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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Il Giornale - L'Opinione - La Repubblica Rassegna Stampa
14.02.2008 Ucciso a Damasco Imad Mughniyeh, sanguinario terrorista di Hezbollah
le cronache di Gian Micalessin e Dimitri Buffa, l'analisi di Fiamma Nirenstein e un'intervista a Danny Yatom

Testata:Il Giornale - L'Opinione - La Repubblica
Autore: Gian Micalessin - Fiamma Nirenstein - la redazione - Dimitri Buffa
Titolo: «Ucciso a Damasco il Bin Laden di Hezbollah - Eora a Gerusalemme si teme che i due soldati rapiti siano morti - Un avvertimento per Siria e Iran -Molti paesi gli davano la caccia per il Mossad era come Bin Laden - Hanno ucciso il Bin Laden sciita»

Dal GIORNALE del 14 febbraio 2008, un articolo di Gian Micalessin:

Era il volto discreto del terrore. Il regista invisibile, maestro di stermini silenziosi. Alla metà degli Anni ottanta quando Osama Bin Laden è uno sconosciuto, il ventenne Imad Mughniyeh ha già raso al suolo l’ambasciata americana di Beirut, massacrato 250 marines americani, trasformato il Libano in una gigantesca trappola per ostaggi, umiliato i più agguerriti servizi segreti occidentali. Ma, Al Hajj Radwancome lo chiamavano i fedelissimi di Hezbollah, non concede un’intervista, non mostra il suo volto. Da un quarto di secolo tha’lab, la volpe, era un fantasma in fuga. Martedì notte la caccia è finita. Alle 10.45 Imad Mughniyeh si avvicina alla Pajero Mitsubishi parcheggiata a Kafar Soussa, un quartiere elegante di Damasco, a pochi passi da una centrale dei servizi segreti siriani. Non sospetta nulla. Siria e Iran sono il suo retroterra naturale, il santuario dove fuggire da Cia e Mossad. Non martedì sera. I suoi 45 anni di vita tumultuosa si chiudono in un giro di chiave. La bomba disintegra il sedile, proietta il corpo maciullato a qualche metro di distanza. Gli stupefatti abitanti di Kafar Soussa s’aggirano intorno a quel cadavere, scuotono la testa, rinunciano a capire. La agenzie battono la notizia anodina di unabomba e di uncadavere a Damasco. A squarciare il mistero ci pensa Al Manar, la televisione di Hezbollah, il Partito di Dio: «Il fratello comandante hajj Imad Mughniyeh è diventato martire per mano dei sionisti israeliani». La morte restituisce corporeità a un signore del terrore che il vicesegretario generale di Hezbollah, sceicco Naim Qasim, definiva «nulla di più di un nome». Nella menzogna c’era una briciola di verità. Di quel libanese nato nel 1962 non lontano da Tiro era svanito persino l’atto di nascita. Per attaccargli alla testa una taglia da 5 milioni di dollari l’Fbi era ricorsa a una evanescente foto dei primi anni Ottanta. Inseguirne le tracce era quasi impossibile. L’attentato alla caserma dei marines a Beirut del 23 ottobre 1983 (241 morti) è sicuramente opera sua, ma l’unica prova per un mandato di cattura contro di lui sono le impronte ritrovate nella toilette del volo Twa 847 dove - nel luglio 1985 - due dirottatori uccidono un sommozzatore dei corpi speciali americani. La volpe s’intrufola su quel volo parcheggiato su una pista dell’aeroporto di Beirut, dirige le trattative, sparisce prima dell’epilogo. La sua vita è del resto una continua sfida. A 16 anni entra in Forza 17, la guardia presidenziale di Arafat, si fa le ossa come cecchino e sulla linea verde di Beirut combattendo le milizie cristiane. Dopo la fuga di Arafat dalLibano passa alla nascente struttura di Hezbollah, si fa notare per freddezza e decisione dai pasdaran iraniani incaricati di selezionare comandanti e talenti naturali. Per Teheran organizza i rapimenti degli occidentali a Beirut, interroga e tortura l’agente della Cia William F. Bukley, vola a Parigi per offrire aMitterrand la liberazione degli ostaggi francesi in cambio della fine delle forniture militari a Saddam Hussein. Braccato da Cia e Mossad si trasferisce in Iran assieme moglie e figli. Nel ’92 e nel ’94 torna in scena, dall’altro capo del pianeta, per organizzare le stragi all’ambasciata israeliana e alla comunità ebraica di Buenos Aires. Il 21 dicembre ’94 a Beirut il Mossad gli uccide il fratello sperando di attirarlo in trappola, ma al funerale di Fuad Mughniyeh arrivano tutti all’infuori della preda più ambita.Nell’interminabile partita con il signore del terrore, Israele deve subire un primo rapimento di tre soldati sul confine libanese nell’ottobre del 2000. La replica di quell’azione messa a segno il 12 luglio 2006 con la cattura dei riservisti Ehud Goldwasser ed Eldad Regev innesca quaranta giorni di guerra durante i quali la potenza militare di Israele non riesce ad avere la meglio sulle milizie di Hezbollah. Ma alla fine lo scacco matto lo firma il Mossad. Israele ovviamente nega, ma da ieri ambasciate e potenziali obiettivi sono in allarme. La vendetta di Hezbollah, giurano tutti, non si farà attendere. Avuta notizia della morte del terrorista, il Dipartimento di Stato Usa ha commentato: «Ora il mondo è un posto migliore».

