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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - La Stampa - Avvenire - L'Opinione - La Repubblica Rassegna Stampa
12.02.2008 "Lista nera" e allarme antisemitismo: la cronaca e i commenti
rassegna di quotidiani

Testata:Corriere della Sera - La Stampa - Avvenire - L'Opinione - La Repubblica
Autore: Fiorenza Sarzanini - Franzo Grande Stevens - Edoardo Castagna - Dimitri Buffa- Marco Bassani - Ruben Razzante - Valentina Diaconale - Adriano Prosperi
Titolo: «Lista nera dei prof, scoperto l'autore - Anche Croce ebreo d'elezione - Antisemitismo, lo spettro del 38 - Ritorna una voglia di capro espiatorio - Antisemitismo di destra e di sinistra - La libertà della rete è un bene assoluto - Il web non è zona franca»
Intervista a Michael Sfaradi - La storia del complotto ebraico

Dal CORRIERE della SERA del 12 febbraio 2008 (pagina 25), la cronaca di Fiorenza Sarzanini sulla notifica dell'avviso di garanzia a quello che gli inquirenti ritengono essere l'autore della "black list" dei professori universitari ebrei.
Avviso di garanzia che continua a riguardare la violazione della legge sulla privacy e non quella della legge Mancino, che sanziona chi propaganda odio, come evidentemente è avvenuto in questo caso.

Su questa vicenda, ancora una volta ci sembra opportuno ricordare che la lista di proscrizione di questo blog è soltanto una conseguenza. Le vere cause, e il vero pericolo, si trovano altrove. Nell'incensante campagna d'odio e di calunnia contro Israele, alimentata con ben altri mezzi da persone che trovano un ascolto ben più vasto e ben altro credito rispetto a quella di un anonimo "appassionato di internet" che compila liste nere.

Ecco il testo dell'articolo:



ROMA — È in una casa di Forano, paesino in provincia di Rieti, il computer che avrebbe inserito sul web la «black list» dei professori universitari ebrei.
L'utenza telefonica collegata all'indirizzo telematico è intestata a Matilde Castellani, l'ex sindaco radicale del piccolo comune.
Sarebbe suo figlio Paolo Munzi, un quarantenne appassionato di Internet, il misterioso «H5n1» che il 15 novembre ha pubblicato il volantino contro i docenti. E tre giorni fa, dopo l'oscuramento del sito, lo ha «postato» su altri indirizzi web, compreso «Fai notizia» uno dei siti di Radio Radicale che è stato immediatamente bloccato per ordine degli stessi gestori.
Ieri la polizia Postale ha ottenuto dai magistrati romani l'ordine di perquisizione dell'appartamento e di un locale che l'uomo utilizza a Roma, ha sequestrato l'apparecchiatura e gli ha notificato l'avviso di garanzia per violazione della privacy. «I dati che abbiamo analizzato — spiegano in Procura — non lasciano dubbi ».
«Non so nulla di questa storia », tenta di smentire al telefono la donna. Ma poi è proprio il figlio ad afferrare la cornetta, comincia a sbraitare, grida che «qui da noi non è arrivato nessun poliziotto». In realtà l'utenza di collegamento era sotto controllo già da sabato pomeriggio e ieri mattina si è avuta la certezza che fosse proprio quello il computer giusto.
Erano stati i gestori de «Il
Politica e religione
Qui sotto, manifestanti sventolano la bandiera d'Israele. A destra, un vescovo nella sinagoga di Colonia Cannocchiale», il sito sui cui è stato pubblicato il messaggio, a consegnare alla Postale i «file di log» necessari ad individuare chi si era connesso al loro indirizzo. Gli esperti sono risaliti al codice Ip e poi al numero telefonico. Subito dopo i pubblici ministeri Franco Ionta e Giuseppe Corasaniti hanno autorizzato l'intervento della polizia. Teoricamente è possibile che ci sia stata un'intrusione, ma le verifiche avrebbero già scartato questa eventualità dimostrando che anche in questi ultimi giorni i collegamenti sono serviti a «postare» la copia dello stesso volantino.
Nel testo i 162 docenti di tutta Italia vengono accusati di far parte di una «lobby di potere», una casta che «manipola mentalmente gli studenti ». Un messaggio dai toni farneticanti che, al momento, non rappresenta secondo i pubblici ministeri una violazione della legge Mancino sulla discriminazione razziale come invece aveva affermato il ministro dell'Interno Giuliano Amato. Gli investigatori coordinati da Domenico Vulpiani hanno comunque portato in Procura la denuncia presentata da due professori per diffamazione e questo farà scattare una nuova contestazione.
Nulla si sa sui motivi che hanno portato l'uomo a diffondere il volantino, né il criterio da lui utilizzato per schedare i 162 professori.
Documenti di «condanna per una lista aberrante» arrivano dal coordinamento regionale delle università del Lazio, dal Senato Accademico dell'Università di Torino, dalla Facoltà di Scienze della Formazione dell'Università degli studi di Modena e Reggio Emilia, dal consiglio comunale di Bologna. Una lettera agli studenti per chiedere «la vostra solidarietà. Una parola, un gesto possono essere importanti. Lo abbiamo imparato dalla storia» è stata scritta da Donatella Di Cesare, professoressa della facoltà di Filosofia della Sapienza di Roma inserita nella «black list». Hanno già risposto al suo appello i ragazzi della Luiss che nei prossimi giorni firmeranno il manifesto di solidarietà «Anch'io su quella lista».

