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Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele 06/04/2025

Jordan Peterson intervista Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele
Video con sottotitoli italiani a cura di Giorgio Pavoncello

Jordan B. Peterson intervista il Primo Ministro israeliano Benjamin Netanyahu sulla storia di Israele e sul diritto degli ebrei alla loro terra ancestrale, la Terra d'Israele, situata tra il fiume Giordano e il Mar Mediterraneo. Questa è la risposta alla narrazione falsa araba e alla loro assurda rivendicazione della terra di Israele, la patria del popolo ebraico da tempo immemorabile. La risposta a qualsiasi rivendicazione araba su una terra che chiamano "Palestina". La terra di Israele, che hanno invaso, non è mai stata terra araba e non sarà mai loro.



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La Stampa - La Repubblica - Avvenire - L'Opinione Rassegna Stampa
26.01.2008 La falsa "crisi umanitaria" di Gaza e la reale minaccia terroristica
rassegna di quotidiani

Testata:La Stampa - La Repubblica - Avvenire - L'Opinione
Autore: Francesca Paci - Aldo Rizzo - Alberto Stabile - Daoud Kuttab - Marco Panara - Barbara Uglietti -Dimitri Buffa
Titolo: «L’Egitto ci ha venduto come sempre -La Bibbia capovolta a Gaza - Gaza, la battaglia del confine cani e idranti per fermare l´esodo - Così il piano di pace di Bush si infrange nella miseria della Striscia -»

Peres attacca gli estremisti "Noi costretti a difenderci" - Rafah, caos e nuovi varchi Hama: "Colpa dell'Anp" - La Hollywood palestinese a Gaza

Da pagina 15 de La STAMPA del 26 gennaio 2008, la cronaca di Francesca Paci

«L'accordo tra Hamas e il presidente Mubarak per la chiusura del valico egiziano ha retto quanto il muro, è bastata una spallata a buttarlo giù» commenta Mahmoud Shaar tornando a casa, a Khan Younis, a bordo della sua moto nuova di zecca, una Dayun cromata pagata mille dollari: mercoledì mattina l'avrebbe avuta per 350. Al mercato senza frontiere di Rafah i prezzi lievitano con la tensione. Il tentativo del governo egiziano di ripristinare il confine tra Gaza e il Sinai contando sulla collaborazione di Hamas è stato travolto ieri da migliaia di palestinesi per nulla disposti a farsi richiudere dentro la Striscia dopo tre giorni di libertà. A niente sono valsi i tentativi della polizia egiziana schierata a testuggine, sin dall'alba, a difesa dei varchi: dopo una sassaiola durata diverse ore, una grossa ruspa guidata da un giovane con il passamontagna ha provveduto a spazzare via i potenti idranti e la resistenza, per la verità poco convinta, dei fratelli arabi in tenuta da guerra.
Il braccio di ferro tra l'Egitto e Hamas termina così il primo round in favore del movimento radicale islamico che in serata accetta la proposta di Mubarak d'incontrare al Cairo il presidente dell'Autorità Nazionale Abu Mazen per risolvere il conflitto intestino che si trascina da giugno. Sul terreno restano sei poliziotti egiziani feriti e tre cani antisommossa abbattuti a raffiche di mitra dai miliziani palestinesi, un fotografo lievemente colpito alla testa da una pietra, diversi contusi da entrambe le parti. Ma, soprattutto, resta il fiume in piena di uomini donne, ragazzini (circa 700 mila) che comprano e vendono mesi d'astinenza, avanti e indietro attraverso la lamiera aperta, con le scatole di patatine Lions in equilibrio sulla testa, formiche infaticabili, quasi sapessero che presto o tardi dovranno fare i conti con la storicamente poco affidabile solidarietà araba. La giornata ha un avvio elettrico quanto l'epilogo di quella precedente, con gli agenti sempre più nervosi e un’atmosfera grave da prima del temporale.
A Rafah la notizia dell'intesa raggiunta nella notte fra l'intelligence egiziana e ufficiali della sicurezza di Hamas arriva contemporaneamente alle prime cariche della polizia contro chi tenta di forzare il blocco. «Ero sicuro che gli egiziani ci avrebbero venduto come hanno fatto sempre, ma non pensavo così presto» dice Nafiz Gheisi mettendo in salvo da una scarica di pietre il frullatore da regalare a sua moglie.
A «vendere» Gheisi in realtà sono stati gli stessi palestinesi mentre nelle piazze del Cairo e Damasco centinaia di manifestanti protestano contro l'embargo israeliano. Secondo l'accordo, conferma il portavoce della polizia del movimento islamico Islam Shawhan, Hamas dovrebbe sostenere gli egiziani nel ripristino della frontiera in cambio dell'impegno a portare al tavolo delle trattative l'Autorità nazionale palestinese. Ma qualcosa va storto. Ramallah non ci sta, a meno che Hamas faccia mea culpa per il golpe di giugno. La risposta dei signori di Gaza è il via libera all'assalto dello sguarnito presidio egiziano che battaglia un po', arretra e si arrende.
I palestinesi di Gaza City, Jabalya, Beit Hanun, le famiglie che come i Majul hanno impegnato i regali di nozze del primogenito Khaled per lo shopping «all'estero», tirano un sospiro di sollievo: una vittoria dei consumatori che potrebbe trasformarsi però in una vittoria di Pirro, come sanno bene i vertici di Hamas. La porta sul Sinai per ora resta spalancata per gli acquirenti di materassi, sigarette, armi. Ma non è detto che Abu Mazen accetti l'invito egiziano e la proposta di conciliazione con i ribelli di Gaza.
Prima di prenotare un volo per il Cairo il presidente palestinese deve affrontare il premier israeliano Olmert che domattina, nel primo appuntamento ufficiale dopo la visita di George W. Bush, gli chiederà conto dell'attacco di giovedì alla colonia ebraica di Kfar Etzion rivendicato dalle Brigate Ezzedin al-Qassam, il braccio armato di Hamas. Il percorso è accidentato