Un articolo, sempre di Micalessin, sulle preoccupazioni per la sorte dei soldati israeliani Ehud Goldwasser ed Eldad Regev, rapiti da Hezbollah:

Ma allora che fine hanno fatto Eldad Regev ed Ehud Goldwasser? Da ieri mattina un dubbio attanaglia gli analisti israeliani e gli esperti di sicurezza israeliani. Dietro il rapimento di quei due riservisti al confine Libanese che innescò i 43 giorni di guerra dell’estate 2006 non poteva che esserci la mano dell’imprendibile Imad Mughniyeh. Ma se il Mossad è andato a ucciderlo, se i cacciatori hanno deciso di chiudere la rete dove sono finiti gli ostaggi? E allora il sospetto peggiore incomincia ad affiorare. Forse, come già successe nel 2000 con i tre soldati rapiti in un altra zona della frontiera, la trattativa avrebbe finito con il restituire soltanto tre cadaveri
Dunque meglio sgomberare il campo, meglio farla finita con l’uomo considerato il terminale dei servizi segreti di Teheran, meglio recidere la testa di quel serpente sospettato di aver pianificato tutte le più sensazionali operazioni militari messe a segno dal Partito di Dio.
All’ipotesi più nefasta, quella che da per certa la fine dei due ostaggi potrebbe aggiungersi una di carattere strategico militare. I mentori iraniani di Hezbollah avevano appena messo a segno una ristrutturazione interna dell’organizzazione ridimensionando il potere decisionale del segretario generale Hasan Nasrallah, dimostratosi inefficace non solo sul piano militare, ma anche sul piano più strettamente interno della politica libanese.
Sulla base di queste considerazioni gli iraniani avevano trasformato Nasrallah in una sorta di leader di facciata trasferendo al fidato Mughniyeh la totale supervisione del movimento. Se il compito di un servizio segreto è colpire quando fa più male questo era dunque il momento più propizio per eliminare il signore del terrore. Viene ora innescata un altra corsa al potere tra il segretario generale Nasrallah e i suoi oppositori interni che rischia di immobilizzare l’organizzazione e ritardare quel riarmo e quella ripresa del controllo dei territori meridionali libanesi affidata proprio a Mughniyeh.
L’eliminazione del signore del terrore potrebbe secondariamente servire a rimandare una trattativa sugli ostaggi considerata, dal punto di vista cinicamente pragmatico di un servizio segreto, assolutamente inutile se lo scopo è solo quello di ottenere dei cadaveri.

L'analisi di Fiamma Nirenstein:

Se i sospetti degli hezbollah, degli iraniani e dei siriani che hanno accusato il Mossad dell’eliminazione di Imad Mughniyeh rispondono a verità, da questo momento Israele agli occhi di tutto il Medio Oriente ritorna a essere leone e volpe: la percezione del conflitto cambia dopo un periodo di depressione che parte dalla guerra in Libano nell’estate del 2006 e continua con i missili di Hamas su Sderot. Si è discusso a lungo della crisi di motivazione e di preparazione che avrebbe diminuito la capacità dello Stato ebraico di combattere un nemico sempre più aggressivo e fanatico.

Nasrallah si è vantato della «vittoria divina» concessagli su Israele. Adesso deve certo essere perplesso, e non è solo: Hamas che il 25 settembre 1997 nella mancata eliminazione di Khaled Mashaal, sempre a Damasco, udì uno squillo di tromba, si sta certo preoccupando. Israele può colpire anche i terroristi più importanti, se vuole. Mentre il governo israeliano nega ogni coinvolgimento («verifichiamo le circostanze di eventi di cui sentiamo parlare ora per la prima volta», ha detto Ehud Olmert),ed è realistico immaginare che il Mossad non richiederà all’Fbi i 5 milioni della taglia americana, circola fra la gente e i politici un senso di sollievo per la scomparsa dell’uomo che dagli anni Ottanta ha sfidato Israele, gli Usa, il mondo con rapimenti, stragi di massa, attentati kamikaze. Diabolica creatura della triangolazione Hezbollah-Iran-Siria, Mughniyeh era l’incarnazione stessa dell’asse del male. Chi lo ha eliminato ha lanciato un avvertimento anche a Iran e Siria.

