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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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Corriere della Sera - La Repubblica - Libero Rassegna Stampa
02.02.2008 Israele alla fiera del libro
diciasettesima puntata

Testata:Corriere della Sera - La Repubblica - Libero
Autore: Vera Schiavazzi - Massimo Novelli - un giornalista - Michele Bisceglia
Titolo: «Ramadan: boicottiamo Torino - Ramadan attacca la Fiera, non a Israele - Israele a Librolandia, nessun pentimento - Un feroce integralismo dietro la facciata soft - Ci stiamo impegnando per svelenire il clima - E' un'arena di confronto, sarà così pure ques»

Dal CORRIERE della SERA del 2 febbraio 2008, la cronaca di Vera Schiavazzi:

Nessuna marcia indietro, nessun «aggiustamento» in corsa nei programmi della XXI Fiera del Libro di Torino: Israele resterà il Paese ospite, tutti potranno parlare, la presenza di intellettuali arabi e palestinesi è già prevista, ma non ha nulla a che fare con la scelta dell'invitato d'onore, ruolo che in passato è già toccato, tra gli altri, a Lituania, Brasile, Portogallo, Francia, Canada. I vertici della manifestazione torinese — che quest'anno si terrà dall'8 al 12 maggio e avrà come tema la bellezza — rispondono così al richiamo arrivato con estrema nettezza da Franzo Grande Stevens, presidente della Compagnia di San Paolo, che sostiene la Fiera con un contributo di oltre 500 mila euro. Ma le polemiche non si placano, anzi sembrano estendersi: ieri il controverso intellettuale islamico Tariq Ramadan ha lanciato un appello per boicottare sia la Fiera del Libro di Parigi (15-19 marzo), sia quella di Torino. «Dovrebbero farlo — ha affermato — tutti coloro che hanno una coscienza viva, a prescindere dal loro credo, perché non si può approvare nulla che provenga da Israele. Stiamo assistendo alla distruzione di Gaza a causa dell'assedio israeliano, siamo obbligati a uscire dal nostro silenzio. È proprio il silenzio che produce violenza: non si tratta di una questione islamica o araba, ma di un problema di coscienza mondiale».
Le parole di Grande Stevens sembrano aver dato un contributo decisivo alla «linea della fermezza», e pare difficile che il mondo politico che sostiene la manifestazione possa tornare indietro. Il primo a ribadire che Israele non ha bisogno di «accompagnatori» per poter raccontare la propria cultura è stato il sindaco Sergio Chiamparino, che già nei giorni scorsi aveva fatto sentire la sua voce: «La sinistra sostiene ormai da tempo la linea dei "due popoli in due Stati". Se si afferma che il popolo israeliano non ha diritto di parola se non è affiancato da altri, si nega questa linea… Si tratta di una deriva integralista che purtroppo sta invadendo l'Europa e contagiando molti, proprio a sinistra. In questo senso, condivido fin dall'inizio il richiamo di Grande Stevens, che risulta ora quanto mai opportuno». Al sindaco fa eco lo storico e assessore regionale alla Cultura Gianni Oliva (la Regione, con circa 800 mila euro, è l'ente pubblico che dà il maggior contributo alla Fiera), che però aggiunge: «Abbiamo comunicato male, consentendo che chi voleva farlo potesse polemizzare sulla coincidenza tra presenza di Israele a Torino e sessantesimo anniversario della fondazione dello Stato ebraico, quasi che la dizione "ospite d'onore" implicasse una celebrazione della politica israeliana e non della cultura di un Paese e di un popolo che hanno molto da dire in questo campo e che perciò sono presenti nelle manifestazioni di molta parte del mondo. Indietro non si torna, occorre semmai un'"offensiva diplomatico- culturale" che sappia indurre i più aperti tra gli intellettuali del mondo arabo e palestinese a desistere dal boicottaggio ». La conferma delle scelte già compiute arriva anche dal presidente della Provincia, Antonio Saitta.
D'altra parte, si apprende da fonti della stessa Compagnia di San Paolo, la Fiera ha presentato, come ogni anno, una richiesta di contributi basata su un progetto che prevede Israele come Paese ospite: il comitato della fondazione si pronuncerà in merito in una delle tre sedute utili prima di maggio, ma se qualcosa cambiasse il mutamento andrebbe comunicato allo sponsor, che dovrebbe prenderne atto e valutare nel merito ogni novità. «Quella contro Israele a Torino è forse la più feroce serie di attacchi degli ultimi tempi», ha detto ieri Federico Motta, presidente dell'Aie, l'Associazione italiana editori.
Ma le diplomazie invocate da Oliva paiono già al lavoro: lunedì, a Torino, potrebbe arrivare Elazar Cohen, ministro plenipotenziario israeliano all'ambasciata di Roma, per sciogliere gli ultimi nodi insieme ai vertici della kermesse libraria. Oltre ai grandi nomi della letteratura israeliana, molti ospiti verranno scelti nella generazione più giovane: scrittori che non solo non hanno vissuto la Shoah, ma non hanno neppure partecipato — se non attraverso i racconti degli anziani — all'epica della fondazione dello Stato. Sono loro, oggi, a produrre spesso i testi più affascinanti e a poter forse costruire nuovi ponti con altre culture.

