L´allarme per Librolandia - Ora spero che le istituzioni non tornino sui propri passi - Amman capofila della protesta - Alla Fiera del libro Israele e Palestina sullo stesso piano - La normalità negata - L'errore della sinistra su Israele - Gli arabi disertano. Peggio per loro - Lettera a Valentino Parlato
Da La REPUBBLICA del 31 gennaio 2008, la cronaca di Massimo Novelli e Nicolò Zancan:
Fiera del libro, del confronto tra culture, di pace? Oppure Fiera dell´odio tra i popoli, con il rischio che qualche folle, quando la manifestazione del Lingotto aprirà i battenti a maggio, decida di «boicottare» a suo modo, con la violenza o qualche gesto sconsiderato, la presenza di Israele in veste di ospite d´onore? Alla Fondazione per il libro, per la musica e per le attività culturali, che organizza la Fiera internazionale del libro di Torino, non si nascondono le preoccupazioni. Le dure e persistenti polemiche di questi giorni contro la partecipazione israeliana, che stanno agitando il mondo arabo e le unioni degli scrittori egiziani, giordani e palestinesi, hanno lasciato il segno e potrebbero degenerare. C´è il pericolo, in sostanza, di avere una Librolandia blindata, in stato d´assedio, e si cerca di correre ai ripari per evitarlo, senza tuttavia fare una completa marcia indietro. Non si può recedere dalle scelte prese, ossia l´invito a Israele, e nel contempo bisogna trovare un sistema per fermare la campagna contro la Fiera, per evitare l´annunciato boicottaggio.
La Digos di Torino, a ogni modo, sta seguendo tutta la vicenda con estrema attenzione. E lo fa da tempo. Il primo rapporto sui potenziali rischi della Fiera risale a sei mesi fa. «Prendiamo atto che sono state toccate delle sensibilità, - spiega il vicequestore Giuseppe Petronzi - è inevitabile quindi dare una maggiore attenzione all´evento». Un´attenzione che potrebbe tradursi anche in un aumento delle misure di sicurezza nei giorni della manifestazione. Ma è ancora presto. Ci sono margini per allentare le tensione». Che comunque «finora è rimasta circoscritta in ambito letterario», come spiega una qualificata fonte dell´Antiterrorismo.
Allentare la tensione, aprire delle porte, degli spiragli. In questo senso la prima mossa l´ha fatta Rolando Picchioni, presidente della Fondazione, un incarico tra l´altro in cui dovrebbe essere riconfermato alla scadenza, dopo la Fiera di maggio, del suo mandato. Il 24 gennaio ha inviato una lettera a Vincenzo Chieppa, il segretario dei Comunisti italiani che per primo ha osteggiato l´invito allo Stato ebraico, con l´intento di smuovere le acque. Pur ammettendo che «è stata ampiamente riconosciuta l´impraticabilità di rivedere la partecipazione di Israele quale ospite d´onore per il 2008», afferma che «si è convenuto tuttavia sulla necessità di offrire l´approfondimento più completo e pluralistico alle voci e alla complessità di quest´area geografica, garantendo pari dignità all´espressione della cultura palestinese».
Picchioni si augura quindi che la strada indicata sia «praticabile», che possa mettere d´accordo i contendenti. Ma la soluzione prospettata dal presidente della Fondazione, che parrebbe di buon senso e nel segno del dioalogo, non sembra destinata a ricevere un´accoglienza positiva, come peraltro anticipa Chieppa nell´intervista a Repubblica. La scottante questione sarà al centro della seduta del consiglio d´amministrazione della Fondazione, in calendario per il 5 febbraio. Una riunione che, visto quanto sta avvenendo, non si annuncia come delle più facili.
Un'intervista a Rolando Picchioni, presidente della Fondazione per il libro:
Israele, ovvero la pietra dello scandalo. O meglio: un macigno che incombe sulla Fiera del libro. A Rolando Picchioni, presidente della Fondazione per il libro, domandiamo: come intende uscire da questa situazione a dir poco critica, a tre mesi circa dall´apertura della nuova edizione della kermesse del Lingotto?
«Certamente non è semplice, non è piacevole, non è facile uscire da questa situazione. Una situazione che chiaramente non mi piace. Se ci sono chiusure da una parte, del resto, non mancano irrigidimenti dall´altra. Noi vogliamo garantire, come il nostro direttore Ernesto Ferrero ha detto ormai più volte, la massima libertà di espressione, di confronto, di dibattito fra la cultura israeliana e quella araba, quella palestinese. E stiamo lavorando concretamente affinché l´occasione avvenga. Non fatemi dire altro: solo che si sta lavorando in quella direzione»
Chieppa, il segretario dei comunisti italiani, il primo a criticare la vostra scelta, vorrebbe che insieme a Israele venga invitata in forma ufficiale pure l´Autorità palestinese. Si può fare?