L’ex presidente della Commissione esteri della Knesset, Yuval Steinitz, ha espresso così il sentimento di Gerusalemme: «Quando bastardi come Mughniyeh - le cui mani sono coperte del sangue di israeliani, americani, ebrei argentini - vanno “in un posto migliore” allora il mondo diventa davvero un posto migliore». «Non si tratta di vendetta, ma dell’idea che alla fine c’è una giustizia: chi fa del male, paghi», ha detto la sorella del rapito Beni Avraham. «Avrebbe causato ancora tanto spargimento di sangue innocente», ha aggiunto Dany Yatom ex capo del Mossad. Le ragioni per cui la scomparsa di Mughniyeh cambia il gioco sono molteplici: sia l’Iran che la Siria sono ormai sicuri di poter bruciare Israele e il Libano nel terrore senza riportare ferite. Il fatto che Damasco non possa prevenire un attacco del genere dimostra una capacità di infiltrazione dei servizi segreti fin nei gangli della vita degli hezbollah e, quindi, sia della Siria che dell’Iran.

Da La REPUBBLICA un' intervista a Danny Yatom capo del Mossad dal 1996 al 1998, attualmente deputato laburista:

GERUSALEMME - «Imad Mughniyeh era un assassino e un terrorista, che ha diretto l´apparato degli attentati del Hezbollah. Mughniyeh è stato al comando delle operazioni speciali e ha diretto l´apparato degli attentati all´estero di Hezbollah. In tutti gli attacchi di Hezbollah, da Buenos Aires [l´ambasciata israeliana nel 1992 e la sede delle organizzazioni ebraiche AMIA, 1994, n.d.t.] ad ogni altra parte del mondo, Imad Mughniyeh è stato coinvolto personalmente, sia nella fase della programmazione e della preparazione delle cellule terroristiche, sia nella fase dell´esecuzione e dell´esplosione». È quanto ha detto il generale Danny Yatom, capo del Mossad dal 1996 al 1998, attualmente deputato laburista, in una intervista alla Radio israeliana di Stato [Reshet Beth].
Alla fine, però, Hezbollah gli troverà un sostituto.
«Tutti possiamo essere sostituiti ed anche Imad Mughniyeh avrà un sostituto, ma non c´è dubbio che questo fatto sia un grave colpo per il morale e il senso di sicurezza dei Hezbollah, poiché chi ha raggiunto Mughniyeh può arrivare a ciascuno dei capi del Hezbollah. Inoltre si tratta di un grave colpo per le capacità operative dell´organizzazione, ci vorrà del tempo prima che qualcun altro possa avere l´esperienza che Imad Mughniyeh aveva accumulato nel corso degli anni».
È stato nel mirino di Israele per molti anni?
«Non era solo nel mirino di Israele. Era nel mirino degli americani e di molti altri organi di intelligence. Fino a ieri era uno dei terroristi più ricercati del mondo».
Secondo lei, adesso Hezbollah si prenderà una tregua per riorganizzarsi oppure proverà a vendicarsi immediatamente, supponendo che Israele sia responsabile dell´uccisione di Mughniyeh?
«Prima di tutto, Hezbollah può supporre sia che Israele sia dietro l´eliminazione di Mughniyeh, sia che ci sia qualcun altro. Ovviamente gli sarà più facile accusare Israele ed ho già visto che ci sono esponenti di Hezbollah che lo incolpano. Non si tratta solo di un grave colpo per Hezbollah, è anche un colpo per l´Iran, poiché Mughniyeh era il trait d´union operativo. Per cui ritengo che con l´aiuto e l´incoraggiamento iraniani, Hezbollah sia interessato a vendicare la morte di Mughniyeh».
Quanti terroristi del livello di Mughniyeh sono ricercati oggi nel mondo?
«Non ce ne sono molti. Si possono contare sulle dita di una mano o al massimo due. Era fra i più ricercati, al livello di Osama bin Laden e Ayman el Zawahiri».
Quindi chi è riuscito a colpirlo ieri sera a Damasco ha fatto un buon lavoro?
«Certamente. Ma non conosco i particolari, ovviamente. Non deve essere stato facile. Mughniyeh si nascondeva. Questo significa, in primo luogo, che si tratta di un grosso successo. Qualcuno è riuscito a penetrare nel cuore stesso dell´organizzazione»
Questo forse spaventa un po´ i membri del Hezbollah, che è un´organizzazione molto chiusa e di difficile penetrazione. Anche Damasco non è esattamente un luogo aperto a tutti.
Verissimo. E´ per questo che dico che si tratta di un grossissimo successo di coloro che operano contro il terrorismo e chi l´ha fatto è riuscito a realizzare un´operazione molto complessa e difficile.
Lei ha un´idea di chi l´abbia compiuta?
«Io ero nella palestra della Knesset».