Aldo Rizzo nel suo editoriale a pagina 34 vede nell'attuale crisi di Gaza un'intrecciarsi di responsabilità, a partire dall'ulilateralità del ritiro israeliano da Gaza deciso da Sharon, che avrebbe assicurato la successiva conquista del potere da parte di Hamas. Ma Sharon non trattò il ritiro con l'Autorità palestinese proprio per la debolezza estrema  del potere di Abu Mazen. Assicurata da fattori ben radicati e tutti  interni al campo palestinese: l'eredità di corruzione e di propaganda d'odio lasciata da Arafat (entrambi i fattori concorrevano a favorire Hamas, che si presentava come più onesta e più irirducibilmente ostile a  Israele di Al Fatah), l'anarchia armata dei gruppi terroristici.
Rizzo suggerisce anche l'inadeguatezza dei mezzi militari utilizzati da Israele per far fronte all'offensiva terroristica scatenata a partire dalla Striscia. E' un'opinione legittima, ma , concretamente, quale alternativa suggerisce ? 


C’è qualcosa di biblico - all’incontrario - nella vicenda delle masse di Gaza che sfondano il confine egiziano per una drammatica ansia di sopravvivenza. All’incontrario, perché, nel tempo dei tempi, gli ebrei trovarono la salvezza uscendo dall’Egitto, mentre oggi i palestinesi cercano uno sfogo correndo in Egitto. Ma questa è solo una suggestione della storia, la realtà politica è assai più complessa. La disperazione dei palestinesi di Gaza, vittime d’un blocco israeliano di rifornimenti essenziali, colpisce l’opinione pubblica. Ma le responsabilità dell’ennesima crisi, più angosciosa di altre, sono varie e diffuse. Certo, Israele ha le sue, a partire da quella che poteva essere tutta positiva, e cioè dalla decisione del governo Sharon di ritirare le forze d’occupazione e 8000 riluttanti «coloni» ebrei. Solo che la decisione fu unilaterale, non concordata con l’Autorità nazionale palestinese, controparte istituzionale del «processo di pace», e si accompagnò a una serie di misure militari, antiterroristiche, preventive e successive. Insomma, il modo in cui il ritiro si realizzò fu tale da annullarne i vantaggi politici, senza per questo garantire sicurezza agli israeliani.
E infatti a trarne beneficio fu l’ala estremista e integralista dei palestinesi, Hamas, che non diede alcun riconoscimento al gesto di Sharon, e addirittura, forte della sua preponderante presenza nella Striscia (lembo di terra sul Mediterraneo, diviso, per l’interposizione israeliana, dal resto della Palestina araba), riuscì a espellerne con un golpe sanguinoso i «fratelli» moderati dell’Anp di Abu Mazen. Così ora Israele ha di fronte due Palestine, quella internazionalmente riconosciuta di Abu Mazen e quella «terroristica» di Hamas, che pure aveva vinto le elezioni nel 2006 (perché in realtà non è solo terroristica, ha un forte radicamento sociale), ma dalla quale piovevano missili Qassam sulle