«Vorrei precisare che nella lettera inviata a Chieppa ho riportato fedelmente quanto è emerso nell´incontro che abbiamo avuto con lui e con i suoi collaboratori. Direi che si tratta di una trascrizione oggettiva del contenuto del nostro colloquio. Io ho fatto loro un´offerta».
Che tipo di offerta?
«Quella, per l´appunto, di avere in Fiera, con Israele, anche l´altra faccia della luna, cioè i palestinesi. D´altronde è nel nostro Dna, dico quello della Fiera del libro, di non erigere muri, bensì di abbatterli. L´anno scorso, per esempio, abbiamo avuto Tariq Ramadan, considerato un incendiario. Quest´anno ci saranno gli scrittori israeliani. Il fatto di avere Israele e la sua cultura come ospiti, poi, non ha niente a che fare con la questione del sessantesimo anniversario della fondazione dello Stato ebraico. Si tratta di una coincidenza, tutto qui. In realtà doveva venire il Cile, che tuttavia era già impegnato con un evento analogo in Perù. Si è pensato allora all´Egitto, ma pure in questo caso sono insorte difficoltà organizzative da parte loro, e quindi all´India, con analoghi problemi. Alla fine si è arrivati a Israele. Però noi non vogliamo celebrare il suo anniversario, non desideriamo fare dell´agiografia. Qui a Torino sarà di scena la sua cultura, spesso critica e scomoda per il governo, per lo Stato di Tel Aviv. Ne può sortire una occasione unica, almeno per l´Italia, di dibattito senza steccati, tra tutti, arabi ed ebrei. È un´occasione da cogliere, che può diventare un esercizio di coscienza critica collettiva, peraltro con un grande risalto a livello mediatico».
Non ha paura che le contestazioni possano trasformarsi nel corso della manifestazione, a maggio, in atti violenti di boicottaggio della presenza israeliana da parte di qualche gruppo arabo estremista?
«Temo tutto, è il mio grande cruccio. Ho il conforto di tanta gente, anche se il buon senso sovente è in minoranza. Certo, c´è la possibilità che qualche avventuriero possa rovinare la ventunesima edizione della Fiera del libro. Martedì prossimo, in ogni caso, ci riuniamo, ci sarà una seduta del consiglio d´amministrazione della Fondazione. Occorrerà che tutti, a cominciare dalle istituzioni pubbliche, intanto rispettino le decisioni assunte e si assumano le loro responsabilità, come stiamo facendo noi della Fiera. Bisognerà inoltre fare una riflessione aggiuntiva, alla luce degli sviluppi della polemica verso il nostro invito agli israeliani. Ho anche un altro timore: non vorrei che tutto si tramutasse in uno spettacolo di ombre cinesi».
Un'intervista a Vincenzo Chieppa, segretario provinciale del Partito dei comunisti italiani, dal quale è stata lanciata l'iniziativa per il boicottaggio della Fiera:
Vincenzo Chieppa, segretario provinciale del Partito dei comunisti italiani, è l´esponente politico torinese che ha dato il via alle roventi polemiche, che continuano, sulla decisione dei vertici di Librolandia di scegliere Israele come nazione ospite d´onore nell´edizione del prossimo maggio. Dalle polemiche, poi, si è arrivati a una vera campagna di boicottaggio della partecipazione dello Stato ebraico, soprattutto da parte di alcune associazioni di intellettuali arabi. E ora c´è chi teme che, durante la manifestazione del Lingotto, qualcuno possa passare dalle parole ai fatti, usando la violenza.
Non ha paura anche lei, Chieppa, di questa eventualità?
«La madre degli imbecilli è sempre incinta, si sa. Ma mi auguro, ovviamente, che l´adagio non valga per la Fiera del Libro. Anche perché la nostra battaglia politica si è svolta e si svolge in modo pacifico e assolutamente corretto, nei binari della normale dialettica democratica, del confronto. E, del resto, noi non abbiamo mai detto di non invitare Israele alla prossima Fiera del Libro».
Le cronache di queste settimane, tuttavia, dimostrerebbero il contrario. Non le pare?
«Siamo stati fraintesi e, in taluni casi, siamo stati strumentalizzati. Noi abbiamo chiesto alla Fiera, invece, di far venire, insieme allo stato di Tel Aviv, anche le autorità palestinesi con la loro cultura, con i loro scrittori. Due paesi ospiti, insomma, con la stessa pari dignità e la medesima ufficialità, dato che la Palestina è l´altra metà della mela, per così dire, di Israele. É una richiesta precisa, netta, puntuale, alla quale finora non è stata data risposta».
Però Rolando Picchioni le ha inviato una lettera, il 24 gennaio, in cui si garantisce «pari dignità all´espressione della cultura palestinese in tutti i suoi molteplici aspetti». Non è sufficiente questo parziale dietrofront?