Da La STAMPA  (a pagina 37) una lettera di Franzo Grande Stevens:

Caro Direttore,

a proposito della black list dei 162 professori ebrei e del bell'articolo sul Suo giornale della prof. Chiara Saraceno che per reazione a questa vergognosa manifestazione di odio razziale, si sente come tanti di noi, «ebreo di elezione» voglio ricordare il comportamento che tenne Benedetto Croce.
Croce aveva rinunciato alla cattedra universitaria (come Pietro Giannone a Padova ed Enrico De Nicola a Napoli che non l'avevano accettata perchè nelle rispettive discipline del diritto civile e del diritto penale non si ritenevano «all'altezza»). Tuttavia faceva parte dell'Istituto veneto di scienze lettere ed arti e in tale qualità a seguito delle leggi razziali del 1938 ricevette un questionario da riempire per dichiarare se fosse oppure no ebreo. Egli rispose da Pollone (Biella) al presidente dell'Istituto con la seguente lettera:
«Gentilissimo Collega, ricevo oggi qui il questionario che avrei dovuto rimandare prima del 20. In ogni caso, io non l'avrei riempito, preferendo di farmi escludere come supposto ebreo.
L'unico effetto della richiesta dichiarazione sarebbe di farmi arrossire, costringendo me che ho per cognome CROCE, all'atto odioso e ridicolo insieme, di protestare che non sono ebreo proprio quando questa gente è perseguitata ...»
L'esperienza vissuta c’insegna che non soltanto non bisogna essere vili ma non dobbiamo neppure essere pigri ed indifferenti e dobbiamo reagire invece a questi atti gravissimi ricordando che la nostra lungimirante Costituzione vieta qualsiasi discriminazione per «sesso, razza, lingua, religione, opinioni politiche, condizioni personali e sociali».

Da AVVENIRE, un'intervista ad Anna Foa :

M oshe Kantor, il presidente del Congresso ebraico europeo, ha evocato perfino il rischio di «una seconda Notte dei cristalli», com­mentando preoccupato il rigurgito an­tisemita in Europa. «Non esageriamo – puntualizza però la storica Anna Foa –. Forse ci siamo dimenticati di com’e­rano le cose nel ’38. Oggi siamo di fron­te a episodi molto sgradevoli, che van­no fermamente condannati; ma sono episodi simili a tanti altri, sul crinale tra antisionismo e antisemitismo. Certo, la 'lista di proscrizione' rappresenta un salto di qualità: ma non è detto che le cose debbano peggiorare. Il boicot­taggio delle Fiera veniva da sinistra, questa lista viene da destra; su Inter­net circola parecchia immondizia an­tisemita, ed esiste il pericolo di una saldatura culturale e ideologica tra le varie forme di antisemitismo. Però non siamo nel ’38, questo va sottolineato. È però vero che oggi i segnali dell’an­tisemitismo sono diventati più forti, e devono indurre tutti a riflettere sul mo­do in cui svolgiamo il discorso sulla storia e sulla memoria, e sulla presa che abbiamo effettivamente sulla so­cietà ».
 Non si corre il rischio che troppa u­nanimità, nella condanna dell’anti­semitismo come nella memoria del­la Shoah, sfoci in un rafforzamento, tra gli estremisti, della convinzione che vi sia chissà quale complotto e­braico?

 «È possibile, certo. Ma d’altra parte non per questo possiamo rifiutarci di condannare episodi come quelli degli ultimi giorni, nel timore che una con­danna generi un effetto opposto a quello sperato... Siamo in un’impasse. In fondo, esiste una quota fisiologica di antisemitismo in tutte le società: il problema è far sì che non cresca e non si diffonda. Quindi l’impegno dev’es­sere volto alla massima attenzione, e a essere molto netti. Sì, in questi gior­ni c’è stata un’enfasi eccessiva, ma l’e­pisodio è effettivamente di eccezio­nale
gravità».
 Dal ’38 a oggi, assistiamo sempre a un periodico riemergere di fenomeni an­tisemiti?

 «No, nel ’38 le cose erano completa­mente diverse. Allora c’era un antise­mitismo di Stato, diffuso in molti Pae­si europei; c’erano leggi che discrimi­navano violentemente gli ebrei, li in­dividuavano, e alla fine li avrebbero destinati alla deportazione e alla mor­te. Ma costante è la commistione di vari pregiudizi: quello politico, per e­sempio, che nell’Ottocento derivava dai nazionalismi e che oggi prende a pretesto il conflitto israelo-palestine­se. Oppure, quello tradizionale del po­polo che detiene il potere occulto, la lobby, la maggior intelligenza... Quel­la dietrologia, insomma, che pensa che dietro a tutto ci sia sempre l’ebreo».

 Proprio il diritto alla critica a Israele è spesso invocato – specie a sinistra – per rigettare l’accusa di antisemiti­smo...

 «Ovviamente, ogni critica è legittima. Ma quando ci si spinge fino a dire che la politica di Israele sui palestinesi è nazista, che conduce un nuovo Olo­causto, allora si sta già scivolando nel­l’antisemitismo. Quando i Giulietto Chiesa o i Gianni Vattimo sostengono il boicottaggio della Fiera del libro nel nome della critica alla politica israe­liana, in realtà secondo me siamo già sul piano dell’antisemitismo, abbia­mo superato la soglia. Dobbiamo di­scutere, continuare a discutere: è già qualcosa che questi intellettuali, a dif­ferenza di quelli del ’38, rifiutino l’eti­chetta di antisemita. Ma temo che fi­no a quando non ci sarà una svolta po­litica in Medio Oriente, il confronto rimarrà molto difficile».
 

e una ad Andrea Riccardi (entrambe  apagina 25):