Una lettera di Ernesto Ferrero:

Credo che tutto nasca da un malinteso. La Fiera non intende festeggiare o celebrare un evento che per gli uni è felice e per gli altri è luttuoso. Le ricorrenze sono soltanto un'occasione per riflettere criticamente su fatti che ancora ci riguardano e ci scuotono. Il Lingotto è sempre stato un libero spazio di confronto di opinioni diverse, ha ospitato e ospiterà anche quest'anno scrittori arabi e israeliani come di qualsiasi altra nazionalità. Le idee non hanno passaporto e la porta è aperta a tutti. Tariq Ramadan è stato qui l'anno scorso, e l'abbiamo ascoltato con molto interesse. Non si capisce bene perché adesso non vuole che parlino anche degli altri.
Ernesto Ferrero

Dalle pagine culturali delle REPUBBLICA, una cronaca di Massimo Novelli.
Il sottotitolo afferma che le "accuse" dello "scrittore egiziano" Tarq Ramadan contro le "scelte del Salone torinese" "creano inquietudine".
"Inquietudine" ? Sarebbe stato meglio scrivere "indignazione", dato che le "accuse" di Ramadan sono in realtà un'adesione al boicottaggio antisemita contro tutto ciò che proviene da Israele.
Nel testo si legge poi che "Picchioni e Ferrero hanno tentato di andare incontro alle richieste degli artefici del boicottaggio". In realtà, per fortuna, la direzione della Fiera ha fin qui confermato l'invito a Israele, dunque non andando affatto incontro ai fautori della discriminazione.
Comunque, scrive Novelli,  che l'assicurazione che  "nei cinque giorni del salone «sarà garantita piena dignità» alla cultura palestinese. Ma non sembra un´apertura sufficiente".
"Apertura" a chi ? Agli intolleranti che vogliono che Israele sia uno Stato paria ? E da quale precedente posizione di "chiusura" ? Da quella che afferma la pari dignità delle culture ?
Nell'articolo leggiamo anche che "il vero rischio" 
è "che qualche gruppo estremista possa tradurre in fatti l´ostracismo allo stato di Tel Aviv, che finora è stato limitato a un boicottaggio su giornali e siti internet italiani e del mondo arabo". Noi ricordiamo che Israele non è "lo stato di Tel Aviv", essendo la sua capitale Gerusalemme. E osserviamo che i promotori del boicottaggio possono ben essere definiti "estremisti", al pari di chi volesse "tradurre in fatti" la loro campagna discriminatoria. Quest'ultimo, oltre che "estremista", sarebbe violento e criminale.

