Bisogna dar atto a Ernesto Ferrero e Rolando Picchioni, direttore e presidente della Fiera del libro, del coraggio dimostrato davanti all'inqualificabile proposta di esponenti della sinistra radicale e di alcuni intellettuali islamici di boicottare la manifestazione torinese. Ospite d'onore quest'anno sarà Israele. A nulla sono valse le minacce e le pressioni a cambiare programma perché contemporaneamente ci fosse un altro Paese ospite, la Palestina. Quasi che le grandi voci della letteratura israeliana, da Abraham Yehoshua a Meir Shalev, da Amos Oz a David Grossman, non bastassero, avessero bisogno di un bilanciamento. E bene hanno fatto l'altro ieri i due dirigenti torinesi in un'intervento sull'Unità a condannare «il nesso tra politica e cultura quando è così rozzamente delineato ». Tuttavia non abbiamo apprezzato il tono generale di quell'articolo, una «lettera aperta a Tariq Ramadan», in cui si invita l'esponente islamico alla ragione, fino ad augurarsi che il «largo seguito di cui gode possa servire a ristabilire un clima migliore e contribuire a fare della Fiera del libro quello che è sempre stata: uno spazio aperto». Non c'è dubbio che la Fiera di Torino sia uno spazio aperto, dove l'anno scorso Ramadan poté prodursi in un monologo senza contraddittorio. Perché esibire, senza averne bisogno, patenti di democrazia a un intellettuale che ieri — in una lettera aperta di risposta — ha di nuovo condannato la manifestazione che ospita Israele e invitato a boicottarla? Non sarebbe stato meglio che, anziché blandire, Ferrero e Picchioni avessero usato qualche parola per condannare il saggista che ha una così angusta visione del confronto liberale?
"Un veleno senza antidoto" di Mario Pirani, da REPUBBLICA del 09/02/2008, pag.1-27
Il rituale è scontato. Ogni qualvolta si manifesta un fenomeno pubblico di antisemitismo scatta puntuale l´indignazione ufficiale. Anche oggi, dopo la diffusione della lista nera dei 162 docenti ebrei nelle università italiane (molti dei quali non sono israeliti) responsabili istituzionali e rappresentanti di partito hanno manifestato, con toni più o meno univoci, la loro condanna.cui si unisce quella dei mass-media. Che questo avvenga è certamente una buona cosa, ma il risvolto discutibile è che, ancora una volta, il nodo profondo delle radici attuali dell´antisemitismo è destinato a non essere percepito. Ed è presumibile che tutto sia destinato a ripetersi al momento dell´evento successivo. L´opinione pubblica ha già, infatti, introiettato questa dinamica in qualche modo liturgica e nella sua maggioranza ha finito per considerare le manifestazioni di antisemitismo come esplosioni biasimevoli ma, in fondo, opera di gruppetti marginali e non davvero pericolosi. Dietro, del resto, non vi è la minaccia di regimi nazisti persecutori, delle SS o delle leggi razziali. Eppure, se si guarda più a fondo, ci si può accorgere di come sia falsificante questa percezione innocua dell´antisemitismo che permette una condanna altrettanto innocua e superficiale. Il vecchio veleno, per contro, è assai diffuso ancor oggi anche se ha cambiato formula, si è innestato in altri ceppi, ha confuso la sua natura, mimetizzato la sua virulenza, infettato sia l´estrema destra che l´estrema sinistra. L´odio anti ebraico si presenta nell´epoca attuale, non tanto come un odio razziale ma come un odio anti israeliano. Chi lo pratica –e sono tanti – si dichiara amico degli ebrei; peccato, però, che questi non si distacchino dal «loro» Stato, invasore, colonialista ed oppressore e, anzi, si permettano di bollare come antisemiti quanti criticano un paese semi-nazista. Ridotta ad una equazione elementare è questa la formula odierna dell´anti semitismo. E se si vuole combatterne l´intima pulsione è attorno a questa formula che bisogna confrontarsi. Non è, quindi, un caso se anche nella «black list» l´accusa principale a Rita Levi Montalcini e agli altri accademici sia di essere spie del governo di Gerusalemme. Se, però, l´obbiettivo scelto potrebbe lasciar supporre in questo caso una qualche ispirazione di ambienti «staraciani», è sul versante opposto che il veleno ha inquinato le menti con effetti ancor più devastanti. Prendiamo il caso della penosa condizione degli abitanti della striscia di Gaza, addebitata alla crudeltà israeliana da parte dei sostenitori del boicottaggio alla prossima Fiera del libro di Torino. Avendo indossato le vesti della indignazione etica l´esimio professor Vattimo e i militanti locali di Rifondazione e del Pdci, possono bellamente ignorare che il blocco di Gaza è solo la risposta al lancio dei missili Qassam effettuato da quella città contro i vicini paesi israeliani. E fingono di non ricordare che questi lanci sono stati 401 nel 2005, 1726 nel 2006, 1500 nel 2007. Tacciono, infine, sul fatto che i lanci quotidiani hanno una finalità politica esplicita: inasprire la situazione a tal punto da rendere impraticabile il tentativo di pace intrapreso da Abu Mazen e da Olmert, così da riproporre l´obbiettivo della distruzione dello Stato di Israele riaffermato da Hamas e da Hezbollah. E´ evidente che le critiche mosse alla politica israeliana nulla hanno a che vedere con l´ipocrita indignazione etica messa in scena a Torino. Si tratta, invece, di antisemitismo doc, verso cui non è consentita alcuna equidistanza, percepibile purtroppo in alcuni preoccupati distinguo degli organizzatori della Fiera. Come anche è difficile accettare l´ambigua indulgenza verso l´antisionismo dei vari Tarik Ramadan quando, invece, andrebbe apprezzato il coraggio di quegli scrittori arabi, come Fuad Allam, che dalle nostre colonne ha invitato gli intellettuali musulmani ad assumere anche loro la consapevolezza della Shoah, proprio per facilitare la convivenza dei due popoli nel Medio Oriente. Insomma: non chi critica la politica israeliana è antisemita (altrimenti lo sarebbero per primi gli scrittori onorati a Torino) ma chi ignora, nasconde e stravolge la verità dei fatti per innescare condanne morali generalizzate, supportate dai vecchi topos anti ebraici rinverditi per l´occasione. Non pochi possono cadere in buona fede in questa trappola mediatica, nutrita da antiche emotività sopite, preconcetti sedimentati, solidarietà mal riposte. Per non soggiacervi basterebbe analizzare ogni volta se il giudizio su Israele risponde o meno ai canoni che si applicano agli altri paesi, o se vi è un di più di emotività, di rabbia, di moralismo indignato. Sarebbe un termometro per misurare la presenza o meno di veleno antisemita. Faccio un esempio e chiudo: se la scelta della Fiera del Libro fosse caduta quest´anno sull´Iran invece che su Israele è immaginabile che qualche frangia della sinistra avrebbe protestato o qualche intellettuale espresso il suo sconcerto? Del resto qualcuno si è accorto che ancora il 6 febbraio, in una intervista a «Le Monde», il presidente dell´Iran, Ahmadinejad, ha ribadito che «la sporca entità sionista cadrà, presto o tardi. che non è perché è stata riconosciuta dall´Onu, ciò gli conferisca una legittimità... un popolo falsificato, inventato, non può durare; deve uscire da questo territorio». Negli stessi giorni è uscita la notizia che due donne di Teheran sono state condannate per adulterio dalla Corte suprema ad essere sepolte fino al collo e lapidate a morte. Non risultano proteste né indignazioni morali.
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