Libano verso la guerra civile ? l'analisi di Stefano Magni
Testata: L'Opinione Data: 29 gennaio 2008 Pagina: 0 Autore: Stefano Magni Titolo: «Libano, prova generale di guerra civile»
Da L'OPINIONE del 29 gennaio 2008:
Il Sud di Beirut è una zona tragicamente familiare per i libanesi: nel 1975 fu nei quartieri meridionali che scoppiarono i primi scontri a fuoco tra cristiani e palestinesi, i primi colpi di una guerra civile che sarebbe durata per quindici anni. Domenica scorsa, a Mar Mekhael, nella stessa area, è avvenuto il primo scontro a fuoco tra sciiti e cristiani dai tempi della guerra civile. Il bilancio provvisorio delle vittime è di otto morti (tutti nel campo sciita) e una quarantina di feriti. Il fatto in sé non permetterebbe di capire la gravità della situazione: gli sciiti sono scesi in strada per protestare contro il razionamento dell’energia elettrica, poi sono partiti sassi, bastonate e anche qualche colpo di arma da fuoco (stando alle fonti ufficiali libanesi) contro le forze di sicurezza e queste ultime, con i nervi già tesi per l’omicidio, venerdì scorso, del capitano Wissam Eid, hanno risposto sparando colpi di arma da fuoco. Da questo primo scontro, in cui è morto il leader di Amal (partito sciita) Hassam Hamza, è iniziata la guerriglia metropolitana durata tutta la notte, non solo tra manifestanti e forze di sicurezza, ma anche tra cittadini cristiani e sciiti, secondo quanto riporta il quotidiano libanese Daily Star.
Gli sciiti si sono mobilitati anche in altre parti del paese per bloccare l’autostrada che collega Tiro a Sidone e numerose strade della Valle della Bekaa. Entrambe le zone sono a maggioranza sciita. Dopo alcune ore di trattative, nella serata di domenica, il governo di Fouad Siniora è riuscito ad ottenere la parziale riapertura delle arterie stradali, ma gli scontri sono proseguiti ugualmente nella capitale, nonostante gli inviti alla calma da parte dei partiti sciiti Amal e Hezbollah. Domenica notte, in un suo messaggio televisivo, il premier Siniora ha promesso che saranno trovati i colpevoli della sparatoria di domenica e ha chiesto di dare fiducia all’esercito “in questo momento difficile”. Da ieri mattina regna nel Libano un clima di pace fredda. Vista in prospettiva, la sparatoria di domenica non è solo una protesta per l’energia elettrica. Dal 23 novembre scorso il Libano è privo di un presidente perché l’opposizione (filo-siriana) non accetta un compromesso con la maggioranza parlamentare. Le elezioni, in questo modo, sono state rimandate per tredici volte. Mentre a Beirut gli sciiti filo-siriani si scontravano con le forze di polizia, la diplomazia siriana era all’opera per ottenere più potere sul futuro governo libanese.
Presso l’ultima riunione della Lega Araba, che si è tenuta domenica al Cairo, il rappresentante di Damasco, appoggiato dalla Libia, ha chiesto di conferire a Hezbollah più ministri. Il Partito di Dio, infatti, chiede 10 ministri per sé e per i partiti alleati, sufficienti, secondo la costituzione libanese, ad ottenere un potere di veto. Gli altri governi arabi (Egitto e Arabia Saudita in particolare) si sono opposti alla richiesta, ribadendo il “piano arabo” per lo sblocco della paralisi istituzionale libanese: governo di unità nazionale, nessuna maggioranza dominante. Non è quello che vuole la Siria, né quello a cui aspira il suo alleato locale Hezbollah. Hassan Nasrallah, il suo leader e più famoso portavoce, ha parlato esplicitamente di aspirare a un “governo islamico”, un progetto che è stato definito “inquietante” e “in contrasto con la realtà libanese” dal patriarca cristiano Sfeir. Quella di domenica è stata una dimostrazione della capacità di mobilitazione rapida di Hezbollah nelle zone a maggioranza sciita. Con il blocco delle arterie stradali, avvenuto immediatamente dopo i primi scontri a Beirut, Hezbollah ha dimostrato di poter paralizzare il paese. E non è la prima volta: anche martedì scorso era stato bloccato l’aeroporto, cogliendo il pretesto di uno sciopero contro il caro vita. Si tratta di vere prove generali di guerra civile.
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