Ecco il testo completo:

L´ultimo attacco contro la presenza di Israele alla prossima Fiera del libro di Torino, in veste di ospite d´onore e dunque con i suoi scrittori e i suoi maggiori esponenti della cultura, viene da Tariq Ramadan. Il contestato intellettuale egiziano, nipote del fondatore della setta dei Fratelli musulmani, ha dichiarato ieri che è necessario «affermare in modo chiaro che non si può approvare nulla che provenga da Israele», e che perciò il boicottaggio della manifestazione torinese, lanciato qualche settimana fa da alcune unioni di scrittori arabi, è sacrosanto: «Non bisogna recarsi in un posto destinato a celebrare uno Stato che pratica l´omicidio e la distruzione». Una posizione «quantomeno bizzarra, la sua», commenta Ernesto Ferrero, direttore della fiera, «anche perché Ramadan, l´anno scorso, è stato da noi e ha tenuto senza problemi e senza censure un suo intervento. Trovo inaccettabile che la libertà di pensiero per lui vada in una sola direzione».
Sono giorni difficili, in sostanza, per la kermesse torinese che aprirà i battenti l´8 maggio. Avviata da un´iniziativa locale del Partito dei comunisti italiani, che ha chiesto di estendere l´invito ufficiale, oltre che a Israele, anche alla Palestina, la campagna di contestazione comincia a preoccupare seriamente i vertici della Fiera del libro e pure le autorità di polizia. Non è tanto per l´eventualità che qualche sponsor, intimorito da quanto sta accadendo, si possa ritirare. A questo proposito Rolando Picchioni, ai vertici di Librolandia con Ferrero, è categorico sulle voci che sono circolate: «Il rapporto con gli sponsor rimane fuori discussione». Il vero rischio, semmai, è che qualche gruppo estremista possa tradurre in fatti l´ostracismo allo stato di Tel Aviv, che finora è stato limitato a un boicottaggio su giornali e siti internet italiani e del mondo arabo. Ne sortirebbe una fiera in stadio d´assedio, con tutto ciò che ne potrebbe conseguire.
Picchioni e Ferrero hanno tentato di andare incontro alle richieste degli artefici del boicottaggio, assicurando che nei cinque giorni del salone «sarà garantita piena dignità» alla cultura palestinese. Ma non sembra un´apertura sufficiente. Intanto c´è già chi ipotizza che si possa recedere dall´idea di ospitare la nazione ebraica. Picchioni e Ferrero lo escludono. Però se dovesse accadere, come sostiene Tullio Levi, presidente della Comunità degli ebrei di Torino, «sarebbe un vero disastro». E oppone «alla campagna intimidatoria» una proposta: «Perché non invitare le tante associazioni che si occupano da tempo di integrare israeliani e palestinesi?».