I l paravento dietro al quale si na­scondono gli antisemiti dei nostri giorni, specie a sinistra, casca subi­to: «Questi fenomeni non hanno nulla a che fare con il contrasto alla politica israeliana». Lo storico Andrea Riccardi, fondatore della Comunità di Sant’Egi­dio, li osserva con preoccupazione, ma ne rintraccia l’origine in una constata­zione sociale più profonda: «Mi sem­bra che questo nostro uomo spaesato italiano, che perde punti di riferimen­to ed è deluso dalla politica, è alla cac­cia, insensatamente, di una specie di capro espiatorio, è alla caccia di bersa­gli negativi. Sono infime minoranze, ma che non sono sopravvivenze di un’an­tica tradizione, ma un qualcosa che ri­nasce. Come ben dimostra il caso di To­rino, che si colloca nell’estrema sini­stra. Mentre per la 'lista di proscrizio­ne', che contiene non solo ebrei ma più in generale i firmatari di vari appelli contro l’antisemitismo, a preoccupare è l’idea stessa di lista, l’indicare il ne­mico. C’è un grande malessere, e biso­gna chiedersi da dove venga e perché si sfoghi contro gli ebrei».
 Assistiamo a una sorta di saldatura tra estremismi: di destra, di sinistra, di ma­trice
islamica?
 «Sì, anche perché ci sono ancora trop­pe personalità, vicine a queste mino­ranze, che non ne prendono abbastan­za le distanze. Sono fatti talmente gra­vi che bisogna farlo con forza, mentre invece sia a destra sia a sinistra ci sono troppe concessioni, troppe contiguità. Che a me fanno paura. L’antisemitismo islamico è forse quello oggi più viru­lento. Si dice che sia un antisemitismo antico: io credo, invece, che abbia sì ra­dici antiche, ma che sia soprattutto no­vecentesco, forgiato in Medio Oriente attraverso la lettura dei
Protocolli dei Savi di Sion. Per fermarsi all’Europa, sorprende che si possa, dopo la Shoah, arrivare a tutto questo. E mi chiedo: u­na Costituzione europea che non con­templa il ripudio dell’antisemitismo e la memoria di Auschwitz non è una co­stituzione monca? Noi siamo partiti, come Europa, da quello. Io l’ho sempre sostenuto, e c’è chi ha detto che l’ho fat­to per ingraziarmi le lobby ebraiche...».
 Perché l’Europa lascia spazio a simili manifestazioni?

 «Abbiamo una società che configura poco un disegno di sé; a tratti anarchi­ca, ama il gridato e il conflittuale, non si colloca all’interno di una strategia e cerca di ribellarsi a un destino che non ha, che sente incombere ma che non capisce. È qui che si collocano le mani­festazioni degli ultimi tempi: il discor-
so è sui fondamenti, ed è per questo che sull’antisemitismo non si può tran­sigere. È una linea oltre alla quale non possiamo andare, perché ne va della moralità e della democrazia».
 Il tutto, proprio nel settantesimo an­niversario delle Leggi razziali fasciste...

 «Il che ci ricorda che anche noi cristia­ni siamo davanti a una sfida enorme. In quel periodo ci caratterizzò un atteg­giamento generalmente silenzioso, an­che se irritato di fronte un fatto spiace­vole: non capimmo che quel ’38 sareb­be stato la premessa del ’43 – per e­sempio, a Roma le liste di ebrei prepa­rate nel ’38 furono poi utilizzate dai te­deschi all’epoca della razzia. Oggi dob­biamo fare una riflessione sulla pre­senza ebraica nella nostra società e su quel ’38 – una coincidenza che ci im­pegna a un’attenzione maggiore. Ma la riflessione non basta, non bastano i convegni; ci vuole un di più. Noi cri­stiani dobbiamo amare di più i nostri fratelli ebrei».

 La società di oggi lo consente?

 «Io lo credo. Perché amare di più gli e­brei vuol dire rinvigorire il tessuto del­la nostra società».

 «La nostra spaesata società è a caccia di un 'nemico'

Da L'OPINIONE, un'intervista di David Meghnagi sull'antisemitismo di destra e di sinistra:

“La sinistra non è affatto immune dall’antisemitismo sin dalle proprie radici ottocentesche, basterebbe citare Fourier, Bakunin e Proudhon solo per fare alcuni esempi, e io dico che bisogna conoscere le cose per dialogare e per capire perché possano avvenire enormità come la divulgazione di liste di proscrizione contenenti nomi di docenti ebrei o presunti tali nonché le proposte di boicottare la Fiera del Libro solo perché quest’anno ha deciso di invitare lo stato di Irsaele come ospite d’onore in occasione del sessantesimo anniversario dalla sua fondazione”. David Meghnagi è un filologo ebraico di nascita tripolina. La famiglia venne cacciata dalla Libia dopo la guerra dei Sei giorni. Meghnagi è stato colui che ha denunciato all’opinione pubblica per primo l’obbrobrio della schedatura dei professori ebrei su internet. In questa intervista spiega la genesi dell’ostilità odierna contro gli ebrei.

La prima domanda riguarda le modalità con cui è venuto a conoscenza della lista.
La lista so che circolava almeno da novembre ed è stata grossolanamente ricavata da un appello promosso proprio da me tempo prima, nel 2005, contro il boicotaggio accademico in Gran Bretagna e altrove, firmato da tantissimi professori della Sapienza. Casualmente l’ho trovata su internet mentre cercavo materiale per la mia conferenza stampa dello scorso giovedì per denunciare un nuovo odioso boicottaggio anti ebraico e anti israeliano, quello della Fiera del libro di Torino. Imbattutomi in quella lista piena di errori, in realtà non sono affatto la maggior parte i profesori di religione ebraica tra quei 162 nomi, ho deciso di darne subito una pubblica testimonianza di riprovazione.

Lei ha chiesto al presidente della Repubblica di recarsi ad inaugurare la Fiera del libro. Basterà questo gesto per mettere all’angolo l’odio anti israeliano?
Di certo sarà un’azione dal valore simbolico enorme e potrebbe servire da deterrente contro i malintenzionati che identificano lo stato ebraico con i problemi in Medio Oriente. Detto questo è forse anche interessante notare che nell’appello del 2005 era presente anche la firma di Giorgio Napolitano. Questo per dire che solo per caso nella lista dei 162 poi circolata su internet non appare anche il suo nominativo.