«No, non basta. È soltanto una maniera di girare attorno al problema, senza risolverlo. E tutto ciò perché l´invito a Israele, come è stato annunciato alla conferenza stampa di presentazione della Fiera del Libro, è un invito ufficiale allo Stato di Israele, non ai suoi intellettuali, con lo scopo di celebrare il sessantesimo anniversario della sua fondazione. Quindi è da considerarsi un atto politico. Chiediamo perciò, anche alla luce di quanto sta accadendo in questi giorni in Palestina, che la Fiera compia un altro atto politico, invitando con gli stessi crismi di ufficialità le autorità e gli scrittori, i poeti e via dicendo, di un popolo senza Stato: il popolo palestinese. Noi, in ogni caso, continueremo a lavorare per la pace e per la riconciliazione, con la consapevolezza che una pace duratura sarà possibile solamente con la libertà e l´autodeterminazione dei palestinesi».
Un articolo di Angela Lano:
A cento giorni dalla Fiera del libro, cresce la tensione attorno alla kermesse culturale che quest´anno ha scelto Israele come ospite d´onore, scatenando il boicottaggio da parte degli arabi. La Digos ammette che i controlli saranno intensificati, ma sottolinea come finora le polemiche siano solo a livello letterario. Altrettanto preoccupato è Rolando Picchioni, il presidente della Fiera: «Non è semplice uscire da questa situazione: ora spero che le istituzioni non tornino sui propri passi»
Nei media egiziani viene fatto notare che gli accordi assunti con gli organizzatori prevedevano la candidatura dell´Egitto, quest´anno, come ospite d´onore, per ricambiare la presenza italiana alla Fiera del Libro del Cairo, l´anno scorso. Il sito del quotidiano egiziano Al-Masri Al-Youm (www. almasry-alyoum. com) riporta l´appello di istituzioni culturali egiziane e arabe a boicottare il padiglione italiano alla Fiera internazionale del Libro del Cairo per protestare contro la presenza di Israele al Salone di Torino. Anche la Lega degli scrittori giordani e tunisini ha diffuso due comunicati di protesta. Il giordano Akhbar al-lam, riferisce che «la Lega degli scrittori giordani ha deciso di boicottare la Fiera del Libro di Torino dedicata a Israele». Il presidente, Saud Qubaylat, ha lanciato un appello agli scrittori e agli intellettuali italiani e a «tutte le forze democratiche e pacifiste in Italia, affinché aderiscano alla campagna che prenderà il via domani ad Amman per il boicottaggio della Fiera del Libro di Torino». Articoli di protesta sono stati pubblicati su numerosi altri giornali arabi e relativi siti, come l´americano At-Tajdîd al-´Arabî (Arab Renewal, www. arabrenewal. org), Al-Khaleej (www. alkhaleej. ae edito negli Emirati Arabi), www. kuna. net. kw/, www. watanpress. com.
Da La STAMPA, un'intervista a Gianni Oliva, assessore regionale alla Cultura in Piemonte:
Credo che le critiche alla Fiera nascano in buona parte da un equivoco: nessuno ha invitato uno Stato a presentare se stesso, né un governo a parlare della propria politica estera. L’invito è stato rivolto alla Letteratura di una nazione, agli scrittori, ai poeti, ai saggisti che la compongono». Gianni Oliva, assessore regionale alla Cultura, rispedisce al mittente le tante critiche piovute sulla scelta di Israele come paese ospite della prossima Fiera del Libro, e proprio nell’anno del 60° anniversario dell’indipendenza. «La letteratura - insiste Oliva - è per sua natura “plurale”, esprime punti di vista, attitudini, sensibilità diverse, voci libere e critiche...».
Nessun pentimento, assessore, dopo le proteste e gli annunci di boicottaggio degli autori arabi?
«Il boicottaggio è sbagliato, non è lo strumento adatto per far sentire le proprie ragioni. Nella Fiera ci sarà tutto lo spazio per confrontarsi. E sarebbe bello che personaggi come David Grossman o Amos Oz discutessero con autori palestinesi, come hanno fatto innumerevoli altre volte in tante sedi».
Il fatto è che gli scrittori palestinesi, tra le altre cose, dicono che sia tardi per recuperare, per rimediare.
«Tardi non credo. Gli inviti per la sezione Lingua Madre, pensata proprio come spazio del confronto tra culture e gestita dalla Regione, sono partiti subito: ad autori palestinesi, libanesi, siriani, libici. Tutti gli altri appuntamenti sono ancora da organizzare. Posso assicurare che non sono mai stati fatti “ripescaggi”. Poi, è talmente lontana dallo spirito della Fiera di Torino l’idea di fare l’agiografia delle scelte del governo israeliano...».
Non è ipotizzabile che la Fiera cambi i suoi programmi?
«No, lo ripeto, perché ad essere invitata è stata la letteratura di Israele. E lo si è fatto pensando subito al confronto con la letteratura palestinese. L’anno prossimo, poi, la letteratura invitata sarà quella egiziana».
Questo potrebbe sgombrare il campo dai dubbi. Peccato che gli autori palestinesi ribadiscano in ogni occasione che a Torino non verranno, aggiungendo che la Fiera del Libro è poca cosa se confrontata con altre manifestazioni.