Dalle pagine di Torino della REPUBBLICA una cronaca

Nessun ripensamento sull´invito a Israele come ospite d´onore alla Fiera del libro di maggio. Lo assicurano la Regione, la Provincia e il Comune di Torino, i maggiori soci della Fondazione che organizza la manifestazione del Lingotto e che il 5 febbraio si riuniranno appositamente per fare il punto della situazione. E Rolando Picchioni, che presiede l´ente, a sua volta, insieme al direttore Ernesto Ferrero, nega che «ai diversi livelli della Fondazione esistano tentennamenti di sorta o riposizionamenti tattici o di comodo sulla questione». Un conto, dunque, è garantire una adeguata presenza dell´altra faccia dello stato ebraico, vale a dire la Palestina, come è stato annunciato; un altro è quello di fare marcia indietro su Israele e cedere «alla censura», oppure a «ogni altra forma d´intolleranza e di discriminazione».
Nel frattempo, però, la campagna di boicottaggio di Librolandia non si ferma. Anzi. A sentire le dichiarazioni di Tariq Ramadan, il discusso intellettuale egiziano che proprio alla fiera torinese prese parte liberamente nel 2007 (ora pare essersene scordato), la contestazione potrebbe investire pure il Salone del libro di Parigi, in programma a marzo. Un salone che, in sintonia con Torino, mette in vetrina la cultura israeliana, ma che finora era rimasto fuori dall´ondata di proteste che partono da certi settori della sinistra radicale e comunista italiana, oltreché, naturalmente, dal mondo arabo e palestinese. Dietro a queste proteste si nascondono certamente gli «intrighi, i boicottaggi, i campanilismi, gli scontri ideologici» di cui parla Federico Motta, presidente dell´Associazione italiana editori. I toni da guerra fredda, da odio razziale, da «campagna discriminatoria», per citare Tullio Levi, che guida la Comunità ebraica di Torino, si sprecano. Così come i fraintendimenti voluti, le strumentalizzazioni. Sicuro è che, per dare voce ancora a Motta, «la Fiera del libro è un appuntamento importante per questo scambio di culture, di tutte le culture». C´è comunque chi, di fronte a una verità del genere, preferisce restare sordo, sebbene ci senta benissimo.
La bufera su Librolandia approda, ovviamente, nei palazzi della politica. La democrazia vuole che tutti possano dire la loro, seppure a volte non abbiano niente da dire o che non sia già stato detto. A ogni modo Forza Italia e Lega Nord hanno chiesto di portare la spinosissima querelle in consiglio comunale, e il sindaco Sergio Chiamparino li ha accontentati: se ne discuterà lunedì in Sala rossa. Parimenti l´Udc, a Palazzo Lascaris, vuole che se ne dibatta. «Visto l´inasprimento del dibattito fatto registrare in questi giorni», hanno sostenuto Franco Guida e Giampiero Leo, «occorre che la questione venga affrontata dalla commissione competente e soprattutto in Consiglio regionale». E sia. Anche se, a questo punto, le parole dei politici sembrano poter aggiungere davvero poco a una vicenda che va ben al di là di tutti loro.
In ogni caso, rammenta Fiorenzo Alfieri, assessore alla Cultura del Comune di Torino, «siamo in ballo, balliamo e balleremo. Si poteva immaginare da subito che l´idea di portare la cultura israeliana alla Fiera potesse destare problemi. Ma è stato un atto coraggioso e intelligente». Se non altro, si può aggiungere, nessuno poteva prevedere ragionevolmente che una tragica eco del passato, quello in cui si discriminava una «razza», una religione, un popolo e la sua cultura, riuscisse a risuonare ancora.

Un'intervista a Sergio Chiamparino, sindaco di Torino:

«Nessuna marcia indietro. Anzi, la posizione di quelli che attaccano la scelta di Israele come paese ospite della Fiera nasconde, dietro una facciata soft, un feroce integralismo». Il sindaco Sergio Chiamparino lunedì in Sala Rossa, alla vigilia del consiglio di amministrazione della Fondazione, ribadirà la posizione del Comune e il pieno appoggio al presidente della Fiera del Libro, Rolando Picchioni.
Signor sindaco, non era meglio scegliere un altro Paese per evitare le polemiche?
«Sapevamo benissimo che la scelta di Israele avrebbe innescato questa querelle. Un rischio che abbiamo deciso di assumerci».
Perché?
«Chi attacca la Fiera non si rende conto che la decisione di ospitare Israele è plurale e democratica».
Le bordate arrivano anche dalla politica, sinistra compresa. Come le giudica?
«La politica dovrebbe star fuori, fare un passo indietro. Si tratta di un´iniziativa culturale e negare ad Israele la possibilità di partecipare alla Fiera vuol dire negare che possa esistere uno Stato e una cultura ebraica. Questo va contro ciò che sosteniamo da sempre: due stati e due culture, una ebraica, l´altra palestinese. E poi non c´è bisogno di questa querelle per evidenziare la distanza che c´è tra una parte del centrosinistra ed esponenti come Chieppa».
I critici lamentano che non c´è confronto. Cosa ribatte?
«Alla Fiera sono stati invitati rappresentanti palestinesi. Le occasioni di confronto non mancano. Se gli invitati si rifiutano non è colpa degli organizzatori».

