Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello
Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.
Israele invita Paul McCartney e Ringo Starr e chiede scusa per il concerto dei Beatles bloccato nel 1965: due cronache a confronto
Testata:La Repubblica - Corriere della Sera Autore: Alberto Stabile - Alessandra Coppola Titolo: «Israele, dietrofront sui Beatles dopo 43 anni chiede scusa - Israele ai Beatles, 43 anni dopo «Che errore non farvi cantare»»
Nel 1965 Israele cancellò il concerto dei Beatles a Tel Aviv. Quarant'anni dopo arrivano le scuse e l'invito aPaul McCartney e Ringo Starr ai festeggiamenti per il sessantesimo anniversario della fondazione dello stato ebraico.
Il fatto viene presentato in modi diversi su REPUBBLICA e sul CORRIERE
Dal primo quotidiano, un articolo di Alberto Stabile, dai toni sarcastici, sia sulla decisione del 65, sia sull'attuale invito:
GERUSALEMME - Pur di aver Paul McCartney e Ringo Starr ai festeggiamenti per il sessantesimo anniversario della fondazione dello stato ebraico (14 maggio 1948), Israele non ha esitato a chiedere scusa ai Beatles per aver vietato, nel 1965, un loro concerto a Tel Aviv; nel timore, fu il pretesto accampato allora, che l´entusiasmo dei giovani fan israeliani danneggiasse il Palazzo della Cultura, appena inaugurato, dove il mitico complesso di Liverpool avrebbe dovuto esibirsi. In realtà la motivazione del divieto era meno pratica e più bacchettona. Per dirla senza giri di parole, il vertice politico temeva che la moda degli «scarafaggi», come venivano spregiativamente chiamati i Beatles dai padri conformisti, e la loro musica tendenzialmente dissacrante, corrompessero gli animi dei giovani israeliani. Quello era un paese diverso dall´odierna Israele. La strepitosa vittoria nella guerra del ‘48-‘49 «contro cinque eserciti arabi» aveva infuso in ognuno entusiasmo e fiducia nel futuro. Il kibbutz irradiava il suo fascino anche in Occidente. Un gruppo dirigente portatore di culture diverse aveva trovato il suo comun denominatore in una società austera, tendenzialmente egualitaria, forgiata dall´emergenza. E tuttavia, come sarebbe successo ciclicamente in futuro, anche allora c´era chi, come lo scrittore Yizhar Smilansky, lamentava una pericolosa disponibilità da parte delle nuove generazioni ad assorbire i modelli occidentali, una sorta di resa alla cultura dell´«espresso» (chissà perché anche l´innocua tazzina era considerata un simbolo negativo) che si accompagnava ad un raffreddamento della passione verso l´impresa sionista. In realtà, i giovani israeliani di allora, come quelli di oggi, cercavano soltanto di vivere il loro tempo. Non a caso, nel 1963, nonostante le varie scomuniche, la musica dei Beatles aveva conquistato, anche qui, come nel resto del mondo occidentale, il vertice della Hit parade. Prevalse, tuttavia, il paternalismo censorio della nomenklatura e con una serie di pretesti infondati, la mancanza di fondi, i pericoli che avrebbe corso il Palazzo della Cultura, l´appuntamento con i quattro di Liverpool venne cancellato all´ultimo momento. I biglietti venduti sarebbero finiti fra le memorabilia di molte famiglie. Nessuno osò alzare un dito. L´unico a protestare fu il giornalista Uri Avnery, allora e per sempre, una voce fuori dal coro. Al cospetto di certi metallari israeliani dei giorni nostri, i Beatles, con quella loro aria irrimediabilmente perbene, fanno persino tenerezza. E, anche se ridotti a due su quattro e isolati l´uno dall´altro, danno ancora lustro. Per questo, l´ambasciatore israeliano a Londra, dopo aver consegnato una lettera di scuse per la messa al bando del concerto di 43 anni fa al museo del quartetto, a Liverpool, ha invitato Paul McCartney e Ringo Starr alle celebrazioni di maggio, dove saranno in compagnia, tra l´altro, di almeno quattro presidenti americani. Il resto è acqua passata.