«Certo, la nostra Fiera non incide sulla politica estera di nessuno... Il nostro obiettivo è far conoscere una letteratura che, nascendo in un paese in conflitto, riflette continuamente la guerra e le contraddizioni che essa determina. Lo facciamo coinvolgendo voci in massima parte critiche nei confronti delle scelte israeliane».
Ieri, sul muro di un magazzino che appartiene a un architetto palestinese di cittadinanza israeliana, sono comparse tremende parole antisemite. C’è chi sostiene che le polemiche nate intorno alla prossima Fiera del Libro non facciano del bene...
«Certe scritte turpi possono solo essere opera di irresponsabili. Se le forze dell’ordine li troveranno, come Regione siamo disposti ad invitarli ad Auschwitz, con uno dei Viaggi della Memoria: certi gesti nascono dall’ignoranza e dall’intolleranza, di sicuro non dal confronto».
Da AVVENIRE, un intervento di Edoardo Castagna:
Prendiamo l’ultimo inserto domenicale di uno dei principali quotidiani nazionali. La storia di copertina è un’inchiesta su quanti stentano ad arrivare a fine mese. Poi viene un servizio sui nuovi, avveniristici edifici di un campus universitario, poi un approfondimento sulla qualità della vita degli ultrasessantenni, e così via, tra una pubblicità dell’Ikea e una pagina di ricette al pollo. Un giornale normale, che si rivolge a un pubblico normale, in un Paese normale? No, perché il giornale è il «Jerusalem Post», e lo Stato è Israele. Uno Stato al quale la normalità continua a essere negata: non solo dai razzi Qassam sparati da Gaza, non solo dagli attentati kamikaze (arginati ormai da più di un anno grazie al famigerato «muro»). La normalità è preclusa a Israele e agli israeliani a ogni passo, in ogni parte del mondo. Di questi giorni è la proposta di boicottare la prossima Fiera del libro di Torino, «rea» di aver invitato Israele come Paese ospite. E per di più mentre Gaza vive un’altra, ennesima stagione di sofferenza. E per di più nel sessantesimo anniversario di una fondazione vissuta come un’onta da lavare da gran parte del mondo musulmano, e di riflesso dai suoi sostenitori di casa nostra. Che infatti sono stati i primi – per bocca dei Comunisti italiani – a chiamare al boicottaggio, prontamente imitati da tanti, ancora troppi intellettuali arabi; l’ultima, più grave adesione è stata quella dell’Unione degli scrittori arabi, che per bocca del presidente Mohamed Salmawy ha definito «provocazione» l’invito e ha minacciato: «Gli arabi non se ne staranno con le mani in mano».
Ora, che la politica israeliana nei confronti dei palestinesi sia – come qualsiasi politica di qualsiasi Stato – passibile di critica, è un’ovvietà che non vale nemmeno la pena di ribadire. D’altra parte, non c’è Stato che, per nascere, non abbia pestato i piedi a qualcuno. Gli Stati Uniti hanno scalzato i nativi americani; la Spagna, il califfato musulmano; mezza Europa dell’Est, la Russia. La ferita araboisraeliana brucia perché ancora aperta, ma è antistorico – oltre che ingiusto – vedervi chissà quale peccato originale di Israele, la cui colpa ricade su ogni suo cittadino, quale che siano le sue opinioni. Il farlo, checché sostengano i fautori del boicottaggio, ha un nome: razzismo. A poco o nulla sono valsi gli appelli degli scrittori arabi più illuminati, come nei giorni scorsi quello di Younis Tawfik, iracheno d’origine e torinese d’adozione: «La Fiera del libro – osserva sconsolato – diventerà un’arena politica, un luogo di scontro. E addio alla letteratura». In quella stessa sinistra italiana che ha partorito l’idea del boicottaggio non sono mancati i distinguo, ma nemmeno le prese di distanza riescono a liberarsi del tutto dello spettro del razzismo: «Accogliamo gli scrittori israeliani – ha scritto ieri su «Il Manifesto» Daniele Ciglioli, riecheggiando Valentino Parlato –, non foss’altro per dire loro senza mezzi termini: fuori dalle colonie e benvenuti nel nostro mondo». No, non funziona così. Ciglioli ricade nell’errore da lui stesso denunciato poche righe più sopra, quando osserva che «ancora una volta gli ebrei vengono trattati come corpo separato, chiamato a rispondere al tribunale di una moralità diversa da quella universale». Ecco: chiamare gli scrittori a rispondere alle contestazioni politiche «è» trattarli come corpo separato. Con gli scrittori, si parla di scrittura. E basta: Oz e Grossman non sono autori che esitano, quando lo ritengono necessario, a parlare di politica, anche criticando duramente il loro governo, Ma pretendere di obbligarli a farlo riporta all’essenza del razzismo: addossare sulle spalle di un individuo tutti i giudizi – e i pregiudizi – imputati al popolo del quale sono figli.