E una ad Antonio Saitta, presidente di dell'Amministrazione provinciale di Torino:

LE POLEMICHE insorte sulla presenza di Israele alla prossima Fiera del Libro amareggiano Antonio Saitta. Di ritorno dall´assemblea generale in Spagna di «Arco latino», la rete che comprende settanta tra province italiane, deputazioni spagnole e dipartimenti francesi), che lui guida per il biennio 2007/2009, il presidente dell´Amministrazione provinciale di Torino è sconfortato soprattutto da quella che definisce una strumentalizzazione politica.
Non è così, presidente Saitta?
«Sì, è così. Intanto devo dire che mi amareggiano le polemiche sull´invito a Israele come paese ospite anche perché da diversi mesi lavoro a un´iniziativa che sarà d´aiuto per svelenire il clima e che, forse, non è ancora stata adeguatamente illustrata. Lo spazio di "Lingua Madre" alla Fiera, infatti, sarà dedicato al 2008 come anno europeo del dialogo interculturale. E proprio a cura di «Arco Latino» verranno presentate le espressioni della riva sud del Mediterraneo, contenitore e mezzo di comunicazione della nostra millenaria storia europea. Sarà un palcoscenico a più voci in cui tutte le anime del Mediterraneo avranno il loro spazio».
Restano, però, i boicottaggi minacciati contro la Fiera del Libro. Che cosa ne pensa?
«Ritengo che sia comunque sconfortante pensare che venga utilizzata la polemica politica strumentalizzando proprio il libro, che da sempre è un tramite della conoscenza reciproca tra le persone».

E una all'assessore regionale alla Cultura Gianni Oliva:

Assessore Oliva, le polemiche sull´invito a Israele al Salone del Libro vi faranno tornare sui vostri passi?
«No, il Salone del Libro è sempre stato un´arena di confronto culturale in cui sono stati invitati autori di ogni lingua e nazionalità. Sarà così anche quest´anno».
Palestinesi e arabi minacciano il boicottaggio perché il loro invito sarebbe un risarcimento. Cosa replica?
«Che non è vero. In particolare nello spazio Lingua Madre, gestito dalla Regione, quest´anno è stato previsto un calendario di appuntamenti con autori siriani, palestinesi, libici, libanesi così come armeni o sudamericani. Insomma un panorama a 360 gradi di scrittori che abbiano prodotto libri che parlano della loro terra. Programma e inviti sono stati fatti ben prima che scoppiassero le polemiche di questi giorni».
L´invito a Israele è stato fatto proprio per il 60esimo anniversario della costituzione dello Stato Ebraico. Non è una provocazione per i palestinesi?
«L´invito è rivolto a una cultura che negli ultimi decenni ha dato autori di fama mondiale, tradotti in tutte le lingue, come Amos Oz, David Grossman e Abraham Yehoshua, per dire solo i tre nomi più famosi. Tutti, in particolare Yehoshua che è pacifista convinto, nelle loro opere hanno analizzato in chiave critica la vicenda storica di Israele dal 1948 ad oggi. Tutti e tre sono molto critici nei confronti della politica di Israele nei Territori. Da sempre la coscienza critica di Israele, quella di chi ha chiesto il dialogo con gli arabi, è nella letteratura. Trovo un paradosso che rischi di diventare ragione di boicottaggio».