limitrofe popolazioni ebraiche. Da cui la reazione israeliana, culminata nel blocco dei valichi e oltre. Insomma, un disperante intreccio di responsabilità, naturalmente sapendo che toccò allo Stato ebraico, appena nato, la sorte di dover difendere la propria esistenza, certificata dall’Onu, dall’aggressione dei vicini arabi, e in seguito di doversi difendere più volte da pesanti tentativi di rivincita; e sapendo pure quali torti e abusi i palestinesi abbiano subito essi stessi a opera dei governi arabi, a partire dal «Settembre nero» del 1970 in Giordania. Ma anche riconoscendo che non sempre Israele ha saputo fare buon uso della propria forza, a volte eccedendo nelle reazioni, che hanno aggravato le tensioni in un’area cruciale per il mondo intero.
Nel caso di Gaza, ora il governo Olmert è tentato di dire che, visto che l’Egitto ha consentito l’«invasione» dei palestinesi, può farsi carico delle loro condizioni di vita, mentre le forze israeliane controllano, e all’occorrenza varcano, gli altri confini della Striscia. Non sembra la considerazione più saggia. Se si deteriorano gravemente i rapporti tra Il Cairo e Gerusalemme, si compromette il più importante risultato finora raggiunto nella convivenza arabo-israeliana. Piuttosto, si vorrebbe che Il Cairo si facesse «pagare» l’accoglienza a Hamas con un pressante consiglio di smetterla con i razzi Qassam. Più in generale, possiamo dire che la crisi di Gaza, per dolorosa che sia, è un po’ come il dito che guarda la Luna. Il problema vero è la Luna, il complesso della crisi mediorientale, che tra Iraq, Iran, Arabia Saudita, lo stesso Egitto, gli Emirati del Golfo, e naturalmente Israele, senza dimenticare Al Qaeda, e le diffuse tentazioni nucleari, in aggiunta all’egemonia petrolifera, rappresenta una minaccia globale. Da affrontare «senza precondizioni», con uno sforzo di comprensione delle ragioni altrui.


Alberto Stabile, nella conclusione della sua cronaca da Gaza pubblicata a pagina 14 da La REPUBBLICA del 26 gennaio 2008 riporta due battute che potrebbero indurre utili domande sugli elementi propagandistici presenti nella "crisi umanitaria" e sull'uso politico che ne fa Hamas.
Domande che, però, Stabile non si pone.

Ecco il passaggio:


«Credo che adesso a Gaza ci sia abbastanza cibo per un mese», dice Said al-Helo, dopo aver attraversato stracarico di pacchi la frontiera sbriciolata. Ma gli uomini di Hamas non sono d´accordo.
«La mancanza di combustibile e di energia elettrica c´è ancora - risponde un loro portavoce - e quello che la gente ha comprato nelle ultime 48 ore non può compensare la terribile penuria degli ultimi sette mesi».

Hamas vede le cose in modo più pessimista dei palestinesi "della strada" ? Forse per trarre un vantaggio propagandistico e politico dalle difficoltà che la sua politica di guerra ha imposto alla Striscia ?

