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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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L'Opinione - Corriere della Sera Rassegna Stampa
13.02.2008 Sventato attentato contro un vignettista danese, Erdogan contro l'integrazione dei turchi in Germania, paesi arabi contro le televisioni satellitari
notizie dal mondo islamico

Testata:L'Opinione - Corriere della Sera
Autore: Dimitri Buffa - Cecilia Zecchinelli - Danilo Taino
Titolo: «Danimarca, caccia all’infedele - I Paesi arabi: ora basta con le offese di Al Jazeera - Erdogan ai turchi tedeschi «L'assimilazione, un crimine»»
Da l'OPINIONE del 13 febbraio 2008:

Stavolta ha rischiato grosso Kurt Westergaard, un vignettista danese di 73 anni, che da oggi vive in un luogo segreto e protetto insieme alla moglie dopo che la polizia danese ha sventato un piano per l’eliminazione di entrambi da parte di estremisti islamici locali, alcuni anche di nazionalità danese. Westergaard è quello che ha disegnato Maometto con un turbante a forma di bomba. Così, mentre tutte le anime belle si indignano perché l’America chiede la pena di morte per gli attentatori dell’11 settembre, la polizia danese lunedì ha sventato di poco un tentativo di applicare la pena di morte islamica contro uno dei dodici vignettisti del Jilland Posten che nel 2005 ritrassero Maometto, il profeta dell’Islam, in caricature vignettistiche, la più famosa delle quali è proprio quella che lo vede indossare un turbante a guisa di bomba. Secondo fonti dell’intelligence danese, l’attentato era già in fase di preparazione. L’operazione per smantellare la presunta cellula terroristica sarebbe avvenuta all’alba, nella località di Aarhus. Per una volta gli arresti hanno avuto carattere “preventivo” perché i presunti terroristi erano fortunatamente “nella fase iniziale” dell’agguato. Quattro i fermati e i dettagli sull’operazione ancora in corso per ora si fermano qui.

Non è inutile invece ripercorrere la vicenda delle vignette. Le caricature apparvero sul più venduto quotidiano danese, il ’Jyllands Posten’, nel settembre 2005. Furono inizialmente ignorate. Ma qualche mese più tardi però, grazie all’imam di Copenhagen che se le portò dietro in una cartellina, improvvisando un tour jihadista per tutte le capitali arabe, quelle vignette scatenarono una vera e propria bufera, provocando un’ondata di proteste nel mondo islamico. Le manifestazioni furono così violente che provocarono oltre un centinaio di morti in diversi paesi. Fa pensare il fatto che nel mirino sia finito proprio l’autore di quello che tutto sommato era il disegno più irriverente, ma anche il più divertente e innocuo. All’epoca i musulmani, compresi gli estremisti e i terroristi, incassarono persino la solidarietà del Papa Benedetto XVI. E questo sebbene la stampa araba sia piena di vignette contro gli ebrei e, negli ultimi anni, anche contro i cristiani. O “crociati”, come li chiamano loro. Ma mentre le vignette del giornale danese erano tutte innocue e sicuramente non improntate all’odio religioso o etnico, quelle che pubblicano i giornali arabi sugli ebrei sono caratterizzate dalle forme più bieche di antisemtismo di repertorio.

Un antisemitismo che poi si ritrova anche nei cartoni animati per i più piccini, regolarmente trasmessi dalle tv palestinesi, egiziane, giordane, siriane, saudite, iraniane, libanesi e così via. Insomma “due vignette due misure” ancora una volta in nome dell’islamically correct, germe portato in Europa dalla sinistra e attecchito prima nell’Inghilterra di Blair e poi nella Francia di Chirac. Chissà che l’episodio di ieri, e cioè lo sventato omicidio di un innocente, non risvegli appena un po’ quelle torpide e torbide coscienze cui non bastò a suo tempo il terribile olocausto di Theo Van Gogh in Olanda.

Dal CORRIERE della SERA, un articolo di Cecilia Zecchinelli:

Basta proclami di Bin Laden e Zawahiri trasmessi in tv. E vietato il termine «resistenza», ad esempio, nel descrivere in un tg gli attacchi anti-Usa in Iraq. O i programmi «che offendono Dio, le grandi religioni, la società basata sulla famiglia, il senso del pudore, quelli che incoraggiano il consumo di tabacco e alcol». Ma soprattutto, fine della libertà di parola nel criticare governi, potenti, istituzioni politiche o religiose in tutto il mondo arabo, pena la revoca in aeternum della concessione televisiva, l'arresto dei «colpevoli». È questo che succederà (anche se non sarà facilissimo imporlo) dopo l'approvazione ieri al Cairo, al consiglio straordinario dei ministri dell'Informazione della Lega Araba, di un documento destinato a lanciare una vera contro-rivoluzione. A bloccare la libertà arrivata negli ultimi anni in questi Stati poco democratici grazie a satelliti e parabole, più ancora che con Internet.
L'unico a votare contro è stato il Qatar. E non sorprende: il minuscolo emirato del Golfo, proprietario di Al Jazeera,
usa dal 1996 la controversa tv come strumento principe della sua politica estera. Anche se da qualche mese perfino la rete più odiata dagli americani (e dai regimi arabi) ha smesso di attaccare Riad per le pressioni di quest'ultima e di Washington sul piccolo Stato vicino. Ma tutti gli altri ministri — 21 su 22 — hanno votato sì. Il codice sulle tv satellitari, ormai ufficiale, in teoria servirà a «regolare» questa industria in costante e vertiginosa crescita (anche perché le reti governative arabe sono censurate, istituzionali, noiosissime). In realtà darà un giro di vite minacciato da anni ma finora mai concretizzatosi. E non è un caso che i promotori del documento siano stati Egitto e Arabia Saudita: gli Stati che già ora investono di più in canali satellitari di intrattenimento e di svago, i regimi più oggetto di critiche da parte delle libere tv.
L'Egitto, ha già annunciato il suo governo, sarà il primo Paese firmatario a tradurre in legge il documento.
«È un'intimidazione che minaccia lo sviluppo delle nostre società, che ci riporterà al Medio Evo», ha dichiarato Abd Al Bari Atwan, direttore del quotidiano Al Quds Al Arabi di Londra, anticipando la prevedibile sollevazione di intellettuali e oppositori nei prossimi giorni. E ha aggiunto: «Speravamo che l'era in cui per sapere dei nostri Paesi ci si sintonizzava sulla Bbc fosse ormai finita per sempre».
Vertice al Cairo
Vietate critiche a governi e religione, pena la chiusura dei canali. Solo il Qatar ha votato contro A rischio La libertà delle tv arabe verrà fortemente limitata

E uno di Danilo Taino:

BERLINO — Nemmeno Helmut Kohl, nei gloriosi anni 1989 e 1990, era risuscito ad avere 20 mila tedeschi a un comizio. Era appena caduto il Muro, ma le manifestazioni oceaniche, da queste parti, non vanno. Recep Tayyip Erdogan, primo ministro turco, nel suo lungo viaggio in Germania di questi giorni, è invece riuscito ad avere questo e altro. A Colonia, in uno stadio, almeno due decine di migliaia di cittadini tedeschi di origine turca sono andati a salutarlo, festeggiarlo, in qualche caso osannarlo. E lui si è rivolto alla folla come se fosse il suo primo ministro.
Ha scaldato i cuori della minoranza etnica più consistente della Germania — quasi due milioni e mezzo di persone: ha parlato del lutto per i nove morti, turchi, di un incendio in un edificio di Ludwigshafen, che la stampa di Ankara dice essere doloso ma del quale la polizia tedesca non ha ancora stabilito le cause; ha invitato il suo popolo emigrato a non dimenticare la lingua e la cultura d'origine; ha parlato in continuazione di «noi turchi» e «loro tedeschi ». Infine, è riuscito a eccitare anche il resto della Germania. Integratevi nel Paese che vi ospita, ha sostenuto, ma non fatevi assimilare, perché «l'assimilazione è come un crimine contro l'umanità»: frase che ha fatto esplodere le proteste in tutto il Paese. Il clima era abbastanza surriscaldato: il giorno prima, già in terra tedesca, aveva proposto di aprire scuole e università turche in Germania, con insegnanti turchi.
Proposta presa maluccio dalla maggioranza dei politici locali, soprattutto cristiano-democratici. L'incontro con la cancelliera Angela Merkel che è seguito è stato piuttosto teso e per nulla usuale anche nelle dichiarazioni finali. Frau Merkel ha ricordato a Erdogan che, in Germania, la cancelliera è lei, anche dei cittadini di origine turca, non lui. In più, è entrata nel merito della questione turca, che nel Paese è il perno attorno al quale si sviluppa tutto il dibattito sui temi dell'immigrazione e sui modi di integrare chi arriva. «Mi fa piacere — ha detto la cancelliera rivolgendosi a Erdogan — che si dica a favore dell'integrazione e dell'imparare la lingua tedesca, ma una vita di lungo periodo in un Paese significa anche un'accettazione più forte dei suoi costumi. Non credo che siamo arrivati alla fine di questa discussione »: per dire che le sue idee su come entrare e stare in Germania sono diverse da quelle del primo ministro din Ankara. Non solo: ha sostenuto che non ha nessuna intenzione di vedere i bambini di origine turca andare a una scuola dove imparano il tedesco «come quinta lingua straniera». Scontro serio, di contenuto, insomma: integrazione contro assimilazione.
Il problema, serio non solo in Germania, è esploso sulla stampa e tra i politici, soprattutto quelli cristiano-democratici (come Frau Merkel) che molto spesso fanno di questo tema il cuore delle loro campagne elettorali locali (non sempre con successo). Erwin Huber — il leader della Csu, il partito bavarese alleato della Cdu a livello nazionale — ha preso il discorso di Colonia per attaccare Erdogan e sostenere che il processo di adesione della Turchia all'Unione europea deve essere riconsiderato. Il premier bavarese Günther Beckstein, anch'egli della Csu, ha detto che un buon cittadino, in Germania, deve «imparare il tedesco e parlarlo in famiglia». In generale, i mezzi di informazione hanno giudicato populista e pericoloso l'approccio del primo ministro turco alle relazioni tra gli immigrati e il resto della società in Germania. Ma la questione, dopo il passaggio di Erdogan, è in termini nuovi: integrare o assimilare?

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