Da L'OPINIONE un articolo di Dimitri Buffa

Era ricercato dalle polizie anti-terroirsmo islamico di mezzo mondo. Era considerato l’ “uomo che aveva ucciso più americani prima dell’11 settembre”. Era stato ribattezzato “il Bin Laden degli sciiti”. Era un leader militare degli Hezbollah e il referente del regime iraniano per le operazioni di terrorismo all’estero. Adesso Imad Mughniyeh ha seguito il destino delle innumerevoli vittime da lui provocate in questi ultimi venti anni ed è morto per un’autobomba esplosa nel pieno centro di Damasco, martedì notte a due passi dalla sede del “Mukhabarat” siriano (i temibili servizi segreti di Damasco, ndr) proprio nel giorno in cui cade il terzo anniversario dell’omicidio di Rafiq Hariri. Gli uomini di Hassan Nasrallah adesso accusano Israele. Che, come gli Stati Uniti, aveva ottimi motivi per volerlo morto. Mughniyeh infatti era in cima alla lista dei ricercati dell’Interpol per gli attentati al centro culturale ebraico Amia di Buenos Aires in Argentina, evento in cui morirono circa cento persone. Ma, fino al pomeriggio di mercoledì, lo Stato ebraico ha negato che la morte di questo super-capo terrorista fosse da attribuirsi a un’azione di intelligence.

E non è affatto impossibile, peraltro, che il suo omicidio sia da attribuirsi alla guerra tra fazioni in atto sul territorio libanese e siriano da ormai quattro anni. L’esplosione dell’autobomba sarebbe avvenuta nel quartiere residenziale Kafar Souseh della capitale siriana, vicino a una scuola iraniana, una stazione di polizia e uno dei principali uffici dei servizi segreti siriani. Cosa che fa pensare più a un’esecuzione interna al mondo del terrorismo islamico che a un’azione di Israele. Sia come sia, a questo signore sono stati attribuiti una sfilza di attentati, quasi tutti compiuti in Libano, e qualcun altro anche in differenti zone calde del mondo. Il suo curriculum di terrorista inizia nell’aprile del 1983 con un attentato contro l’ambasciata americana in Libano, dove saranno uccisi 63 americani. Poi ha fatto esplodere la sede dei marine di Beirut, uccidendo altri 241 militari statunitensi, e infine, quello stesso tragico anno, ha colpito il campo militare dei soldati francesi nella Bekaa uccidendone 58.

Per un po’ scompare dalla circolazione e poi riappare negli anni ‘90 in Sud America: è infatti ritenuto responsabile dell’attentato compiuto a Buenos Aires nel 1994 contro la succitata associazione ebraica di beneficenza Amia, in cui sono morte circa 100 persone, ed è sospettato di aver partecipato all’attentato di Al-Khobar in Arabia Saudita, nel 1996, in cui sono morti altri 19 militari americani. Anche per questo il suo nome figura nella lista dei maggiori ricercati stilata dall’Fbi, poco sotto quello di Osama bin Laden, con una taglia di cinque milioni di dollari sul suo capo. Taglia che oggi qualcuno potrebbe avere incassato. L’intelligence americana lo sospetta anche di avere avuto un ruolo dopo l’11 settembre nel fare fuggire alcuni dirigenti di spicco di al-Qaeda dall’Afghanistan all’Iraq attraverso l’Iran. Paese in cui Mughniyeh ha goduto di importanti relazioni, essendo stato legato alle Guardie della Rivoluzione iraniana. Tra le persone portate a Teheran si sospetta che ci siano anche il figlio di Osama Bin Laden, Saad, e Muhammad Islamboli, fratello di Khaled Islamboli, uno degli autori materiali dell’omicidio del presidente egiziano Anwar al Sadat nel 1981.

Tra i commenti a caldo raccolti dalle agenzie di stampa dopo l’attentato spicca per la propria entusiastica schiettezza quello dell’ex responsabile del Mossad, Danny Yatom. Che ha definito l’uccisione di Mughniyeh “un gran risultato nella lotta del mondo libero contro il terrorismo, essendo stato Mughniyeh, uno dei maggiori e più crudeli terroristi di tutti i tempi”. “Da tempo – ha detto l’ex direttore del Mossad - i servizi di intelligence di diversi paesi erano sulle sue tracce, chi è riuscito a colpirlo martedì notte ha dato prova di estrema intelligenza e grande capacità operativa”. Chiunque lo abbia ucciso, in definitiva, anche se si trattasse di un autogol interno alla galassia jihadista, “ha reso un gran servizio al resto dell’umanità e alla lotta contro il terrorismo islamico”.

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