Dal CORRIERE della SERA un puntuale articolo di Alessandra Coppola, che spiega come la decisione del 1965 si collocasse nel quadro della difficile situazione di uno stato sorto da poco, e in stato di guerra con i suoi vicini:
GERUSALEMME — Era l'anno dell'assassinio di Malcolm X. Le prime truppe Usa sbarcavano in Vietnam, i palestinesi avevano appena fondato l'Olp, in Francia era presidente De Gaulle. Vittorio de Sica vinceva l'Oscar per Ieri, oggi e domani e i quattro ragazzi di Liverpool cantavano A Hard Day's Night lanciando il primo vero tour mondiale con gli stadi stracolmi di fan in delirio. Era il 1965. L'anno in cui Israele perse l'appuntamento con la storia della musica: l'estate in cui venne cancellato il concerto dei Beatles a Tel Aviv. Quarantatré anni dopo, e una ferita ancora aperta per una generazione affamata di note, il governo israeliano si pente. Addirittura, nell'ambito di un progetto più vasto per migliorare l'immagine dello Stato ebraico nel mondo, affida una lettera ufficiale di scuse all'ambasciatore in Gran Bretagna, Ron Prosor, che ieri, al museo dei Fab Four a Liverpool, la consegna alla sorella di John Lennon, Julia Baird. E la farà avere poi anche ai due musicisti del quartetto ancora in vita, Paul McCartney e Ringo Starr, nonché ai familiari di George Harrison. Il testo è stato anticipato dal quotidiano Yedioth Aharonoth. «Vorremmo cogliere l'occasione di correggere un'opportunità storica mancata — scrive il ministero degli Esteri dello Stato ebraico —, che sfortunatamente si verificò nel 1965 quando voi foste invitati in Israele. La vostra esibizione fu cancellata per carenza di risorse e perché diversi politici della Knesset credevano a quel tempo che il vostro concerto avrebbe potuto corrompere le menti degli israeliani. Non c'è dubbio che fu una grande occasione persa impedire a persone come voi, che avete formato una generazione, di esibirvi davanti ai giovani che vi ammiravano e vi ammirano ancora». Paura dei capelloni? Una delle ricostruzioni attribuisce parte della responsabilità all'allora direttore generale del ministero dell'Istruzione, Yaakov Schneider (che avrebbe poi cambiato il cognome in Sarid), a cui spettava autorizzare i concerti delle band straniere. «Ho cercato di approfondire la vicenda — racconta il figlio, celebre esponente della sinistra israeliana, Yossi Sarid —, ma non ho trovato prove. Mi pare comunque una leggenda simpatica: perché distruggerla? Presumo che abbiano detto a mio padre, non un grande esperto dei Beatles, che i membri del gruppo avevano i capelli lunghi e prendevano droghe, e avrebbero di certo corrotto la gioventù». Chi ha vissuto gli anni Sessanta nello Stato ebraico li ricorda come un periodo di grande rigore e sobrietà. La tv sarebbe rimasta a lungo in bianco e nero, e molto pollo sarebbe stato cucinato prima che a tavola si cominciasse a variare con manzo o pesce. Anni di scarse risorse. Per lo più investite in armi. In un intervento sul web, Yarden Uriel, autore di due libri sui Beatles, riabilita il ministero di Schneider e ricostruisce il mancato concerto proprio come una scelta di budget. Attraverso i parenti israeliani della mamma ebrea del manager dei Beatles, Brian Epstein, sarebbe stato in effetti creato un buon contatto per far arrivare la band a Tel Aviv, forse ai primi di settembre. Ma sarebbe stato necessario un anticipo in valuta estera che il giovane Stato ha ritenuto di non poter affrontare. A riparazione di quell'errore, l'ambasciatore porta un invito per McCartney e Starr alle celebrazioni dei sessant'anni di Israele a maggio. Un concerto tardivo.
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