Da LIBERO un articolo sul fronte dei sostenitori del boicottaggio:

I famosi Qassam che colpiscono Israele sono solo «rudimentali razzi che producono più rumore che danni». Garantisce Sergio Cararo, co-fondatore del Forum Palestina che spiega come non abbia proprio senso paragonarli al «progetto di strangolamento e annientamento militare, economico, umano dei palestinesi di Gaza da parte delle autorità israeliane». Cararo, piuttosto, si preoccupa per «il silenzio e la complicità politica e intellettuale [che] consentono queste e altre aberrazioni». Una di queste aberrazioni è ovviamente l'invito rivolto dalla Fiera del Libro di Torino a Israele e ai suoi scrittori: «La decisione - spiega Cararo in un documento pubblicato sul sito del Forum - ha suscitato prima preoccupazioni e poi la messa in campo di iniziative di controinformazione e boicottaggio». Perché Israele, secondo Cararo e tutte le altre associazioni mobilitate, non è uno Stato normale e «difficilmente appare in grado di diventarlo, ostaggio com'è dei circoli sionisti e oltranzisti che ne determinano le scelte strategiche e il rapporto verso i palestinesi e il resto dei Paesi circostanti». Siamo nel 2008, esattamente sessant'anni fa nasceva lo Stato ebraico: la dichiarazione di indipendenza pronunciata da Ben Gurion il 14 maggio del 1948 è per i palestinesi l'inizio della nakba, della catastrofe. Così, Maurizio Musolino - direttore de "La rinascita della sinistra", organo del Partito dei Comunisti italiani - mette la questione nero su bianco: «La scelta di dedicare l'edizione 2008 della Fiera del Libro di Torino ad Israele è semplicemente vergognosa». «La kermesse piemontese - continua Musolino - avrebbe potuto tenere al centro dell'edi zione 2008 le mille sfaccettature e ricadute di quanto avvenne sessant'anni fa. Certamente la nascita dello Stato di Israele, ma anche l'inizio della tragedia palestinese. Avrebbe potuto, ma non lo ha fatto». E infatti il segretario provinciale del partito Vincenzo Chieppa ha indossato i panni del mediatore-provocatore, dando fuoco alle polveri con la proposta di invitare alla Fiera del Libro anche l'Autorità palestinese. La secca risposta arriva da Omar Barghouti, fondatore della Campagna palestinese per il boicottaggio: «Non esistono vie di mezzo tra oppressore e oppresso. Cercarle significa appoggiare l'oppressore». Stefania Limiti - membro del Comitato per non dimenticare Sabra e Chatila - è convinta che «ciò che sta avvenendo a Torino è proprio la dimostrazione di quanto ci sia bisogno anche in Italia di una analisi più approfondita dei meccanismi di controllo e persuasione esercitata dalle nostrane lobby sioniste». Certo, anche in Italia come negli Stati Uniti. E, per bocca di Alfredo Tradardi, parla l'Inter national solidarity movement: «L'invito dà a Israele la possibilità di fare propaganda, ribaltando grazie agli scrittori l'immagine di uno stato protagonista sessant'anni fa di un'opera zione di pulizia etnica». L'Unione democratica arabo-palestinese invita quindi a «smascherare il sionismo e la sua propaganda criminale, è un dovere morale e umano per chi lotta per la giustizia e la pace»: David Grossmann, Amos Oz e Abram Yeoshua sarebbero perciò «un gruppo di scrittori sionisti molto coccolati in Europa che conducono una grande campagna di mistificazione di fronte all'opi nione pubblica europea con la scusa di lavorare per la pace». E da Roma interviene Abu Dawood, vicepresidente della comunità palestinese del Lazio: «Chi oggi avvalla le ragioni dell'occupante Israeliano lo fa consapevole di sostenere il razzismo e la repressione nel mondo, ma non ha il diritto di usare un evento culturale per far passare le politiche criminali e di apartheid dello stato d'Israele». Stato, per Dawood, non solo razzista ma anche «pirata». Comunque, Saud Qubaylat - presidente della Lega degli Scrittori Giordani - assicura, bontà sua, che il boicottaggio della Fiera non intacca i rapporti tra Italia e arabi: «Noi, in quanto giordani e arabi, condividiamo con il popolo italiano elementi comuni che risalgono a migliaia di anni fa. Oltre a essere vicini nel bacino mediterraneo, rappresentiamo anche il mondo antico e in passato siamo stati i capi di questo mondo antico». Capi di un mondo antico con o senza ebrei?