Rispetto ai nazisti gli anti semiti di oggi sono dei dilettanti?
L’odio è lo stesso. La preparazione culturale è se possibile ancora inferiore. Il solo fatto che questi docenti abbiano firmato il mio appello contro il boicottaggio delle università europee ha fatto sì che nella piccola mente di questa gente i firmatari apparissero a tutti gli effetti come ebrei veri e propri. Anzi come “membri di una lobby ebraica che si muovono contro gli interessi della nazione”. Essere ebreo non è più un’appartenenza religiosa ma una categoria dello spirito intesa in senso denigratorio.

Furio Colombo si è affrettato a liquidare come fascista questa lista di proscrizione.
In realtà la schedatura è stata fatta da attivisti della sinistra antagonista e poi copiata anche dal sito in questione che è di estrema destra, di tipo tradizionalista cattolico.

Perché tutto questo pudore nel denunciare l’anti semitismo a sinistra?
E’ chiaro che il marchio di fabbrica dell’anti semitismo ce l’hanno il nazismo e certo tradizionalismo cattolico preconciliare dei secoli passati. Ma la sinistra aveva nelle proprie radici il germe anti semita sin dalla nascita delle idee socialiste. Basterebbe pensare a Proudhon, Fourier o Bakunin tanto per fare degli esempi. Proudhon sugli ebrei usa parole come quelle di Goebbels. I comunardi francesi rifugiatisi in Algeria vi importarono anche il loro anti semitismo di sinistra. Io sono uno studioso del fenomeno dell’anti semitismo nel mondo e affermo che la sinistra ha solo la presunzione di non avere nel proprio dna questo morbo.

L’antisemitismo di estrema sinistra è un classico come quello di estrema destra e quello del fanatismo cattolico tradizionalista?
Sì, non c’è dubbio. Come esistono volenterosi bipartisan che combattono l’odio contro gli ebrei tanto nello schieramento moderato quanto in quello di ispirazione socialista, allo stesso modo esiste un biparisan anche dell’anti semitismo che ricorda tanto il patto Molotov-von Ribbentrop.

Questo spiega allora le lettere di insulti al “manifesto” e a Valentino Parlato dopo il suo coraggioso schierarsi contro il boicottaggio alla Fiera del Libro?
Certo, la pancia della sinistra antagonista che spesso si riconosce nelle posizioni assurdamente ostili che il Manifesto e altri giornali di estrema sinistra hanno su Israele, si è sentita tradita dall’editoriale di Parlato. Di qui la reazione con lettere e insulti al giornale.

Insomma, finchè c’è da commemorare gli ebrei morti della Shoà va tutto bene a sinistra, il problema sorge con gli ebrei vivi da difendere dal terrorismo?
C’è una faccia della sinistra che si riconosce nei valori della Resistenza e che non può che vedere gli ebrei come vittime ma poi c’è anche una faccia che si identifica con i diktat giunti da Mosca dopo la guerra dei Sei giorni che identificano lo stato di Israele come il male assoluto del capitalismo americano. Queste due faccie esistono anche oggi e non c’è stata ancora l’autocritica necessaria per superare questa contraddizione.

Sempre dall' OPINIONE, due interventi sulla regolamentazione di internet, uno contrario, di Marco Bassani, professore di Storia delle dottrine politiche Università Statale di Milano:

Nel 1945, in seguito alla sconfitta militare senza appello del nazismo e dei suoi alleati, l’Europa continentale ha mutato corso, adottando alcuni principi della democrazia liberale, ma non tutti. In particolare, quasi tutti gli ordinamenti hanno aderito alla visione secondo la quale i nemici della democrazia e della pacifica convivenza non hanno alcun diritto e occorre anzi perseguirli con leggi severe: più severa la legge, più libero il paese. Indubbiamente, i politici europei erano ben memori delle frasi di Joseph Goebbels, il quale, poco prima dell’ascesa al potere del suo partito, disse che i nazisti andavano in Parlamento come i lupi vanno agli agnelli, e che, se la repubblica di Weimar era così stupida da lasciarli fare, peggio per lei. Se lo Stato liberale si fosse difeso in maniera acconcia – molti credono ancora – Mussolini la marcia su Roma l’avrebbe fatta su di un cellulare (e non si intende il telefonino).
Se le camice brune fossero state arrestate e tolte dalle strade tedesche, il partito di Hitler in breve tempo si sarebbe dissolto. Insomma, si è sviluppato il mito (anche storiografico) che nazisti e fascisti avrebbero potuto esser fermati con leggi adeguate e le giovani democrazie europee hanno pensato bene di non farsi mai più cogliere impreparate.

Con il trascorrere del tempo, anziché scomparire gradualmente come apparirebbe logico, i divieti si sono moltiplicati in tutta Europa, tanto che l’anno scorso il ministro della Giustizia tedesco, Brigitte Zypries, ha affermato che tutti gli Stati dell’Unione Europea dovrebbero applicare la severissima legislazione esistente in Germania contro chi nega la Shoah. Il problema sottostante è un classico della filosofia politica: “si deve essere tolleranti con gli intolleranti, o occorre combatterli preventivamente?” La mia modesta risposta è per la più totale libertà di opinione. Gli errori, come diceva Thomas Jefferson, devono poter circolare liberamente, indisturbati dalle leggi, ma contrastati dalla ragione. E la ragione può essere libera di avversare non solo i semplici “errori”, ma anche nefandezze e idee obbrobriose, solo se queste ultime sono a loro volta libere di circolare. La libertà della rete, in particolare, è così importante nel nostro mondo, da non ammettere eccezione alcuna. Si tratta di un bene assoluto e ogni passo verso regolamentazione, monitoraggio, interventi censori da parte delle autorità porterà necessariamente ad un restringimento delle libertà di tutti.