Dal SECOLO XIX del 30 gennaio, un intervento di David Bidussa:
Alcune settimane fa la direzione della Fiera del Libro di Torino ha deciso
che lo Stato ospite dell’edizione di quest’anno (8-12 maggio 2008) sia
Israele. Certamente vi ha concorso il fatto che la produzione letteraria e
saggistica israeliana rappresenti oggi uno scenario di grande interesse e di
notevole qualità. Tanto per i suoi narratori più noti (A. Oz, D.Grossmann,
A. B. Yehoshua), quanto per una saggistica di vario genere certamente
interessante: dalla storiografia (Sternhell, Segev, Zertal, Barnavi, Morris,
Pappe, Greilsammer) alla filosofia (Avishai Margalit,), ma anche perché c’è
lo spazio perché uno degli intellettuali più rappresentativi del mondo
palestinese israeliano sia in grado di esprimersi liberamente. Si tratta di
Sayed Kashua, autore di romanzi, editorialista di punta del quotidiano
“Haaretz” e da alcune settimane ideatore di una soap opera in prima serata
sul canale 2 della televisione israeliana che ha per protagonista il mondo
arabo-israeliano.
Sarebbe positivo che le molte anime culturali e politiche, ma anche etniche
e linguistiche di Israele fossero presenti a Torino. Israele è oggi un paese
che al di là dei conflitti interni che ha – anche a sfondo etnico - è una
realtà in cui il confronto interno è aperto, concreto e, soprattutto,
libero. Una realtà politica in cui molte voci, anche scomode e perturbanti
per l’establishment, si esprimono o comunque hanno spazio; un contesto in
cui coabitano problematicamente, molte culture e che ha fatto della propria
crisi culturale - prima ancora che sociale e politica – un tema di
discussione pubblica: nel cinema, in musica, nella letteratura. Una crisi
che prima di tutto ha per tema la propria identità.
Perché è bene osservare e ricordare questi dati? Perché al solito, secondo
un vecchio vizio molto italiano, e comunque molto diffuso nella cultura
della sinistra italiana, è partito un dibattito in cui si chiede a gran voce
il boicottaggio dell’iniziativa della Fiera del Libro, in nome e in
conseguenza del giudizio politico negativo che si esprime su Israele. Il
luogo in cui questo dibattito si concentrato è il Manifesto. Un dibattito
che ha un presupposto e tre idee.
Presupposto: la banalizzazione della memoria della shoah. Un argomento che
in Italia non riguarda solo la destra, o una parte consistente del mondo
cattolico, ma che coinvolge anche la sinistra. Tutti e tre seguono lo stesso
schema: quello di ritenere che la shoah sia un alibi per non affrontare le
questioni “scottanti”: per esempio la “presunta” Lobby, o la questione
palestinese legittimando, così, l’oppressione nei territori occupati.
Prima idea. La raffigurazione di Israele come apartheid. Un tema che in
parte Valentino Parlato – ma anche lui molto confusamente e comunque
confermando e reiterando una parte di quella banalizzazione diffusa a
sinistra – ha provato ad arginare con un suo intervento il 24 gennaio, ma
che non solo non ha registrato mutamenti significativi, ma che lo ha visto
decisamente minoritario nel suo giornale e nei suoi lettori che lo hanno
accusato di “tradimento”.
Seconda idea. Per poter parlare e discutere della realtà culturale di
Israele alla Fiera del Libro occorre coinvolgere anche l’Anp. Il principio
che passa dietro a questa proposta non è una misura di par condicio
culturale di due mondi che alla fine sono molto intrecciati. E’ l’idea che
Israele non è uno Stato. Esiste e ha diritto a esistere solo come parte di
uno Stato che ancora non c’è e che si chiamerebbe “Stato binazionale di
Palestina”. Un disegno politico dissolto settanta anni fa con la rivolta nel
1936-1939, e la cui morte è stata sancita dall’Onu con il voto di
spartizione del novembre 1947. Comunque un progetto non voluto né dalla
leadership politica ebraica sionista, né da quella araba e palestinese.
Terza idea. Coloro che criticano la realtà israeliana dall’interno e che
sostengono il profilo culturale dell’ “Israele buona” (in breve, Oz,
Grossmann, Yehoshua), hanno una sorta di “lingua biforcuta” Essi, infatti,
non sarebbero che le punte di una cultura con cui l’Occidente si identifica
e attraverso i quali continua a mantenere uno sguardo compassionevole verso
i palestinesi, attori minori e comunque subalterni. Un mondo politico e
umano, quello palestinese, che così finisce per essere non solo
deresponsabilizzato, ma anche assolto da una condizione politica a da
un’impasse su cui – questa volta sì - per par condicio non ha meno
responsabilità dei suo avversari e nemici storici.