REPUBBLICA propone ai suoi lettori anche un articolo di Daoud Kuttab dove si legge


Quando si pensa a Gaza, viene in mente il consenso di cui gode Hamas, ma la realtà è assai differente. I sondaggi realizzati nella Striscia indicano un consenso del 74 per cento a un accordo di pace per Israele. Solo il 15 per cento si dice pronto a votare per Hamas, contro un 55 per cento a favore di Fatah.

Di fronte a questi numeri, ci si chiede innanzitutto chi siano i palestinesi che hanno assicurato la vittoria di Hamas alle ultime elezioni parlamentari palestinesi. Ma è possibile, naturalmente, che la prova del governo abbia fatto calare i consensi all'organizzazione islamista. Si dovrebbe allora chiedere, ci sembra, che Hamas restituisca il controllo della Striscia all'Autorità palestinese e che si vada a nuove elezioni.
Kuttab non fa nulla di tutto questo. Preferisce invece accusare Israele per i controlli alle sue frontiere e per il rifiuto di fornire in modo costante l'energia elettrica e il carburante   che  sono anche utilizzati dai terroristi per far funzionare le officine dove si producono i razzi kassam:

La storia di Gaza e il calo del consenso per Hamas dicono anche che l´assedio in corso serve soltanto a punire una popolazione amante della pace, e rafforza, al contempo, il controllo sulla società da parte dei peggiori elementi.

Kuttab ricava anche dagli episodi, che vi sono stati, ma non sono generalizzabili, di contrabbando di armi a favore di Hamas dal mercato nero israeliano, o da militari israeliani(che sono stati scoperti e puniti) l'assurda conclusione che prima del disimpegno Hamas si rifornisse di armi  da Israele.

Marco Panara intervista il presidente d'Israele Shimon Peres:

DAVOS - Al World Economic Forum, Shimon Peres, il presidente d´Israele, è un protagonista da sempre. Questo è un appuntamento al quale non rinuncia mai, tanto meno in un momento nel quale sino solo a pochi giorni fa la situazione gli consentiva di dire «la pace non è mai stata così vicina». Adesso qualcosa è cambiato. A Gaza.
Con la sua dolente eleganza Peres si ferma a conversare brevemente all´ingresso di una cena in suo onore organizzata nell´hotel di Davos dove il presidente ha il suo blindatissimo quartier generale. Nella stessa hall c´è anche il premier palestinese Salam Fayyad.
Presidente, Gaza ha sconvolto l´agenda del processo di pace?
«Finché Hamas non smette di sparare razzi contro di noi, nulla tornerà in ordine».
Ma non pensa che la situazione si sia ulteriormente complicata?
«Loro hanno creato il caos, devono smetterla: solo così si può mettere fine al caos di questi giorni e queste ore».
Le vicende di Gaza bloccheranno i progressi che solo giorni fa la rendevano più ottimista sul processo di pace?
«Io so solo che Hamas si è rivoltata contro il governo di Abu Mazen che perciò li considera dei ribelli. E´ un grave errore da parte di Hamas. Non creano progresso, non hanno obiettivi. Vogliono solo distruggere. Chi li sosterrà?».
Però hanno ancora una base di consenso.
«Hanno diviso la Palestina e la gente di Gaza, hanno prodotto violenza senza scopo, hanno fatto soffrire la gente senza offrire loro un progetto».
Quale sarà la reazione di Israele?
«Noi non vogliamo che la gente della Palestina soffra, né alcuna punizione collettiva».
Come se ne esce?
«Lo ripeto, non vogliamo nessuna punizione che colpisca indiscriminatamente, però dobbiamo rispondere alla violenza contro di noi».
Peres si allontana. Non vuole rispondere ad altre domande, la sua delegazione lo aspetta per una cena a porte chiuse. Ma il ministro degli Esteri Tzipi Livni, che pure ha parlato a Davos illustrando al gotha della finanza e della diplomazia internazionale la grave crisi di Gaza, è rientrata in patria. Segno evidente che l´impatto di queste ore sulla delicatissima fase negoziale richiede la massima allerta.

