Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Israele alla Fiera del libro quattordicesima puntata
Testata:L'Opinione - La Stampa Autore: Dimitri Buffa - Giovanni De Luna Titolo: «L’odio contro Israele protagonista a Torino - La Fiera invita Israele perché ama il dialogo»
Da L'OPINIONE del 30 gennaio 2008:
Poi dicono che essere contro Israele non sia una maniera come un’altra di essere contro gli ebrei. Come aveva giustamente ricordato l’anno scorso proprio durante la giornata della memoria del 2007 lo stesso presidente della repubblica Giorgio Napolitano. Il quale aveva messo in guardia dall’anti semitismo mascherato da anti sionismo. Ebbene, basta leggere in questi giorni le lettere contro Valentino Parlato (che arrivano al “Manifesto” a “Liberazione” a “Indymedia” e a “Forum Palestina”) reo di avere deprecato in un editoriale sul noto “quotidiano comunista” il promesso boicottaggio di Israele alla prossima fiera del libro di Torino, che si terrà tra l’8 e il 12 maggio, cioè in concomitanza con il sessantesimo anniversario della fondazione dello stato ebraico, per rendersi conto di come stanno le cose. L’idea del boicottaggio, che in Italia e in Europa non è nuova visto che anche i fascisti la applicavano negli anni ’30 per le merci vendute dagli ebrei, l’avevano lanciata per primi i soliti attivisti del Forum Palestina. Quelli che vanno in piazza in manifestazioni sempre piene di gente che brucia bandiere statunitensi e con la stella di Davide oltre che urlare infami slogan contro i caduti italiani di Nassyria, tanto per capirci.
Ma dopo le solite farneticazioni di chi, a sinistra, sogna di paragonare Israele al Sudafrica di trenta anni fa, a spezzare una lancia contro questi deliri era sceso in un meditato editoriale pubblicato il 24 gennaio in prima pagina sul “Manifesto” proprio uno dei fondatori storici del quotidiano comunista: Valentino Parlato. Che di tutto può essere accusato tranne che di sionismo. E che aveva scritto Parlato? Dopo un breve riassunto per gli asini comunisti sulla storia della nascita dello stato ebraico, aveva messo giù questa lunga considerazione: “La polemica che si è aperta oggi, è sul boicottaggio di questa Fiera del Libro, che dà a Israele un posto d’onore con il rischio di una legittimazione letteraria della sua politica. Dico subito che non ho nessuna posizione di principio contro il boicottaggio, contro i bianchi razzisti sudafricani era più che giusto.
C’è boicottaggio e boicottaggio e, quindi, sono del tutto contrario al boicottaggio di questa fiera del libro (il libro va sempre rispettato) e contro lo stato di Israele. Gli israeliani - che sono sempre ebrei - per quanti torti abbiano nei confronti del popolo palestinese non sono in alcun modo paragonabili ai razzisti sudafricani e poi - un poi che non possiamo dimenticare e sul quale noi europei e quelli di noi che si dichiarano cristiani e cattolici - c’è la storica persecuzione del popolo ebraico, ci sono i ghetti e i campi di sterminio. E qui mi torna buono ricordare quel che mi disse in un’intervista al manifesto il Rabbino capo di Roma. Nel ghetto di Varsavia l’ultimo canto che gli ebrei intonarono fu l’Internazionale. Poi furono massacrati dai tedeschi.”
Tutta questa tiritera per cercare di fare digerire ai compagni la difesa del diritto dello stato di Israele a esistere e la grossa differenza rispetto al Sudafrica dei boeri. Ma il richiamo all’ “internazionale” non deve avere molto commosso i compagni duri e puri e antagonisti che in decine di lettere, anche al “manifesto ” e a “liberazione”, hanno sommerso Parlato con questo tipo di proteste: “Gentile redazione, leggo sul Manifesto del 24 gennaio, in prima pagina, un farneticante articolo di Valentino Parlato. Mai mi sarei aspettata di leggere sul Manifesto, forse l’unico giornale in Italia, dove si trovano articoli coerenti sulla realtà dei Territori Occupati palestinesi, un concentrato di retorica di questo livello. Parlato scrive tra le altre cose, che gli israeliani non sono paragonabili ai razzisti sudafricani, che gli israeliani non sono gli afrikaner. Vorrei ricordare a Parlato, che proprio Nelson Mandela ha definito quella che avviene in Palestina ”la nuova apartheid del nostro secolo“, sempre di Mandela un altra storica frase ”la Palestina è la questione morale del nostro tempo“.