Alcune lettere sul boicottaggio della Fiera inviate al MANIFESTO:

Solo utili alla causa?
La cosa che più mi stupisce nella polemica sull'invito a Israele per la prossima Fiera del Libro di Torino è il modo in cui veniamo considerati noi. Intendo noi intellettuali, scrittori, cineasti, artisti. Sembra che la nostra presenza non corrisponda a altro che a una specie di arruolamento da parte del potere, che non siamo altro che pedine manovrate da un qualche funzionario di governo. Che non sia importante quello che diciamo o pensiamo, ma semplicemente quello che rappresentiamo da un punto di vista anagrafico. E' come se, negli anni del governo Berlusconi (e in quelli a venire, ahimé), ogni volta che andavamo a un festival o a una manifestazione internazionale, io e i miei colleghi non rappresentassimo (spesso in modo critico) gli italiani e la società a cui apparteniamo, ma solo il governo in carica. Pensare al ruolo degli intellettuali in modo così riduttivo genera una tristezza infinita, perché rivela un vecchio meccanismo inconscio nella storia della sinistra: considerare buoni solo gli intellettuali che sono «utili alla causa». Io sono convinto che nel conflitto mediorientale non si possa fare a meno di stare con i palestinesi. Ma proprio per la sua natura di incontro tra scrittori e pubblico, la Fiera è l'occasione per parlare e dire cose non scontate sulla questione. Rispondere col muro del silenzio e del boicottaggio è cadere nella stessa logica di chi i muri veri li costruisce per dividere i popoli e gli individui.
Davide Ferrario
regista e scrittore

Voglio scegliere
Caro Parlato, ho letto con molto interesse la pagina del manifesto domenica. Mi permetta di dare la mia lettura del messaggio che annunciava il boicottaggio, così come mi si è coscientemente imposta quando ho ricevuto l'appello per il boicottaggio. Stabilito che ospite d'onore alla Fiera del libro del prossimo maggio sarà lo stato di Israele, l'appello da me ricevuto proponeva un impegno che andava: «Dalle pressioni sul marketing al boicottaggio delle case editrici che accetteranno di esporre alla Fiera senza prendere una posizione decente sull'inopportunità di dedicarla a Israele, dall'allestimento di un contro-salone del libro alternativo a quello ufficiale». Nulla però si diceva sui fatti che avrebbero supportato «censure», decise dal Cda della Fiera nei confronti di libri che non fossero «allineati» su un sostegno alle scelte politiche del governo di Israele nei confronti dei palestinesi, e, quel che mi ha turbato, si chiedeva una dichiarazione «ideologica» preventiva alle case editrici in merito alla scelta dell'ospite privilegiato della Fiera del libro, cui dovrebbe seguire un boicottaggio delle case editrici inadempienti. Sono consapevole della gravità e dell'inaccettabilità della ormai quarantennale occupazione militare, delle violenze perpetrate, della devastazione che l'esistenza del muro comporta, ma non capisco perché rifiutare l'ascolto (e possibilmente il colloquio: ne è stata preventivamente negata la possibilità?) a persone (come molti degli scrittori israeliani che leggo e apprezzo) che aiutano a porre dubbi e domande (più importanti e stimolanti, a mio parere, di precostituite univoche affermazioni). Davvero è utile per il popolo palestinese (cui è impedito incontrarsi con israeliani, specularmente impediti nell'accesso ai Territori Occupati) mantenere, anche lontano dalla loro terra, questo ferreo principio di inimicizia imposta?). Maggiori informazioni aiuterebbero me - e non solo me - a capire di più e potrebbero (lo spero) alleviare il peso di quella proposta di «boicottaggio delle case editrici che accetteranno di esporre alla Fiera senza prendere una posizione decente sull'inopportunità di dedicarla a Israele». Se aderissi all'invito come proposto lascerei a altri il diritto di scegliere le mie letture, il che mi ricorda il clima immaginato per 1984 da Orwell, e dovrei sostituire l'impegno a rendermi conto con l'acquiescenza a opinioni altrui fondate su un divieto.
Augusta De Piero
Mi è piaciuto