Barbara Uglietti, a pagina 4 di AVVENIRE riporta gli allarmi sull'incremento del rischio terroristico lanciati da Israele:

L'altra notte nel campo profughi di Shufat, a nord di Gerusalemme, un agente di frontiera è stato ucciso da un attentatore palestinese che gli ha sparato alla testa. Altri due palestinesi armati, indossando una divisa militare israeliana, sono entratti in collegio rabbinico di Kfar Etzion, asud di Gerusalemme, per compiere un attentato. Gli insegnanti hanno reagito, due palestinesi sono stati uccisi.Ma molti altri, secondo il Lotar (l'ente israeliano per il monitoraggio del terrorismo) sarebbero pronti ad entrare in azione. Soprattutto nel Sinai (dove molti israeliani si recano in vacanza) penetrando dalla breccia nel muro di Rafah

In proposito è bene riportare un'informazione aggiuntiva:

I due terroristi che giovedì sera hanno attaccato studenti e insegnanti della yeshiva (scuola talmudica) di Kfar Etzion (3 feriti), e che sono rimasti uccisi nell’attacco, erano stati scarcerati da Israele la settimana scorsa. (fonte israele.net)

Dimitri Buffa sull' OPINIONE denuncia la mistificazione mediatica della "crisi umanitaria", orchestrata con successo da Hamas 

Lo sapevo. Ci siamo di nuovo cascati. Come su "Scherzi a  parte" . Ancora
una volta i simpatici cineasti di Hollywood Palestina l¹hanno fatta in barba
a tutti i media mondiali, molti dei quali ansiosi di farsi fottere in questa
maniera, con la simpatica balla di "Gaza al buio perché quei boia degli
israeliani ci hanno tolto la luce".
A smascherare la sceneggiata ancora una volta il Jerusalem Post che in un
articolo dal titolo molto significativo, "Luci spente, camera, azione", ha
descritto la conferenza stampa a lume di candela del leader golpista di
Hamas Ismael Haniya,  che ha convocato all¹uopo tutti i volenterosi
giornalisti occidentali nel suo ufficio mentre fuori dal palazzo però,
piccolo particolare, le luci erano tutte accese.
A descrivere la ridicola messinscena anche una bravissima blogger israeliana
che scrive per informazionecorretta.com, Deborah Fait.
Che ci decrive la farsa con le parole usate da alcuni reporter israeliani:
"Haniyè, ci ha convocati nel suo ufficio, siamo entrati e abbiamo trovato
lui e i suoi ministri, al buio, seduti intorno al tavolo e davanti a ognuno
c'era una candela accesa. Strano, abbiamo pensato, perche' era giorno e
sulle scale c'era la luce elettrica! Avevano chiuso tutte le tende per
rendere la stanza completamente buia. Ci ha ordinato di fotografare  e di
ritornare la sera stessa. Siamo ritornati e abbiamo trovato il quartiere al
buio, nelle zone da cui venivamo invece c'era la luce,  e decine di donne e
bambini per la strada con le candele accese in mano".
Commento della Faith: "questi sono i racconti dei giornalisti palestinesi
arrivati ieri a Gerusalemme.
Li abbiamo visti e sentiti in diretta alla TV israeliana e stiamo ancora
ridendo. Sembra impossibile che i palestinesi siano tanto sicuri di poter
prendere in giro il mondo intero da arrivare a fare le sceneggiate "aiuto
non abbiamo la luce, Israele ci sta togliendo tutto!" persino durante il
giorno. Sono davvero arcisicuri che Eurabia creda ad ogni loro parola."
Scrive ancora la Fait sul proprio blog: "sembra impossibile ma hanno
ragione, il mondo gli crede, qualsiasi cosa dicano il mondo pende dalle loro
labbra e all'ONU  ti schiaffano una bella risoluzione contro Israele, senza
nemmeno accennare ai bombardamenti su Sderot. Il mondo urla "Israele affama
i palestinesi" e li guarda, belli grassi, hanno persino la pancia, i bambini
hanno belle guanciotte rotonde peò' continuano a gridare i soliti idioti
"Israele affama i palestinesi, non possiamo accettare una punizione
collettiva".
A Sderot invece si? Sderot può essere punita collettivamente? I bambini di
Sderot possono im-pazzire di paura? Sparano 50 missili al giorno, in poco
più di 2 anni sono caduti  nel sud del Neghev più di 9000 kassam ."