Da LIBERO, un articolo di Massimiliano Parente:
Su una cosa che dovrebbe essere normale in qualsiasi Paese occidentale, come avere scrittori israeliani ospiti d'onore alla Fiera del Libro di Torino, per celebrare i sessant'anni dalla fondazione dello Stato d'Israele, e su una cosa anormale, o quantomeno non di altissimo livello, come avere dall'altra parte un gruppo di scrittori arabi e palestinesi che decidono di "boicot tare" la Fiera non venendoci, si è innescato il consueto dibattito. Con grandi mobilitazioni di associazioni, centri culturali, centri sociali, intellettuali, professori, studenti, blogger, infine perfino il direttore Ernesto Ferrero, il quale sente il dovere di specificare che «non si tratta di un'oc casione agiografica». (E ieri l'as sociazione Forum Palestina gli ha pure chiesto di dimettersi perché avrebbe promesso all'Egitto il posto d'onore poi assegnato a Israele). L'ultima però se l'è inventata Daniele Giglioli sul "Manifesto" di ieri, il quale accusa Israele di abusare del suo ruolo di vittima, anzi di essere diventato il carnefice; al massimo bisogna accogliere gli scrittori israeliani per dirgli «fuori dalle colonie, e benvenuti nel nostro mondo di colpevoli». A Giglioli fa eco Remo Ceserani, il quale stigmatizza «la pratica, purtroppo sempre più diffusa, di fare cultura sulla base degli anniversari», che letta sul Quotidiano Comunista fa sorridere, però è anche vero che Rifondazione non si alzò in Parlamento, nel '97, alla celebrazione dei morti d'Ungheria, quindi forse Ceserani è coerente, gli anniversari fastidiosi meglio non ricordarli. Ipocrisia continua
Bisognerebbe chiedere a tutti questi anti-israeliani di professione e di "sinistra", cosa avrebbero fatto quando il 18 luglio 1947 una nave da guerra inglese speronò la nave "Exodus", che trasportava in Palestina 4515 profughi scampati ai campi di concentramento nazisti, resi possibili, nell'Europa incendiata dalla guerra, anche dall'al leanza nazi-comunista sancita dal Patto Molotov-Ribbentrop. Bisognerebbe chiedergli quale posizione avrebbero preso proprio quel 18 luglio che suscitò l'indignazione mondiale, e al di là dei sionismi, dei giudaismi, di Theodor Hertz, delle Terre Promesse, del Popolo Eletto e di ciò che appartiene agli scontri di religione, ma a fronte di sei milioni di esseri umani sterminati nel 1948 tutto il mondo occidentale non ebbe dubbi da che parte stare. Bisognerebbe chiedergli come mai sono così sottili e ipocriti nello spaccare il capello in quattro sulle "reazioni" di Israele (incluse purtroppo le colonie), e a non indignarsi mai quando a rifiutare "il dialogo" sono i portatori di un'ideologia dell'odio, della cancellazione di uno Stato e di una "razza", i sostenitori di Hamas, dei razzi Katiusha e dei ragazzi kamikaze, o quelli che vedono in Mahmud Ahmadinejad una persona simpatica a cui dare l'atomica e in George W. Bush un tiranno a cui toglierla. È inutile intonare, come fa Ceserani, il refrain «non si può ignorare che gli israeliani hanno uno Stato, mentre i palestinesi non ce l'hanno», perché allora non si può ignorare che gli israeliani sono una democrazia, l'unica in Medio-Oriente (fatte salve le nascenti democrazie irachena e afgana, se gli Stati Uniti vinceranno la guerra contro i nazisti talebani e baathisti), e i palestinesi no, purtroppo non ancora (la vorremmo tutti una democrazia palestinese). Così come non si possono ignorare i giustiziati in Iran all'ordine del giorno, i corpi che pendono dalle gru sulla pubblica piazza, le donne lapidate perché adultere o gli uomini impiccati perché omosessuali, come, tra i tanti, il povero ventunenne Makwan Moloudzadeh, mentre non mi preoccupa la condizione di donne e uomini, adultere o omosessuali o dissidenti, in Israele, perché Israele è una democrazia, si difende con il muro e con i missili, è uno Stato di Diritto, e significa qualcosa. Sembra che questi ideologi dei popoli oppressi da Israele si dimentichino che la Dichiarazione Universale dei Diritti dell'Uomo, siglata dalle Nazioni Unite il 10 dicembre 1948, lo stesso anno del riconoscimento dello Stato di Israele, vale ovunque. Perfino quando si trattava di esportare la "democrazia", come è stata esportata in Italia, si sono inventati, in nome di un multiculturalismo adattato ai diritti umani a regime variabile, che noi non possiamo "impor re" i nostri valori, che noi non siamo superiori, neppure quando i nostri valori sono valori umani universali, neppure quando vogliamo "imporre" a un popolo la "nostra" libertà. Complotto giudaico