Per questo penso che ai blog demenziali si debba rispondere con controblog ragionati, alle farneticazioni negazioniste dell’Olocausto, con studi ancor più approfonditi che smantellino i paralogismi e i falsi storici. Per quanto riguarda la recente “black list”, dovrebbe essere un autentico onore, per gli amici e colleghi, ebrei e non ebrei, essere finiti in tale lista. La mia solidarietà con loro è totale quanto il disprezzo e la ripugnanza per colui che la ha redatta, il quale, con rarissimo senso della propria dimensione morale, si firma con la sigla di un virus. E tuttavia costui, almeno dal punto di vista dei corretti principi penali di una società autenticamente libera, non ha proprio commesso alcunché di perseguibile. E non è un caso che qualche procuratore di buon senso si sia per ora mosso verso la contestazione al blogger di un fatto quale la violazione della privacy. Ma al di là dei principi, guardiamo anche alla realtà delle cose. Contrariamente all’Europa, negli Stati Uniti vige una pressoché totale liberta d’opinione, garantita costituzionalmente dal primo emendamento. In sostanza, nessuno può essere perseguito per le proprie opinioni, espresse in qualunque forma.

Tale libertà provoca dosi di razzismo, antisemitismo e intolleranza superiori a quelle endemiche, anche se oggi piuttosto basse, in Europa? La domanda è retorica. In America, chi vuole contrastare qualunque forma di intolleranza si dota di strumenti non coattivi. Alcuni si sono organizzati per il tramite di una “lega antidiffamazione” che sottopone a minuzioso monitoraggio scritti di ogni genere e denuncia i casi di antisemitismo. Si tratta, spesso, di una ben meritata gogna mediatica, anche a mezzo internet, che dovrebbe però essere il massimo consentito nei confronti anche di coloro che professano apertamente le dottrine del nostro più vergognoso passato. Il disastro, anche in termini di popolarità, della “libertà vigilata”, mi pare comunque sotto gli occhi di tutti. I negazionisti in America fanno convegni, hanno un centro in California, ma nessuno saprebbe dire chi è Mark Weber (il loro leader).
Al contrario, in Europa gli “storici” che negano l’Olocausto vengono perseguiti e a volte incarcerati, con il bel risultato di essere ormai più famosi dei calciatori e anche il mio fruttivendolo conosce il nome di David Irving, se non quello di Robert Faurisson. Questi possono apparire sofismi, ma in realtà sono ragionamenti alla portata di un bambino.

Mi si consenta un piccolo aneddoto personale. Un paio di anni fa, mio figlio di otto anni, alla stregua di un parlamentare totalmente ignaro della storia del nostro continente, e appassionato come tutti dello sport nazionale, mi chiedeva lumi sul saluto fascista di Di Canio e sul perché lo volessero punire per aver alzato un braccio. Io, un po’ per semplificarmi la vita, gli dissi che si trattava di un gesto che evocava il nostro peggiore passato (ed è così, non c’è dubbio). Al che lui, di rimando: “Cosa aveva di male quel passato?”. “Negava la libertà”, affermai, convinto di aver chiuso l’argomento. “E allora, oggi che la libertà c’è, la si nega a Di Canio?”. Sorrisi, contento non solo di avere un figlio ferrato in logica, ma anche con buone speranze di cogliere il senso profondo del più abusato termine del nostro lessico politico.

e uno favorevole, di Ruben Razzante, professore di Diritto dell’informazione e del prodotto culturale Università Cattolica di Milano.

Inqualificabile disprezzo antisemita e palese violazione del diritto dell’internet. Potrebbe riassumersi così l’ultima vicenda della pubblicazione, nel blog de “Il cannocchiale”, di una lista nera di professori universitari, definita in quello spazio virtuale “la lista della casta baronale ebraica nella Università italiana”. Una vicenda sconcertante, che si lega, nelle ultime ore, anche alle scritte anti Israele comparse sui muri del Lingotto e che invitano a boicottare la Fiera del libro, in calendario a maggio nel capoluogo piemontese, essendo Israele il Paese ospite della prossima edizione. Una nuova ondata di antisemitismo che riporta l’Italia indietro nel tempo e che ha indotto qualcuno a parlare di clima da “Notte dei cristalli”. Ma in questa sede ci preme non tanto dare voce ad uno sfogo, peraltro legittimo e quasi incoercibile, rispetto all’ennesimo fenomeno di intolleranza basato sul pregiudizio e sull’odio, quanto esaminare, da un punto di vista puramente giuridico, il caso della pubblicazione on-line della lista nera degli accademici ebrei. Si tratta, lo diciamo senza ombra di smentita, di una fattispecie che potrebbe integrare gli estremi di vari reati. Lo ha intuito fin da subito la Procura di Roma, aprendo un’inchiesta sulla vicenda e ipotizzando la violazione dell’art.167 del d.lgs. 30 giugno 2003, n.196 (meglio noto come Codice sulla privacy), vale a dire un utilizzo illecito di alcuni dati personali, reato per il quale si rischia una reclusione fino a tre anni. E mentre la polizia postale sta dando la caccia al blogger che ha messo in rete l’elenco dei docenti appartenenti ad una presunta lobby ebraica (il misterioso autore di quella lista ha fornito come base geografica la città di Bandar Abbas e quindi non si esclude che possa essere un iraniano), alcuni giuristi stanno avanzando altre ipotesi di reato, dalla diffamazione on-line all’istigazione all’odio razziale. A nostro avviso si tratta di orizzonti giuridici tutt’altro che remoti e fuori luogo. Negli ultimi anni, sia da un punto di vista giuridico (emanazione di norme) sia da un punto di vista giurisprudenziale (sentenze di tribunali) sia sotto il profilo deontologico (forme di autodisciplina da parte degli operatori), l’etica e il diritto hanno dimostrato di andare a braccetto sulla strada di una quasi completa equiparazione dell’informazione on-line all’informazione che viaggia con altri media (carta stampata e mezzi radiotelevisivi). Dapprima la legge 7 marzo 2001, n.62 sull’editoria, correttamente interpretata alla luce della delibera n.236 del 30 maggio 2001 dell’Autorità per le Garanzie nelle Comunicazioni e della legge comunitaria 1 marzo 2002, n.39, ha previsto la registrazione presso i tribunali (proprio come le testate cartacee) dei siti internet che fanno informazione aggiornata costantemente e che ambiscono ai finanziamenti pubblici per i prodotti editoriali. Tale novità normativa aveva peraltro fatto seguito ad una serie di sentenze di tribunali di primo grado (Napoli, Roma, Vicenza, Voghera), che avevano obbligato alcuni siti internet a carattere informativo a registrarsi presso i tribunali. Negli ultimi 7 anni la giustizia ordinaria si è caratterizzata per una serie di sentenze sulla diffamazione on-line, che, pur dimostrando di muoversi sulle “sabbie mobili”della difficile individuazione del foro competente (internet è fenomeno ubiquo e di difficile localizzazione) e dei soggetti responsabili (chi risponde del contenuto diffamatorio di un sito internet quando il medesimo non sia ascrivibile ad un soggetto dichiarato?), ha chiarito che la lesione dell’onore e della reputazione via internet debba essere perseguita a tutti gli effetti come se fosse avvenuta a mezzo stampa o con mezzi radiotelevisivi. Infine, il primo giugno 2006, il Tribunale di Aosta ha condannato per diffamazione un giornalista che gestisce un blog, precisando che il titolare di un diario via internet è equiparabile giuridicamente al direttore responsabile di una testata giornalistica, in quanto soggetto che ha in disponibilità la gestione di un medium. In virtù di queste e di altre acquisizioni normative e giurisprudenziali, contestiamo con risolutezza l’interpretazione della rete internet come di una “zona franca” nella quale tutto sarebbe lecito e i contenuti anche gravemente lesivi della personalità altrui possano viaggiare senza integrare gli estremi di gravi reati.