E a proposito di leggende da sfatare ieri è caduta miseramente anche quella
dell'umanitarismo di Mubarak che avrebbe permesso ai sempre "poveri
palestinesi" di approvvigionarsi su territorio egiziano dopo avere fatto
saltare il muro di cui non parla nessun, quello che chiude il valico di
Rafah dalla parte egiziana.
Ieri infatti è stata la giornata dell'interevento massiccio delle unità anti
sommossa egiziane che hanno menato botte da orbi e provocato parecchi
feriti.
Le agenzie riportano che " ieri mattina le autorità egiziane avevano deciso
di rafforzare il contingente di militari nella zona per riprendere
gradualmente il controllo della situazione e ripristinare il confine."
Secondo l'inviato della tv araba al-Jazeera, in realtà il valico sarà chiuso
oggi, mentre ieri i militari hanno avuto il compito di impedire l'ingresso
dei palestinesi in Egitto e di incoraggiare energicamente le decine di
migliaia ancora presenti nel loro territorio a tornarsene nella striscia di
Gaza.
Appena ci scapperà il primo morto, e gli egiziani non vanno molto per il
sottile, loro gli omicidi non li mirano ma tendono a socializzarli, vedrete
che forse finirà anche la bella favola dell'Egitto equo e solidale.

Ricordiamo che, tra l'altro, Israele ha sempre continuato a fornire il 70% dell'elettricità della Striscia.

Conferme che a Gaza sia andato in scena un ben orchestrato spettacolo propagandistico arrivano da fonti insospettabili. Da Terrasanta.net, sito italiano della Custodia Francescana, riportiamo un breve articolo sull'entità del primo esodo palestinese.

- Sarebbero molti meno di 350 mila - cifra riportata dai media occidentali - i palestinesi passati dalla striscia di Gaza all'Egitto nelle ultime 24 ore. Un testimone diretto - il capitano dei Carabinieri Andrea Massari, in missione nell'area - ha raccontato oggi a Terrasanta.net come è andato il drammatico sfondamento del confine egiziano. Tra mezzogiorno e le 15 del 22 gennaio, si è svolta una manifestazione da parte di cinquemila palestinesi, esasperati dalla crisi umanitaria in cui il mancato rifornimento di carburante e materie prime ha precipitato la striscia di Gaza.

La manifestazione ha avuto luogo nella zona di «rispetto» del Philadelphia corridor, che congiunge il confine israelo-palestinese a quello egiziano; solo ad un chilometro dal terminal affidato al contingente di Carabinieri italiani di cui Massaro fa parte nell'ambito della Missione dell'Unione Europea denominata «Eubam Rafah». La testa della manifestazione era composta da un centinaio di donne e bambini, che si sono ritrovati di fronte a diverse centinaia di poliziotti egiziani in assetto di guerra. Le forze dell'ordine del Cairo hanno sparato in aria e usato gli idranti. Nel pomeriggio si sono contate una ventina di donne ferite. La notte scorsa, invece, tra l'una e le due, sul versante nord del muro egiziano sono state fatte esplodere sei cariche, che hanno creato varchi per il passaggio delle persone. Tuttavia non si sarebbe realizzato un vero e proprio esodo: alle nove di questa mattina i palestinesi che avevano già attraversato il confine sarebbero stati sicuramente meno di 30 mila. E il numero di 350mila indicato dai media, secondo la fonte di Terrasanta.net, è sicuramente sovrastimato.

Un altro falso è la "crisi del pane"a Gaza

L'agenzia palestinese anti-Hamas Palestinian Press News Agency riporta che ufficiali di Hamas si sono presentati dai fornai della Striscia di Gaza nella mattinata di oggi intimandogli di non aprir negozio pena gravi sanzioni nell’immediato futuro.(fonte: focusonisraelwordpress.com)

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