Ecco perché anche in questo caso sto con Israele e non con i Giglioli, sto con Israele e non con Hamas, sto con Israele e non con il regime iraniano (ma con l'Iran dissidente, i veri "resisten ti"), che invece condivide i valori di Al-Qaeda e la sponsorizza; sebbene anche qui ci siano strane coincidenze negazioniste, ho sentito molti dire che il World Trade Center se lo sono buttati giù da soli gli americani, e la Gabanelli mandò in onda felice il filmato d'importazione su "Re port", dove si vedevano "le prove" degli sbuffetti alle finestre mentre franano giù tonnellate d'acciaio, e non mancano nuovi sinistri nessi di complotti giudaici. Gli scrittori arabi che intendono boicottare la Fiera del Libro di Torino non fanno altro che darsi la zappa sui piedi e offendere non Israele ma l'idea stessa di libertà, mentre al contrario scrittori come Salman Rushdie, Ibn Warraq, Talisma Nasreen, Maryam Namazie e tantissimi altri hanno difeso il proprio diritto alla parola mettendo a rischio la propria vita e hanno trovato da noi non solo la possibilità di pubblicare e dire quello che pensavano, ma anche asilo politico e protezione fisica. Ecco perché, cari scrittori arabi che non verrete, Israele, nel bene e nel male - ma in un bene che supera il male che vorreste attribuirgli - siamo tutti noi, e se ve ne restate a casa o andrete a casa di Ceserani e Giglioli mi dispiace, peggio per voi, sarebbe stato bello ascoltarvi: il disprezzo dimostrato dall'autocensura dove nessuno vi censura (ma anzi vi invita a parlare) è perfino peggio della censura, perché dall'altra parte di ogni censura c'è sempre qualcuno che la combatte, e dall'altra parte del vostro silenzio ci sarà qualcuno che, con il coraggio della letteratura, del confronto intellettuale, del corpo parlante della propria parola, combatterà anche per voi. IL CASO Ogni anno la Fiera del Libro di Torino ospita un Paese straniero. Quest'anno, per il 60esimo anniversario della nascita, tocca a Israele. A dicembre il poeta arabo Aharon Shabtai ha annunciato che non sarebbe andato a Torino. Altri intellettuali palestinesi e arabi lo hanno seguito, tra cui Ibrahim Nasrallah, Suad Amiry, Mahmud Darwish. Il presidente della Lega degli scrittori giordani Saud Qubaylat ha proposto il boicottaggio per non «tradire gli amici arabi»
Infine, il commento di Deborah Fait per Informazione Corretta:
Valentino Parlato,
Devo darle atto di essersi civilmente schierato contro il boicottaggio di Israele alla Fiera del libro di Torino, boicottaggio proposto da elementi di sinistra duri e puri nel loro odio antisionista, antiisraeliano, antisemita.
Non sono rimasta sconvolta dalle lettere di protesta di suoi lettori pubblicate sul Manifesto perche' sono la dimostrazione di quello che io vado scrivendo da molti anni: comunisti e fascisti sono uniti nell'odio contro il Popolo Ebraico e contro Israele.
Sono una cosa sola, due pezzi di una mela avvelenata che si uniscono all'occasione.
Non sono rimasta sconvolta nemmeno dall'espressione "razza ebraica" tornato tristemente in auge tra il popolo della sinistra italiana.
Non mi stupisce neppure la rozza scelta del boicottaggio culturale che non dovrebbe mai esistere ma ormai la barbarie impera nella nostra povera Europa.
Quello che mi ha lasciata letteralmente senza fiato, signor Parlato, sono state le sue argomentazioni, le sue spiegazioni, la sua, mi perdoni, ignoranza sull'argomento Israele-palestinesi.
I suoi paragoni!!! Valentino Parlato, i suoi paragoni!
Lei paragona i palestinesi agli ebrei, intelligenti e perseguitati allo stesso modo.
Ma si rende conto del razzismo che contengono queste sue parole? Innanzitutto non si puo' affermare che un popolo sia intelligente e un altro cretino, vi sono popoli piu' o meno colti, piu' o meno attivi, piu' o meno progrediti ma non intelligenti o cretini.
Pero' mi metto al suo livello e vorrei ricordarle che gli ebrei, perseguitati da 2000 anni, uccisi, decimati, privi di diritti civili, hanno regalato all'Europa scienza, musica, medicina.
Cultura, Parlato, Cultura!
Gli ebrei, questo popolo che ha subito l'Inquisizione, i pogrom, la shoa', ha letteralmente nutrito l'Europa con il suo sapere.
Gli ebrei perseguitati non hanno mai avuto un'arma e non hanno mai alzato un dito contro i loro persecutori.
E allora come fa a paragonare i palestinesi a gli ebrei Signor Parlato?
I palestinesi, e diciamocelo, Parlato, in quarant'anni di esistenza hanno prodotto solo terrorismo e miseria nonostante i miliardi loro elargiti.
Israele gli ha dato scuole e universita' che loro hanno usato come covi per il terrorismo.
Israele gli ha dato la tecnologia e loro l'hanno bruciata.
Intelligenti, Parlato? Strana forma di intelligenza davvero, ogni popolo cerca di progredire non di imbarbarirsi, ogni popolo cerca di educare i propri figli non di farne dei terroristi martiri assassini .
Si, sono stati rinchiusi in campi dai loro fratelli arabi e si sono lasciati usare per odio, felici di essere considerati il simbolo dell'oppressione israeliana. Si sono fatti sfruttare per inettitudine e per ottenere in cambio la distruzione di Israele.