L’ipocrisia di parlato non si ferma qui, il suo articolo è pubblicato sulla stessa pagina in cui si trova un altro articolo ”Gaza assalta il confine per fame“. Parlato critica il boicottaggio legittimo, anzi necessario, al quale hanno già aderito scrittori di fama internazionale e lo fa proprio mentre i telegiornali di tutto il mondo mostrano il popolo disperato di Gaza che si ammassa per insinuarsi nella breccia del muro, per sfuggire alla condanna di una lenta agonia causata dallo Stato d´Israele e dall´embargo di cui l´UE è complice.” In un’altra lettera si legge invece: “Dottor Parlato proviamo a rimettere le cose al loro posto, la fiera del libro ospitando Israele fa un’operazione di legittimazione dello stato israeliano. Lo stato israeliano oggi parla con dei numeri agghiaccianti. Circa 3.000 bambini muoiono ogni anno a causa di malattie prevenibili o curabili; a Gaza tale numero è aumentato del 15% a causa della crescente mortalità neo natale, riconducibile alla mancanza di apparecchiature e forniture di base per i servizi di assistenza neo natale e di salute materno-infantile;
La maggior parte dei bambini muore entro il primo mese di vita poiché nati prematuramente o con peso insufficiente alla nascita, a causa della mancanza di medicine, attrezzature e assistenza; 1 bambino su 10 è affetto da ritardi della crescita, a causa della malnutrizione cronica, che si attesta al 9,9% nel TPO con un picco del13,9% a Gaza: 350.000 bambini sotto i 5 anni ne sono affetti, con il peso maggiore (15%) che grava sui bambini tra 1 e 2 anni. L’incidenza di bambini nati sottopeso è passata da dal 4,9% del giugno 2006 al 9,6% registrata nel marzo 2007. A Gaza e Rafah, il 77,4% dei bambini è affetto da anemia e il 75% dei bambini sotto i 5 anni soffre di carenze di vitamina A.” Insomma i soliti pargoni tra “gli israeliani di oggi e i nazisti di ieri.” Gli slogan per capirci degli estermisti islamici dell’Ucoii, cioè quelli per i quali è stato chiesto il rinvio a giudizio per essersi comprata una pagina sul Quotidiano nazionale per paragonare Gaza ad Auschwitz. Si aspettano ora altre repliche dello stesso Parlato anche a lettere molto meno simpatiche nei toni e negli epiteti di quelle riportate ad esempio. Non manca chi lo definisce “servo degli Usa e di Israele” e chi possa all’insulto vero e proprio. Forse però Parlato non oserà sfidare di nuovo la pancia anti israeliana e anti semita dei suoi lettori. Mentre purtroppo è chiaro che, con simili premesse, a maggio a Torino l’Italia dovrà di nuovo vergognarsi dei propri cattivi maestri e dei propri pessimi alunni.
Da La STAMPA (pagina 32), un intervento di Giovanni De Luna:
Sono convinto che sia stato giusto invitare Israele alla Fiera del Libro. Le polemiche che hanno coinvolto il Comitato di indirizzo (di cui faccio parte) e tutta l’organizzazione della Fiera hanno radici solide nella drammaticità delle condizioni dei territori occupati, diventate ancora più tragiche in questi giorni dell’embargo israeliano a Gaza. Le stesse posizioni assunte da quegli intellettuali palestinesi che hanno scavalcato, con il loro radicalismo, le cautele delle autorità politiche del loro Paese hanno una spiegazione e rinviano al ruolo diverso che la cultura gioca nei confronti della politica, anche qui da noi. Da quando la polemica è scoppiata, in rete si sono moltiplicati i messaggi di sdegno, gli inviti pressanti a prendere le distanze, l’invio di immagini devastanti sulle violenze di cui sono protagonisti i soldati israeliani a danno dei civili e, soprattutto, dei bambini. Pure non capisco perché all’ingiustizia dei muri fisicamente concreti eretti dagli israeliani si debbano contrapporre altri muri, costruiti con i materiali dell’intransigenza, del giudizio a priori, del rifiuto di ogni tentativo di dialogo. Non credo nei muri in assoluto. E credo che l’invito rivolto a Israele sia una buona occasione per discutere e per riflettere. Esiste il rischio della vetrina celebrativa; ma è un rischio che c’è anche nell’Italia che si appresta a celebrare i suoi 150 anni o nella Francia che si è specchiata gloriosa nel bicentenario della grande Rivoluzione. Il compito degli intellettuali è proprio quello di seminare dubbi ed esprimere disagio là dove la politica ufficiale ostenta trionfalismo e compiacimento. Riflettere su Israele e sui 60 anni della sua storia è una opportunità per tutti, per gli israeliani, per i palestinesi, ma anche per noi italiani. Esistono, ad esempio, esperienze di dialogo e di pace sepolte nel silenzio. Mi riferisco, in particolare, a quella avviata dal candidato al premio Nobel per la pace del 2006, Jeff Halper, un antropologo e urbanista statunitense, animatore dell’Ichad (Comitato israeliano contro la demolizione delle case dei palestinesi); dal 1967 a oggi, nei territori occupati Israele ha demolito 18 mila abitazioni, nel 95% dei casi motivando le demolizioni con ragioni strategiche e militari. Quelli dell’Ichad, non potendo combattere contro i carri armati, sono scesi in campo contro i bulldozer e grazie ai finanziamenti che arrivano da una parte della comunità ebraica americana intervengono a ricostruire in tutti i posti dove possono farlo. Nei primi anni di attività sono stati 300 i palestinesi che hanno riavuto una casa; pochi, pochissimi e tuttavia il lavoro dell’Ichad si è imposto all’attenzione di tutti quelli che - israeliani e palestinesi - cercano una via di uscita che non sia legata alle armi e al terrorismo. L’anno scorso Jeff Halper è venuto a Ovada a ritirare il premio Testimone di Pace. Perché quest’anno non invitarlo alla Fiera? Un altro esempio che ritengo significativo. Esiste un drammatico problema legato al modo in cui si insegna la storia nelle scuole israeliane e in quelle palestinesi. Quei manuali sono affollati di «tradizioni inventate», di semplificazioni, di giudizi ispirati dal tentativo di giustificare le rispettive ambizioni politiche e ideologiche, tutti poco sensibili alle ragioni della ricerca storica. Se ci fosse la possibilità di discuterne alla Fiera si potrebbe affrontare di petto il groviglio che si è creato tra storia, memoria, identità, richiami etnici e appartenenze religiose; e la storia può fare molto, suscitando consapevolezza e distacco critico proprio dove si annidano i rischi della demonizzazione del nemico e della contrapposizione tra identità religiose vissute in modo totalitario.
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