Ancora da L'OPINIONE, un'intervista allo scrittore  Michael Sfaradi:

“Il suo modo illegale di fare giustizia”. Nel clima di questi giorni, dal boicottaggio della Fiera del Libro di Torino, alla lista -della vergogna- dei professori ebrei apparsa in rete, si potrebbe ricamare parecchio sulla frase icona del romanzo di Michael Sfaradi. Un romanzo dove l’inevitabile protagonista è Israele. Ma la frase pronunciata dal colonnello Luz è la semplice conclusione di un uomo onesto che così chiude un’incredibile vicenda di spionaggio. La storia comincia con il ritrovamento di dodici cadaveri e un uomo ferito del quale non si conosce l’identità. Il colonnello Luz viene incaricato di fare luce su questa strana vicenda che vedrà coinvolta tutta l’intelligence israeliana. Le indagini su Martin Landau, il ferito misterioso, sarà la chiave di volta per smascherare le falle esistenti all’interno del Mossad e dare al colonnello Luz un quadro complessivo sugli intrighi all’interno del suo Paese. Un paese come gli altri, dove bianco e nero si mescolano per ottenere quella miscela umana, comune denominatore di ogni nazione. Perché Israele innanzitutto è una nazione, dove “Il sorriso della morte” ha volto il suo sguardo sin troppe volte. Tra suspance e colpi di scena il libro dell’autore romano, cittadino di Israele, ci regala quello che vuole essere “solo un romanzo” ma che diventa importante testimonianza di un popolo al quale tutt’oggi viene negato il diritto di esistere.

Come si spiega il paradosso tra le grandi commemorazioni per la Giornata della Memoria e il boicottaggio della Fiera del Libro di Torino?
Io personalmente non ho una ricetta per dare una spiegazione a quello che sta succedendo nel mondo e in particolare in Italia. Mi sono arrivate delle e-mail da amici dall’Inghilterra dove mi raccontavano che per la Giornata delle Memoria sono stati tolti dal programma scolastico riferimenti all’olocausto per non infastidire persone di religione musulmana. Credo che ci sia una grande confusione sulla questione mediorientale e che sia diventata soltanto la maschera dietro la quale si nascondono sentimenti antisemitici. Sentimenti che hanno trovato nella questione politica e in quello che succede in Medio Oriente in generale, un modo per attaccare e tirare fuori tutta l’acredine di cui sono portatori. Per quello che riguarda la Fiera di Torino io sarò presente come autore della Fratelli Frilli Editore. Una piccola casa editrice con un gran coraggio. Il mio non è un romanzo facile, non è facile in generale e non è facile in Italia. Il mio editore ha avuto la forza di pubblicare qualcosa controcorrente. Probabilmente, anche se a tutt’oggi non ho la certezza assoluta, farò parte della delegazione israeliana che sarà presente alla Fiera di Torino.

Chiaramente ci saranno “i grandi” che staranno sotto gli occhi di tutti, per quello che mi riguarda farò parte di quella schiera di autori che saranno che, nel loro piccolo, faranno quello che possono. Innanzitutto far conoscere le loro opere e le loro idee nella speranza che tutto questo possa far del bene non ad una, ne all’altra parte ma per una tranquillità comune che stiamo cercando ormai da tanto tempo e che ancora non si vede. Israele è una grande democrazia, che i nostri nemici lo imparino. Israele è una grande democrazia dove tutto è sempre in continua discussione. Esiste un dibattito tra le persone: la gente parla, si confronta su tutto, ma ci sono dei punti fermi dove nessuno è disposto a prescindere e dietro questi principi ci ritroviamo, tutti, dall’estrema destra all’estrema sinistra.

Perché la scelta di questo tipo di struttura narrativa. La scelta di far parlare un personaggio all’interno dei servizi segreti israeliani?
Potrebbe sembrare una spiegazione complicata, ma in realtà è molto semplice: Israele è una nazione. E come tutte le nazioni ha la sua anima bianca e la sua anima nera. Partendo da questo presupposto i personaggi che popolano il mio romanzo sono dei personaggi che fanno parte nell’anima di Israele in ogni suo aspetto. Il colonnello Luz, quello che si trova la patata bollente di dover scoprire cosa è successo, è la parte pulita. Il poliziotto che in daga in modo che le cose sbagliate possano essere corrette.
Mentre Martin Landau e Bulgherem sono personaggi, importanti all’interno della trama del romanzo, per come li ho sentito io, rappresentano la parte scura che ogni nazione possiede. Non c’è nulla di autobiografico. È un’opera di fantasia, ma è normale per me descrivere Israele per quello che è: una nazione come tutte le altre. Con le sue parti positive e le sue zone d’ombra. C’è una parte positiva che indaga su una parte negativa e non ha paura di mettere alla luce i suoi errori.

