hanadi Salman, caporedattrice del giornale progressista a-Safir - nessuno potrà alimentare la polemica ora che si è ripresentato alle porte del Libano il nemico esterno. La manifestazione per Hariri e i funerali di Mughniyeh passeranno senza incidenti e si leveranno invece voci a favore dell'unità del popolo libanese». Previsioni che hanno trovato una prima conferma nelle condoglianze che due avversari dichiarati di Hezbollah, il premier Fuad Siniora e il leader della maggioranza Saad Hariri (figlio di Rafiq), hanno presentato al movimento sciita. Nasrallah ha auspicato che «i libanesi si riuniscano dietro al sangue versato dalla resistenza contro Israele». Accusato dagli antisiriani di fare gli interessi di Damasco e Teheran, Nasrallah ha nelle mani una nuova occasione per riaffermare che la milizia di Hezbollah difende il Libano dalle aggressioni israeliane e respingere i piani di disarmo della resistenza di cui è diventato principale portavoce il leader druso Walid Jumblatt, secondo il quale non esisterebbero possibilità di «coesistere» col movimento sciita. Il destino di tutti i libanesi invece è proprio quello di coesistere e Jumblatt dovrà rassegnarsi ed accettarlo.

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