Hanno usato tutta la violenza di cui sono capaci, hanno ammazzato, sgozzato, linciato e lei le definisce perseguitati? Ma lo sa cosa significa persecuzione? Forse dovrebbe informarsi e magari andare a vedere quello che succede in Africa ai popoli che voi avete rimosso dalle vostre menti perche' l'unico chiodo fisso sono loro, i palestinesi, attraverso i quali odiare gli ebrei, i sionisti, sti capitalisti del cavolo, vero Parlato, che lavorano come matti per il Paese che hanno e per renderlo sempre migliore.
Che i popoli dell'Africa si fottano, la' non ci sono ebrei da demonizzare.
Ma lasciamo perdere i palestinesi e la loro fede nazista ereditata da Haj Amin Al Husseini, il mufti zio di Arafat, amico e collaboratore di Hitler e veniamo alle sue perle signor Parlato.
Nell'intervista all'Unita' lei afferma " Un vero Stato degli ebrei non è mai esistito. Gli ebrei sono per definizione la diaspora, che è stata una grande risorsa intellettuale».
Roba che vado in svenimento, Parlato!
Si rende conto ? Ma lei a scuola c'e' stato? Non ha imparato che gli ebrei hanno avuto uno stato per 1000 anni con capitale Hebron prima e poi Gerusalemme?
Come si permette di delegittimare gli ebrei e di negarne la storia? come si permette di dire che sono la diaspora per definizione e che questo vi ha fatto tanto comodo per la risorsa intellettuale che sono stati.
Ormai non dovrei meravigliarmi piu' di niente , dopo 40 anni di antisemitismo comunista intrecciato con l'antisionismo. Ne avete dette di tutti i colori, avete falsato la storia, avete mitizzato e giustificato i terroristi ma che il fondatore di un giornale faccia affermazioni simili e' scioccante mi creda.
E ci dica Parlato, quando mai i palestinesi hanno avuto uno stato?
Mai, pensi, MAI e lei per compensarli di questo e per premiarli della loro barbarie vorrebbe uno stato per due popoli. Ma bravo, ma bene, bis, e perche'?
Gli ebrei non possono, secondo lei, avere il loro paesecome tutti i popoli di questo mondo dove vivere tranquilli dopo tanto patire?
I palestinesi hanno la Giordania perche' e' quella la Palestina storica , tutto il resto lo hanno rifiutato perche' le loro carte geogerafiche, probabilmente anche le vostre, danno a Israele il nome di Palestina e non si fermeranno fino a quando , come diceva il vostro guru Arafat, non ci avranno gettati in mare.
No no no, Parlato, Israele e' degli israeliani non degli arabi ed e' uno stato ebraico, non islamico ed e' una democrazia, non una dittatura.
Si metta l'animo in pace e studi la Storia, quella vera, non quella taroccata, e glielo dica ai vostri amici palestinesi, Israele e' degli ebrei e non si torna indietro nelle Storia, non possono pretendere oggi quello che hanno ripetutamente rifiutato per 60 anni sperando in un altro genocidio di ebrei come promesso dai loro fratelli arabi.
Glielo aveva promesso anche Nasser , che lei definisce , spero scherzando, "un egiziano democratico".
Mannaggia , signor Parlato, se lei che e' un direttore di giornale ha simili lacune, convinzioni e disinformazioni storiche cosa si puo' sperare dai suoi giornalisti !
E cosa possiamo aspettarci dalla base che vi legge: boicottaggio di Israele, bandiere di Israele bruciate, negazionismo, isteria razzista che va a braccetto con quella araba.
l'intelligentia araba e' antiisraeliana, antisionista e antisemita.
L'Intelligentia ebraica e israeliana di sinistra, e' antiisraeliana, antisionista e, in alcuni casi purtroppo e' anche antisemita.
Siamo rimasti solo noi ebrei cattivi a difendere Israele ma lo faremo fino all'ultima goccia di sangue alla faccia dei boccottaggi, dell'odio, della disinformazione.
In questo quadro desolante di odi, delegittimazioni, demonizzazioni, boicottagi, finalmente una buona notizia, il Rabbino di Napoli Pierpaolo Pinhas Punturello ha rifiutato l'invito della Jervolino in occasione delle cerimonie per la Giornata della Memoria perche' la Sindaca durante un incontro con una delegazione di palestinesi aveva paragonato la situazione mediorientale all'occupazione nazista.
Ehhh si, e' un viziaccio dei piu' sporchi, per fortuna la Jervolino ha trovato un rabbino con una buona dose di orgoglio cui esprimo tutta la mia ammirazione e solidarieta'.
Se facessero tutti cosi' forse incomicereste a pensare che qualcosa in voi, popolo della sinistra, non funziona.
Viva gli ebrei cattivi, Valentino Parlato, perche' sono quelli che amano Israele e la liberta'!
Quelli buoni, alla Moni Ovadia, li lasciamo a voi.
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