La nazione che interroga se stessa e scopre, dentro se stessa, quello che non va e lo corregge. Questo secondo me è il quadro di quello che è Israele, così come l’ho vissuta io. Non esistono persone in Israele che non siano disposte a mettere in discussione, nella massima libertà, ogni aspetto sociale o politico che li riguarda. Il mio personaggio positivo indaga e scopre delle cose negative che alla fine saranno corrette. C’è anche uno sfondo di fiducia in tutto questo. Israele è a miei occhi bellissima nella sua semplicità, nella sua naturalezza, con tutto il bene e con tutto il male. Il romanzo in questo vuole essere uno spaccato di vita, un flash. Israele è anche questo.

Nei personaggi, come Martin Landau, si ritrova in piccolo quello che tu dici per Israele…
Serviva per far funzionare la storia un personaggio particolare e Martin Landau lo è. La sua intelligenza è innegabile ma è anche innegabile che la sua è stata una vita sacrificata. Si porta dietro problemi a livello psicologico già dalla sua infanzia, fin dal momento in cui una madre ossessiva inizia a chiedere il perché avesse dietro dei preservativi. Questo passato gli lascia tutta una serie di problemi anche a livello sessuale. Problemi che poi risolve, in maniera tutta sua, incontrando una donna, altrettanto particolare, con la quale riesce a compensare i suoi limiti. Un personaggio dalle diverse sfaccettature, tra punte di genialità e arrivismo frenato. Un romanzo di spionaggio, un thriller. Nella parte iniziale, quando descrivo Tel Aviv, di com’è la gente, della fila alla posta, degli ascensori che salgono e scendono nei centri commerciali, i negozi, era mia intenzione far capire ai miei lettori che girare per Tel Aviv e come essere a Londra, Parigi o Berlino. È una storia di fantasia, è un romanzo che serve per dare al lettore un po’ di compagnia e che non ha la pretesa di dare le grandi risposte della vita. Con un lieto fine e un senso di giustizia che a volte si può trovare anche al di fuori di quelle che sono le regole e le leggi.

e un appello contro il boicottaggio:

APPELLO

I relatori e i promotori della conferenza stampa di giovedì 7 febbraio 2008, svoltasi presso la Federazione Nazionale della Stampa Italiana, lanciano il seguente appello contro il boicottaggio della Fiera internazionale del libro di Torino.

AJC - American Jewish Committee
Comitato accademico europeo
per la lotta all’antisemitismo


con l’adesione di:

Colloquium Tra Occidente e Oriente
Europa Ricerca
Master internazionale di Didattica della Shoah Università Roma 3
Religioni per la pace


Appello contro il boicottaggio della Fiera Internazionale del libro di Torino

Esprimiamo la nostra più ferma solidarietà verso gli scrittori israeliani fatti oggetto di una campagna di boicottaggio che è lesiva in primo luogo dell’immagine del nostro Paese, a cui è stata inferta una ferita a valori e principi che a settant’anni dalla Legislazione razzista e sessanta dalla Costituzione dovrebbero essere un patrimonio comune di tutto il Paese.
Facciamo appello a tutte le forze politiche democratiche, al mondo della cultura e della scienza perché sia respinto con forza il tentativo di boicottare la Fiera del Libro.
Facciamo appello al Presidente della Repubblica perché agisca contro l’inquietante tentativo di trasformare un momento importante di dialogo fra le culture, quale dovrebbe essere l’incontro tra scrittori, in un tribunale contro lo Stato di Israele e l’intero popolo ebraico.
La letteratura è espressione di libertà: impedirne la libera voce è il primo passo verso la deriva del totalitarismo. Ieri la letteratura è arrivata dove la politica appariva cieca e incapace di andare oltre gli stereotipi e i luoghi comuni della guerra fredda. La letteratura e l’arte uniscono le persone oltre il tempo e lo spazio, i confini e le culture.
La minaccia di boicottaggio fa invece da sfondo ad un antisemitismo che si alimenta del conflitto mediorientale ed ha come oggetto la demonizzazione dello Stato di Israele.

Khaled Fouad Allam - Lisa Palmieri Billig - Giuseppe Caldarola - Fabrizio Cicchitto - Luigi De Salvia - Arturo Diaconale - Rodolfo Falvo - David Meghnagi - Carmine Monaco - Roberto Natale - Valentino Parlato - Franco Siddi

Da La REPUBBLICA (pagina 47), un articolo dello storico Adriano Prosperi:


Questo documento anonimo contro la "lobby ebraica" è cosa grave ma non seria. Non più dei cori nazistoidi alle partite di calcio. Certo, anche le cose non serie fanno male e possono essere pericolose. L´antisemitismo italiano non era "serio" come il razzismo naturalistico tedesco col quale rivaleggiava: le sue radici erano nell´antigiudaismo cristiano con la sua preghiera per i "perfidi" Giudei e nella versione idealistica dell´idea della superiorità razziale. Eppure ha fatto molto male e la retorica istituzionale delle giornate della memoria non ne ha nemmeno sfiorato le radici, anche perché l´orizzonte storico del "secolo breve" è troppo breve per la variante italiana dell´antisemitismo. Intanto, nel venir meno delle forme tradizionali di trasmissione dell´esperienza – la famiglia, la scuola – la smemoratezza generale ci pone davanti al riaffiorare di frammenti che l´archeologia del nazifascismo e quella dello stalinismo riconoscerebbero come loro ma che sono esibiti con candida e orgogliosa ignoranza: di qua le adunate in camicia verde, il culto della terra e del fiume natio, di là l´antisionismo urlante delle manifestazioni di piazza che confonde gli ebrei con lo Stato d´Israele e lo Stato di Israele coi suoi governi. La tragedia si ripete come farsa, ancora una volta. Ricordare le tragedie potrà evitare che la farsa si rovesci di nuovo in tragedia? proviamo.
Una lobby influente, un partito di intellettuali, un nemico nascosto: non sono la stessa cosa ma possono allearsi, sovrapporsi, fondersi in una sola entità. È già avvenuto. Il collante che li ha saldati e continua a saldarli è lo stesso: l´ossessione del pericolo ebraico. Per riconoscere la differenza radicale di quella che era l´unica presenza religiosa diversa consentita e per evitare il pericolo che portava con sé – pericolo di inquinamento, di infezione, di deliberata e segreta aggressione – la società cristiana europea fissò regole rigide: segni speciali sugli abiti, restrizioni spaziali (ghetti), divieti severissimi di rapporti e di scambi, soprattutto di sangue e di sesso. Ma questo sistema entrò in crisi quando e dove gli ebrei cessarono di essere tali e vennnero battezzati con nomi cristiani (in forma forzata e collettiva in Spagna nel 1492, subito dopo in Portogallo). A partire da questo momento, con la scomparsa della segregazione e della visibilità della differenza religiosa, nacque l´altra grande molla dell´odio, l´idea della differenza di sangue: sangue puro ("limpio") quello dei cristiani d´annata, impuro quello dei "nuovi". Per evitare ogni rischio di legami parentali dei primi coi secondi ci fu chi ebbe l´idea di fare una lista dei nomi già in uso nelle famiglie di ebrei coi nomi nuovi assunti dopo il battesimo: nacque così il Libro verde dell´Aragona. Insieme ai nomi vi erano riportati i documenti (apocrifi) di una congiura organizzata dagli ebrei spagnoli d´accordo con gli ebrei di Costantinopoli. Ecco i termini del complotto: gli ebrei si erano decisi a battezzarsi ma allo scopo di mandare in rovina chi li costringeva a farlo. Si erano detti: «ci tolgono i nostri beni? allora i nostri figli faranno i mercanti e manderanno in rovina i cristiani; ci tolgono la vita ma i nostri figli faranno i medici e li faranno morire fingendo di curarli; ci distruggono le sinagoghe ma i nostri figli diventeranno sacerdoti cristiani e manderanno in rovina la loro chiesa».
Non era la prima volta che la paura di congiure ebraiche si diffondeva in Europa. Ma questa volta gli ebrei erano doppiamente minacciosi perché irriconoscibili, nascosti sotto nomi e comportamenti di cristiani. E l´immiserita società iberica era pronta a scatenarsi contro la minoranza ricca, colta e intraprendente dei "marrani" (gli ebrei convertiti): non più diversi per religione, dovevano diventare diversi per sangue. Era l´embrione del moderno antisemitismo. Il successo fu inevitabile: la capacità di spiegare tutti i mali del mondo con una causa elementare e vicina possedeva l´invincibile fascino della semplificazione. Il movimento complicato e imprevedibile dei processi storici si chiariva come la realizzazione del lucido programma di una minoranza in possesso di speciali mezzi di pressione – il danaro, la cultura. Quest´idea fu ripresa con obbiettivi mutati negli anni della Rivoluzione francese dalla celebre tesi del reazionario abate Barruel : per lui tutto quello che stava accadendo di terribile era il risultato della cospirazione di una setta dominata da Voltaire e da Rousseau.
La lista dei nomi è il parto della sorella stupida della semplicità: la semplificazione. Ma ancor più stupido sarebbe sottovalutare la funesta efficacia di questa caricatura della spiegazione. Si pensi al prodotto di questa tradizione più vicino a noi, il famigerato apocrifo dei Protocolli dei Savi di Sion, della cui origine e diffusione sappiamo ormai tutto anche se questo non impedisce che lo si continui a usare come strumento di aggressione antisemita. Nell´edizione italiana (L´Internazionale Ebraica. I "Protocolli" dei "Savi anziani" di Sion, versione italiana con appendice e introduzione, Roma, "La vita italiana", direttore Giovanni Preziosi, 1938. XVI dell´era fascista) recava in appendice un elenco per cognomi di 9800 famiglie di ebrei. Preziosi non l´aveva costruito, lo aveva preso in prestito. Nel 1938 quell´elenco diventava un´arma: le leggi razziali volute da Mussolini e firmate dal re nel settembre di quell´anno furono la vittoria di quello speciale razzismo e antisemitismo italiano che era robustamente radicato nella cultura accademica e nell´ostilità cattolica ai "perfidi giudei". Un elenco di nomi: quanto potesse servire a denunzie interessate e premiate lo si vide subito.
Ma tutto questo non è forse sprofondato nel gorgo di Auschwitz e della Shoah? Michele Battini ricordò anni fa (Il Foglio, sabato 6 nov. 2004) che tutta la letteratura culminata nelle leggi razziali – non solo giornalisti e retori del nazionalismo fascista, ma medici, antropologi, biologi che avevano attinto all´antigiudaismo cristiano rappresentato da figure di primo piano della Chiesa degli anni Trenta – «sembra scomparire nel nulla dopo il 1945»; che era intervenuta la grande cesura di una Chiesa cattolica che aveva rinunciato alla «tentazione di sostituirsi a Israele» chiedendone la conversione; in conclusione – e su questo si può essere ancora d´accordo con lui - quello che oggi rimarrebbe è un antisemitismo che ha cambiato natura, è l´antisionismo come avversione allo Stato d´Israele, eredità dello stalinismo del passato e frutto dell´islamismo fanatico del presente. Ma – anche Battini lo ammetteva - il fantasma del complotto immaginario con la sua disarmante semplicità è sempre attraente e la tradizione dell´antisemitismo è di quelle che producono sempre nuovi germogli quando se ne creano le occasioni.

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