Voglio esprimere il mio più profondo ringraziamento a Valentino Parlato, per il suo bellissimo articolo contro il boicottaggio alla Fiera del libro pubblicato sul il manifesto del 24 gennaio scorso. Con un cordiale e amichevole saluto.
Stefano Cattaneo
Viola le risoluzioni Onu
Caro Valentino, mi dispiace ma la tua risposta di domenica, 27 gennaio, non mi ha affatto convinta: Israele è uno stato razzista che giustifica la propria infamia ammantandosi dell'Olocausto, del quale tra l'altro gli ebrei non sono state le uniche vittime. Condannare lo stato di Israele non significa condannare gli ebrei in quanto tali, mentre tollerare la politica di questo stato razzista significa avallare i suoi soprusi sulla popolazione palestinese, in esplicita violazione degli accordi di Ginevra a tutela delle popolazioni occupate, e le sue punizioni collettive che sono crimini contro l'umanità.
Israele non ha mai rispettato le decine di risoluzioni delle Nazioni unite nella più totale impunità e quindi non ha ragione alcuna di essere difesa e accolta come se niente fosse: le persone civili che hanno patito offese e persecuzioni non le infliggono a altri. E noi ci vantiamo per la moratoria sulla pena di morte mentre lasciamo bombardare e bombardiamo noi stessi.
Paola Ferroni, Sala Bolognese
Invitata...
Le polemiche di questi giorni sulla Fiera del Libro di Torino mi inducono a intervenire, dal momento che sono stata invitata anch'io a presentare il mio libro appena uscito dall'editore Carocci, proprio sulla cultura palestinese. Inizialmente avevo accolto l'invito con molto piacere, ma aver saputo che l'ospite d'onore non era più l'Egitto, così com'era stato annunciato, ma Israele, mi ha lasciato perplessa. Quindi ho scritto a Ernesto Ferrero una prima lettera il 17 dicembre 2007, chiedendogli se per par condicio ci sarebbe stato anche «uno spazio sostanzioso dedicato alla Palestina, visto che Israele e Palestina sono due realtà sullo stesso territorio». Avevo anche suggerito i nomi di alcuni scrittori e poeti arabi da invitare, nella speranza che prevalesse la linea della mediazione tra le persone che stavano chiedendo un ripensamento e i dirigenti della Fiera. Ma visto che queste richieste non sono state accolte, e intanto scrittori invitati come Ibrahim Nasrallah facevano sapere che non ritenevano di poter partecipare in quelle condizioni, il 19 gennaio 2008 ho espresso la mia chiara posizione in merito, e cioè che anche se ritenevo «più utile per la Palestina essere presente, sempre che ci fosse stato uno spazio più che dignitoso per i palestinesi», se avesse prevalso la linea della non partecipazione, avrei assunto la stessa posizione dei palestinesi.
Non può sfuggire il significato politico più che culturale della manifestazione. Mi domando: c'è ancora lo spazio per una mediazione? Forse la Fiera potrebbe avere un ripensamento e invitare come ospiti d'onore entrambe le culture, la palestinese e l'israeliana, e non farne una questione di stati, tanto più che quello palestinese è inesistente. Si potrebbe così dialogare e confrontarsi civilmente, com'è giusto che si faccia in un salone storico e prestigioso come quello di Torino.
Isabella Camera d'Afflitto
Facoltà di Studi orientali La Sapienza università di Rom

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